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Come un fucile carico, Lyndall Gordon @FaziEditore

Questa non è una biografia come ce ne sono tante: il suo scopo non è quello di proporci una lista dei fatti della vita di una poetessa, quanto di farci riflettere sulla difficoltà di capire CHI c’è dietro un nome famoso e, a volte, riverito. In questo caso, parliamo di Emily Dickinson.

Si parte, certo, dai fatti. Almeno da quelli che si possono appurare, coi dovuti limiti posti dal tempo.

Emily Dickinson ha avuto una vita ritiratissima, forse ciò ha contribuito in parte a creare la sua leggenda. Per motivi che la Gordon cerca di appurare, la poetessa non usciva mai dalla sua stanza: comunicava con pochi amici e parenti selezionati tramite pizzini, cartine, brevi messaggi annotati su qualunque tipo di supporto cartaceo le capitasse in mano. Ma era una poetessa: in questi stralci di carta non ci troviamo liste della spesa o elenchi di cose da fare: tutto è transunstanziato in immagini, a volte oscure.

Poi c’erano le lettere, e le poesie a tutto tondo: ad un certo punto, la poetessa ha iniziato a raccoglierle in libricini fatti a mano da lei stessa.

Ma quando è morta, sono cominciate le difficoltà.

Chi era Emily Dickinson? Chi ne ha tramandato la figura?

Dopo la sua morte, è iniziata una faida all’interno della sua famiglia per accaparrarsi il diritto di trasmettere ai posteri la verità sulla poetessa. Da un lato, sua cognata Sue, moglie dell’amato (ma anche criticabile) fratello Austin: Sue aveva costruito con Emily un rapporto molto forte, ma tale rapporto non è sempre giunto fino a noi, perché messo in ombra tramite omissioni e bugie, dall’amante di Austin, Mabel.

Attenzione: Mabel non era quella cacciatrice di dote che si potrebbe pensare. Voleva sì elevarsi socialmente, ma nonostante fosse una fedifraga, è a lei che si deve l’enorme lavoro di raccolta e sistemazione delle carte di Emily Dickinson (e solo se costretta ammetteva di non averla mai vista in viso).

Poi c’era la vera sorella di Emily, Lavinia, che nonostante volesse davvero bene alla poetessa, si è lasciata trascinare un po’ dalle due parti in lizza.

Nonostante tutto quello che le parti in causa hanno scritto su Emily Dickinson, molti sono stati i silenzi. Secondo la teoria di Lyndall Gordon, il primo importantissimo silenzio riguardava il motivo per cui la Dickinson non usciva mai di casa: soffriva di epilessia. Nella seconda metà dell’Ottocento, questa era una malattia vergognosa, soprattutto per le donne, che si doveva nascondere a tutti i costi. Si è spesso certato di travisare la verità scrivendo che la poetessa rimaneva segregata per via di un amore deluso…

Si è anche trasmessa un’idea della poetessa come donna eterea, senza bisogni fisici, quasi. Cosa che non era vera, e la Gordon ce lo spiega.

Altro grande silenzio, era la relazione tra Mabel e Austin Dickinson: chi ne ha fatto le spese, però, è stata solo Mabel, perché Austin era un avvocato importante di una famiglia importante (insomma: era un uomo); è interessante seguire pagina per pagina come si evolve un processo tra la famiglia Dickinson e Mabel senza che l’adulterio (doppio) venga mai pronunciato.

La faida è continuata anche nella seconda generazione. Le persone, gli esseri umani, si lasciano accecare dalle emozioni. Per decenni le debolezze umane hanno dato un’immagine della Dickinson poco veritiera.

Io non leggo poesia. Le poche che ho letto in questa biografia non le avrei capite se non ci fosse stata una spiegazione della Gordon.

Mai come in questa biografia mi sono trovata davanti alle prove dell’inconoscibilità dell’essere umano.

Non mi lamenterò se finalmente

quelli che ho amato qui

avranno il beneficio di capire

il motivo per cui li evitai tanto –

Svelarlo allevierebbe questo cuore

ma strazierebbe il loro –

 

 

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Ritratto di signora – Henry James

Erano anni che leggevo solo romanzi contemporanei, e passare ad un autore dell’Ottocento è stato quasi uno shock culturale. Dopo poche pagine mi sono addirittura chiesta se ero ancora capace di leggere o se non mi fosse venuto un attacco improvviso quanto precoce di Alzheimer… ma alla fine ce l’ho fatta, e ci ho preso gusto.

Adoro l’ambiente descritto da James: gente che non deve lavorare per vivere e che può passare tutte le sue giornate a chiacchierare, viaggiare, leggere, visitare musei. Che invidia! E quanti miliardari oggi esistono che, non dovendo lavorare, si danno a questi piaceri?

La capacità di James di entrare nella psiche delle persone è inimmaginabile. E’ un grande nel giustificare i cambi di umore e nel descrivere i moti dell’animo. Le sfumature dei pensieri sono tratteggiate così bene che i personaggi sembrano persone reali, e James un chirurgo che sia entrato nelle loro teste per vedere cosa c’è.

La seconda metà del libro l’ho trovata molto più intrigante della prima, e sono caduta dal pero quando ho letto che Pansy non era la figlia della prima moglie di Osmond… ovviamente non ho visto nessun film tratto dal libro, ma ora sarei curiosa di vedere come un regista possa aver reso tutte le sfumature che rendono unico questo libro.

Il comportamento di Isabel, dall’alto della mia appartenenza al ventunesimo secolo, non lo capisco. Si sposta Gilberto Osmond perché si è lasciata irretire dalla sua doppiezza, e quando si rende conto che lui l’ha sposata solo per il suo denaro (è una ricca ereditiera), invece di lasciarlo… torna da lui. Perché?? Perché doveva accettare la responsabilità della sua scelta matrimoniale.

In realtà le ragioni di Isabel sono tutte ben sviscerate da James. Ci troviamo davanti un personaggio molto complesso, che all’inizio è bramoso di libertà e anticonformismo, ma che alla fine, per essere fedele a se stesso, sembra cedere proprio al conformismo. E non si capisce dove sta il limite tra rispetto delle apparenze e rispetto delle proprie responsabilità.

Così Isabel decide di essere infelice, di continuare a vivere con un uomo egocentrico che gode nel farla soffrire. E lo decide a dispetto di tutti i pretendenti che farebbero carte false pur di salvarla da quella situazione.

Non c’è lieto fine. La protagonista nel corso del romanzo non cresce, ma scende.

Isabel è diventata così reale, che quando finisci il libro continui a pensare a lei e a cosa si potrebbe dirle per convincerla a mollare quel sadico di suo marito. Però, pensandoci, alla fine la sua non è debolezza: non resta con Osmond solo per adeguarsi alle aspettative della società. Lo fa perché ha fatto una promessa, perché vuole assumersi la responsabilità della sua scelta. Nel bene e nel male, questa è la sua grandezza.

 

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