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Homo deus – Yuval Noah Harari

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Quello che mi piace dei libri di Harari è che, per quanto lunghi siano, ogni pagina concorre a rinforzare la tesi di fondo. Harari non solo ha una conoscenza e una curiosità profonde in ogni campo, ma anche buone capacità comunicative, attributi che fanno dei suoi libri un passatempo piacevole e costruttivo.

In Homo Deus, l’obiettivo è capire come si svilupperà il genere umano, o almeno individuare alcune possibili linee di sviluppo.

In passato le preoccupazioni principali dell’umanità erano le guerre, le epidemie e le carestie, tutti problemi che non sono più eventi ineluttabili, né sono più considerati come vendette divine o maligne.

Liberati (o quasi) da questi fardelli, gli uomini ora cosa fanno? Mirano non più alla mera sopravvivenza, ma all’immortalità e alla felicità.

E’ possibile?

Per tentare di rispondere a questa risposta, Harari parte dal confronto tra uomini e animali. Cosa ci distingue davvero dagli animali?

Non l’intelligenza né la sensibilità, bensì la capacità di organizzazione su larga scala.

Un governo, statale o mondiale che sia, organizza enormi masse di persone che non si conoscono  tra loro, mentre un gruppo di scimpanzé collabora al massimo all’interno del proprio gruppo.

E’ la cooperazione che ha reso grande l’essere umano.

Ogni volta che facciamo qualcosa che va contro la cooperazione, riportiamo indietro la storia umana.

E come si fa ad organizzare le grandi masse?

Con le storie.

Gli animali non inventano storie.

E’ lo story telling la grande invenzione umana; col suo importantissimo corollario: la scrittura, che ha fatto viaggiare le storie nel tempo e nello spazio.

Ma questa evoluzione ha avuto i suoi lati oscuri.

La modernità ha fatto una scelta: ha scelto il potere (sulla natura, sul mondo, sugli animali) a scapito del senso.

Il senso una volta ce lo davano le grandi storie: il comunismo, il liberismo, il cattolicesimo… Ora parliamo di umanesimo, cioè di una storia che attribuisce il valore supremo all’uomo, ai suoi sentimenti e alle sue sensazioni.

Tutto ciò che fa star bene l’uomo, l’uomo deve essere libero di sceglierlo.

O no?

Siamo davvero liberi oggi?

Questa è la domanda che rimane parzialmente inesplorata alla fine del libro, anche se Harari ci fa capire il suo punto di vista parlandoci del datismo e della somma importanza data alla circolazione dei dati (senza alcun valore etico).

Ma mi fermo qui, non posso riassumere un libro di 485 pagine in un solo post.

Leggetelo, non ne resterete delusi.

 

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E l’eco rispose – @KhaledHosseini

Dopo aver letto “Il cacciatore di aquiloni” e “Mille splendidi soli”, eccomi qui a dirvi che “E l’eco rispose” è il migliore dei tre.

Meravigliosa la sua struttura narrativa, dove la storia principale viene narrata da più personaggi, tutti uniti da legami parentali o, semplicemente, da eventi e luoghi.

La storia principale riguarda Abdullah e la sorellina Pari: la bimba di tre anni viene venduta dal padre a una famiglia molto ricca. Non è un atto semplice, compiuto per ingordigia: il padre, uomo di poche parole, ha sacrificato il dito per salvare la mano, data la situazione di estrema povertà in cui vivono (un neonato gli è morto pochi mesi prima).

E qui la storia parte: racconta dal punto di vista di Abdullah, dello zio che ha avviato la trattativa, della madre adottiva dei bambini, di Pari, della madre adottiva di Pari, di un dottore che è entrato in contatto con lo zio, dei figli di un vicino di casa, della figlia di Abdullah, del figlio di un signore della guerra che uccide uno zio di Abdullah…

Di solito non mi piacciono i romanzi corali, li trovo dispersivi, ma qui ogni personaggio ha la una storia intrigante e tutto si snoda dal 1952 fino ai giorni nostri intrecciandosi con avvenimenti storici…

La storia che mi ha colpita di più, è quella di Idris, un figlio dei vicini di casa dello zio. Dopo le varie guerre che hanno coinvolto e devastato l’Afghanistan, l’uomo, diventato adulto, torna insieme al fratello per cercare di recuperare la casa di famiglia, visto che ora Kabul è piena di volontari e organizzazioni e i prezzi immobiliari sono saliti alle stelle.

A Kabul conosce, in un ospedale, Roshi, una bambina che ha la testa completamente rovinata: è così malridotta che è difficile a guardarsi, e ha bisogno di un’operazione altamente sofisticata per poter sperare in una vita normale. Non è una vittima della guerra, ma di uno zio che ha ucciso tutta la sua famiglia a colpi d’ascia a causa di una faida di lunga data.

Idris, che è medico, promette di prendersi cura della bambina, di tornare negli Stati Uniti e di raccogliere i fondi che le permetteranno di essere operata in America. Solo che una volta tornato a casa sua, un po’ alla volta, il volto di Roshi si scioglie nella sua memoria.

E questa è la parte più umana: tutti siamo bravi a infervorarci davanti alle storie tristi, ma una volta immersi nella nostra quotidianità i bei propositi si sfaldano.

Lo ritroviamo molti anni dopo, quando Roshi, scritta la storia della propria vita, presenta il suo libro al pubblico dei lettori. Lui si metterà in fila per farsi fare l’autografo, ma arrivato davanti alla donna, pieno di rimorsi e vergogna, non troverà il coraggio di dirle chi era.

Voto: 5/5.

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Come vivere felici in un mondo imperfetto – Dalai Lama

Dalai lama

Dalai lama

(…) la maggior parte dei problemi che affliggono gli esseri umani sono determinati dal desiderio sfrenato e dall’attaccamento che consideriamo, erroneamente, entità stabili e durature.

Questa frase potrebbe riassumere tutto il libro, composto da una raccolta di scritti preparati per tempi ed occasioni diverse. Ma ce ne sono tante altre da annotare, enunciate in modo semplicissimo e pragmatico:

Quando comprendi che tutti gli esseri viventi sono accomunati sia dal desiderio di raggiungere la felicità sia dal diritto di ottenerla, ti senti automaticamente in empatia e vicino a tutti loro.

Quanto sopra dovrebbe aiutarci ad affrontare anche le persone che ci stanno sullo stomaco (o sull’intestino…), ma non è facile eliminare i sentimenti che inibiscono la compassione, quali la rabbia e l’odio. Epperò, ci dice il Dalai Lama, la pratica della compassione è l’unico sistema per diventare altruista: sembra una presa in giro, ma è così. Senza considerare che se vogliamo essere più calmi e sereni, dobbiamo essere compassionevoli… insomma, è un serpente che si morde la coda.

Chiaro è che si può essere felici in un mondo imperfetto solo perché

la maggior parte delle nostre sofferenze non sono dovute a fattori esterni ma ad eventi interni come l’insorgere di emozioni negative. Il migliore antidoto per difendersi da questi eventi devastanti è coltivare la nostra capacità di gestire tali emozioni.

Come? Con la meditazione, ovviamente.

D’accordo su tutto, quando parla di psicologia e gestione delle emozioni negative/compassione. Su un punto però non ci incontriamo: il Dalai Lama ripete più volte che l’Onu può/deve diventare un supervisore per i problemi transnazionali (inquinamento, flussi migratori ecc…). Qui secondo me pecca di ingenuità. L’Onu può esser nata con le più belle intenzioni del mondo, ma alla fine è gestita da ricchi e politicanti.

Se vogliamo davvero cambiare qualcosa, cominciamo noi, dal nostro piccolo.

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