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La pioggia prima che cada, Jonathan Coe

Mamma mia che bel libro…

Ma non lasciatevi fuorviare dai miei giudizi: ricordatevi non mi piacciono i libri allegri, vi metto in guardia. Questo ha una bellissima storia che si dipana attraverso tre generazioni di donne, e viene raccontata da un’altra donna, Rosamund, poco prima di morire; e viene raccolta da un’altra donna ancora, Gill, che riceve l’incarico di trovare Imogen, che aveva conosciuto solo di sfuggita molti anni prima.

E’ un libro sugli effetti della mancanza di amore, e sul tentativo di dare un significato a questa mancanza. Ma non illudetevi: Coe questo significato non ce lo offre. O forse sì?

C’è un passaggio, verso la fine del libro, in cui sembra che tutto stia per tornare al suo posto, ma è solo una speranza…

Beh, io sono ottimista. Nel romanzo si dice che questo Significato è come la pioggia prima che cada: ok, ma come faccio a parlare di pioggia prima che cada, se poi non… cade??

Non posso rivelare i dettagli della storia senza rovinarvi la lettura, dirò solo che Rosamund, che parla attraverso le cassette raccolte da Gill dopo la sua morte, è un bel personaggio: poco appariscente, per niente ribelle, anche se la sua omosessualità può farlo credere; ma è una donna che ha voluto molto bene, anche senza esserne ricambiata; ingenua, per lungo tempo, ma le sue disillusioni, alla fine, le sentiamo come nostre.

Da leggere.

Un’ultima considerazione personale: ultimamente molti dei libri che leggo trattano di omosessualità. Trovo più omosessuali nella letteratura che nella vita di ogni giorno. Strano. La letteratura dovrebbe rispecchiare la realtà, no?

Allora, o ci sono molti più omosessuali di quel che vedo nell’ambiente che frequento, o la letteratura sta andando oltre, o più veloce della realtà, per dare messaggi che bisogna un po’ urlare, per farli comprendere.

O forse dovrei farmi delle domande sulle persone che frequento?

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In movimento, Oliver Sacks @adelphiedizioni

Ammetto che avevo sospeso la lettura della prima parte del libro, quella in cui l’autore, arrivato negli Stati Uniti dall’Inghilterra, si dava all’autostop, alle moto di grossa cilindrata e al body building. Poi però, riprendendolo, non sono più riuscita a metterlo giù.

L’autobiografia di Oliver Sacks, il medico di “Risvegli” (che nel film è stato impersonato da Robin Williams) è stata nutrita da centinaia, se non migliaia, di pagine di appunti e diari che l’autore ha scritto per tutta la vita.

Aveva iniziato una carriera da ricercatore, ma si è accorto che non faceva per lui. Perdeva mesi e mesi di appunti per strada perché mal agganciati al portapacchi della moto; gli cadevano briciole del panino sui vetrini sotto i microscopi; perdeva materiali delle ricerche (come quando, ad esempio, si è accorto che non trovata più i pochi ma preziosissimi grammi di mielina estratta da migliaia e migliaia di vermi, dissotterrati, con erculea pazienza, dai giardini dell’università bucherellandone tutti i prati).

La sua esperienza con i pazienti, invece, è andata meglio, grazie alla sua attenzione per le persone e alla sua naturale empatia.

Ha avuto, come tutti, i suoi alti e bassi: per alcuni anni è stato dipendente da droghe di tutti i tipi, facilitato dalla facilità con cui, come studente di medicina, poteva mettere le mani su qualunque tipo di sostanza.

A tirarlo fuori dai guai sono stati il suo lavoro e la scrittura.

Ma, aggiungo io, anche una buona serie di amici e parenti fuori dal comune (sua madre è stata una delle prime donne medico in Inghilterra).

Si ha l’impressione che Sacks incontrasse solo persone particolari. E invece sono giunta alla conclusione che ognuno di noi incontra persone interessanti, ma nessuno pone l’attenzione che poneva lui ai vari caratteri.

Di lui mi è piaciuta la profonda curiosità: si interessava dei pazienti-persone, non solo delle loro malattie; e ha trattato con curiosità scientifica perfino le malattie e gli incidenti che gli sono capitati, fossero una caduta da una montagna con relativa rottura della gamba o un tumore all’occhio.

Da leggere perché è sempre bene avere sotto gli occhi un modello di curiosità.

 

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L’amante giapponese, Isabel Allende @feltrinellied

L’anziana e ricca Alma Belasco all’improvviso decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una casa di cura. Là conosce l’inserviente Irina Bazili, che assume come assistente. Irina si accorge ben presto che Alma nasconde dei segreti, e insieme al nipote dell’anziana donna, decidono di indagare. Scoprono così che Alma in gioventù si era innamorata del giardiniere della famiglia, Ichimei, giapponese di seconda generazione. Resteranno innamorati per anni, nonostante i matrimoni di entrambi e le vicende storiche.

La fine del romanzo mi ha creato un leggero effetto sorpresa, ma questo dipende più dal fatto che io sono poco perspicace che dalla bravura dell’autrice nel creare suspence. Non mi sono lasciata incantare come “La casa degli spiriti”, e non so se ciò dipende da me, che sono più disincantata, o se dipende dal romanzo, che non ha creato personaggi capaci di diventare “eterni”.

Trovo anche poco verosimile che Alma, all’inizio così riservata sul suo passato, ad un certo punto inizi a raccontare quello che le è successo senza un particolare motivo: è un passaggio troppo repentino. E poi: che Amore è, quello di Alma, se l’esperienza che ha di Ichimei è solo… di letto?

Attorno alla storia principale di Alma e Ichimei si snodano poi molte altre vicende, alcune dei personaggi che vivono nella casa di cura, altre delle persone della famiglia Belasco. Anche Irina alla fine ha una storia di sofferenza alle spalle, però non ho percepito i segnali di questa sofferenza finché la sua storia non è stata rivelata: si capiva che c’era qualcosa che la bloccava, che aveva delle difficoltà a innamorarsi, però questa incapacità non le bloccava altre espressioni vitali. Devo dunque ammettere che ho letto la sua storia senza averla aspettata con impazienza.

La parte più interessante del romanzo, secondo me, è quella in cui racconta la storia dei campi di concentramento di giapponesi negli Stati Uniti. E’ una parte di Storia con la S maiuscola che nei libri scolastici non mi risulta venga raccontata.

Giudizio conclusivo: storia carina ma non eterna.

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Qualcuno, di Alice McDermott @Einaudieditore

Come donna occhialuta dalla vita, diciamolo, piuttosto banale, devo rendere grazie alla McDermott per aver scritto un libro su una donna occhialuta dalla vita – diciamolo ancora – banale.

In fondo, cosa facciamo, dalla nascita alla morte, se non gioire e rattristarci delle solite cose? Nascite, morti, amori, disillusioni, delusioni, figli, lavoro… eppure, in questa normalità, ognuna sente a modo suo.

La Marie del romanzo ci racconta tutto con parole semplici, ma evocative: dalla sua infanzia a Brooklyn, al suo primo innamoramento con tanto di abbandono per una ragazza più ricca, al suo lavoro alle pompe funebri, al suo matrimonio e ai suoi figli. Una vita normalissima, come se la raccontasse ad un’amica appena incontrata dopo tanti anni.

Tace spesso, ma lascia intuire. In fondo, spesso neanche la vita ti spiega il perché di certi avvenimenti.

Sentite qui come descrive il dolore del suo primo parto:

Di suppliche al cielo ne avevo mandate talmente tante – per prima cosa che il bambino fosse sano, e di non morire di parto, se possibile; adesso soltanto che il dolore avesse fine – da sentirmi ormai come un venditore di spazzole che bussa a un robusto portone, un portone senza cardini, senza maniglie.

Quante Marie sono esistite e quante ne esistono e quante ne esisteranno ancora senza che nessuno ne scriva la storia?

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Le correzioni, Jonathan Franzen @Einaudieditore

Ora che l’ho finito, posso confessare (vergognandomene) che non ho letto questo romanzo tutto d’un fiato. Addirittura, l’avevo sospeso a metà, perché non sopportavo più le farneticazioni di Alfred e la depressione di Gary. Ma dovevo capirlo subito che quando i personaggi causano reazioni emotive così forti è perché lo scrittore è un grande scrittore.

La domanda del libro è: bisogna correggere le deviazioni? Dal buon gusto, dalla buona educazione, dal buon matrimonio, dal buon lavoro? E quanta vergogna è in grado di sopportare una persona quando quelle che lei considera deviazioni non vengono corrette?

Enid, alle prese con un marito col morbo di Parkinson, sogna di riunire i tre figli ancora una volta per Natale. Ma prima che il suo sogno si avveri, vediamo perché questi tre figli hanno difficoltà a tornare in famiglia, anche se solo per un giorno solo. Guardandoli con gli occhi di Enid, si vedono tre figli che non hanno raggiunto gli obiettivi classici del perbenismo americano: Gary è succube della moglie, nonostante sia ricco; Chip è rimasto senza lavoro perché ha sedotto una sua alunna e poi si è ingarbugliato in affari poco puliti; Denise è uno chef di successo ma è ancora confusa sulle sue preferenze sessuali.

Il casino di queste cinque vite sembra sia affievolirsi che gonfiarsi nella dimensione familiare. Ogni membro ha le sue difficoltà ad amare gli altri e a comprenderli, ognuno ha le sue difficoltà a dire quello che prova senza urlare o senza mettersi a piangere. E’ in questo che ho trovato molto verosimile la storia della famiglia Lambert: il dare per scontato certi sentimenti, il bisogno di nascondere le proprie deviazioni, per quanto insignificanti siano in un contesto più ampio.

La grandezza di Franzen si desume non solo dalla sua capacità di veicolare i temi generali attraverso una storia, ma anche da tante, tantissime frasi che mostrano come l’autore sia un acuto osservatore dell’animo umano:

(…) quell’anti-stile che le donne progressiste di una certa età ostentavano come emblema di identità femminista.

Non si intendeva di antiquariato o architettura, non sapeva disegnare come Sylvia, non leggeva come Ted, aveva pochi interessi e nessuna competenza. La capacità di amare era l’unica cosa che avesse mai davvero avuto.

Una persona è ciò che vuole.

(…) viaggiatori che per pazienza e isolamento sembravano più supplicanti da pronto soccorso che pendolari.

Chi di noi può dirsi esente dalla voglia di correggersi?

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Il veleno dell’oleandro – Simonetta Agnello Hornby

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I libri della Hornby sono sempre pieni di personaggi, faccio un po’ di fatica, all’inizio, a dare una faccia e un carattere ad ognuno. Poi la lettura prosegue, e devo dire che la caratterizzazione è molto buona, anche se romanzo dopo romanzo le ambientazioni si ripetono. Non mi riferisco solo alla Sicilia, ma anche agli strati sociali rappresentati: alta borghesia mischiata con il “popolino”.

In questo caso particolare, mi è parso che il lieto fine sia arrivato un po’ presto e in modo un po’ prevedibile.

Tutto gira attorno a delle pietre che dovrebbero essere di inestimabile valore e che fanno gola a molti parenti della zia Anna, un’anziana che si sta perdendo nella demenza, ma che non rinuncia all’amore per il tuttofare Bede, bello e bisex. By the way, negli ultimi romanzi che leggo c’è sempre qualche storia omosessuale: per raggiungere l’accettazione e la normalità, la letteratura è una delle strade. Niente contro l’omosessualità, solo che tutto questo parlarne, secondo me, è troppo. No all’omofobia, però non bisogna neanche arrivare al punto di considerare l’omosessualità al pari dell’eterosessualità: ognuno in camera sua faccia quello che vuole, ma l’eterosessualità deve restare statisticamente preponderante.

Tornando al romanzo, devo dire che il ritratto che ne esce della Sicilia non è lusinghiero. Tutti sanno, ma tacciono, non vedo, non parlo, non sento. E questo è ciò che esce da ogni opera sulla Sicilia, sia un romanzo drammatico o un giallo. Non dovevamo dire no alla mafia e agli atteggiamenti mafiosi? Ebbene, se è così, si parte dal piccolo. A proposito di senso civico: sono appena stata in vacanza a Casteldaccia, Palermo e Cefalù, e sono rimasta impressionata dalla sporcizia. A parte il fatto che mancano cestini (e qua la colpa è degli amministratori), secondo me, manca proprio la coscienza del proprio territorio: non si buttano in spiaggia (libera) bicchieri, piatti di plastica, materassini sfondati, ecc. e qua la colpa è dei cittadini, non diamo sempre contro solo ai politici! Le stesse signore che erano in albergo con me, nonostante la spiaggia privata fosse pulita, fumavano e spegnevano la cicca sulla sabbia, lasciandocela: a’ cafone!!! Ma che cazzo, a casa tua fai così??

Alessandro Gassmann ha lanciato #Romasonoio ma in sicilia bisogna lanciare un hashtag per ogni città…

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Sei come sei, Melania Mazzucco

Ultimamente ho letto pochi romanzi, ma tra gli ultimi ce ne sono tre che parlano di relazioni omosessuali: “La luce giusta cade di rado” di Caterina Saracino, “Splendore” della Mazzantini, e questo.
Davvero quando certi argomenti entrano nella letteratura, si incomincia a sfatare i tabù. Perché di omosessualità si parla sempre in termini di minoranze e di diritti da proteggere, ma è solo quando certe vicende entrano nelle vite cartacee che si inizia a ragionare in termini di normalità – norma, cioè statisticamente rilevante. E dunque, in possesso della forza dei numeri. Quantità che legittima, che diventa, appunto, norma.
Forse un piccolo fastidio lo provo: il fatto che scrittrici brave, che sanno farmi arrivare alla fine dei loro libri, parlino di argomenti che ormai sono normali (con tutto rispetto per i diritti degli omosessuali a cui spetta la libertà che spetta agli etero, finché non si mettono le piume in testa e non marciano per strada).

Perché ci sono ancora tabù che nel piccolo mondo in cui ci troviamo a vivere, quello lontano dai media e dalle cronache nere, fanno soffrire la gente: il tabù della vecchiaia e della grassezza, ad esempio.
Ma dopotutto, a uno scrittore non si chiede semplicemente di scrivere una storia?

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Splendore, Margaret Mazzantini

E’ un’impressione mia, o di questo romanzo della Mazzantini si è parlato poco? E’ perché tratta di un amore omosessuale? Tante dichiarazioni d’intenti, in questa italietta, e ancora si snobba un libro per una ragione del genere? (Serena, di che ti meravigli: i libri qui si snobbano per ragioni molto meno politically correct…).

Dopo “Mare al mattino” ero in dubbio se acquistare l’ultima opera della Mazzantini. Le frasi brevi spezzettano troppo il ritmo, anche per me che leggo muta. Tuttavia, ha una scelta delle parole, delle similitudini, delle metafore, che sembra caduta dal cielo.
Non ricordo dove, definiscono la Mazzantini come la scrittrice dei sentimenti: non mi piace questo titolo, la abbassa al rango di scrittrice rosa (senza offesa per le scrittrici rosa…).
Piuttosto, la scrittrice del Dramma della vita.
E di drammi ce ne sono tanti nei suoi libri, pesanti, che ti lasciano i lividi; eppure non sono mai drammi extraterrestri, sono radicati nel quotidiano, in ciò che diciamo “no, a me non accadrà mai” e poi invece…

Quale è il dramma più grande in “Splendore”?
La morte, la malattia, gli abusi, la paura, le aggressioni… tutto questo c’è, ma niente di ciò è, secondo me, il Dramma principale.
La Tragedia, secondo me, è la rinuncia allo Splendore.
E’ Costantino che taglia i nervi del dolore e, con quelli, i nervi della vita.

Oibò… ma guarda tu: la Tragedia è una scelta…
Che buffo.

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Al limite della notte, Michael Cunningham

Peter è un quarantenne mercante d’arte sposato con una bella donna, Rebecca, e ha una figlia con la quale non riesce più a instaurare un vero e proprio rapporto (non si capisce bene perché).
Il suo lavoro dovrebbe vertere attorno alla bellezza ma, sebbene gli permetta di vivere agiatamente, Peter sa di non aver ancora trovato l’Artista in senso assoluto: vende quadri e sculture, ma è solo roba “abbastanza” carina, come lui ammette; non è l’Arte come la intende lui.

Finché un giorno arriva Erry – che in realtà si chiama Ethan: Erry= errore – il fratellino sconclusionato della moglie: bello, giovane e inafferrabile, Peter se ne innamora.

E’ la storia di un amore gay?
No, è una storia di aspirazioni deluse, di vite senza batticuori, di mancanze. Insomma, è una storia che gira attorno… all’arte.
L’arte dovrebbe aiutarci a gettare uno sguardo dentro le intimità altrui… invece Peter apprende della propria incapacità in tal senso proprio grazie ad Erry. Perché Erry si prende il gioco di lui. Perché Rebecca non è la donna che lui dava per scontata e che era pronto a lasciare per andarsene con Erry.

Ogni scrittore ha i suoi fantasmi: John Irving ha il padre mai conosciuto; Paul Auster ha il caso; Michael Cunningham ha l’amore omosessuale. Eppure i libri – anche se dello stesso autore – sono sempre così diversi!
Penso allo stile di “Le ore”, molto lontano dal monologo in terza persona di questo romanzo.

Mi è piaciuto? Non particolarmente, ma il tema dell’insondabilità delle persone, anche per chi maneggia arte dalla mattina alla sera… è già sulle mie carte da un anno.

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Grassi, omosessuali ed extraterrestri

Trovo questa serie TV particolarmente innovativa. Non per gli effetti speciali, che, abituata come sono alle magnificenze dei film americani, sembrano fatti coi Lego, né per le storie in sé, che vorrebbero emulare i mitici X-Files senza riuscirci, ma perché ci sono tre coraggiosi elementi:
1) Protagonista omosessuale. Jack ha una relazione con uno del gruppo e, durante le varie puntate, saltano fuori ex amanti.
2) Collegato al motivo di cui sopra, non c’è una relazione tra la protagonista femminile e il protagonista maschile, sebbene ci sia una reciproca simpatia che, sembra di capire, non sfocerà mai in un rapporto sessuale (però sul “mai” meglio usare le virgolette).
3) La protagonista femminile è sposata (sposata!) con un uomo grasso. Che poi tanto grasso non è, semmai è solo un po’ sovrappeso: gli autori della serie non danno l’idea di aver mai visto un grasso vero, tuttavia si parla di questo marito come ufficialmente grasso, e questo basta. A dirla tutta, non ha un ruolo da persona molto intelligente, ma penso che contro certi tabù non si possa chiedere oltre (incredibile: si è infranto il tabù dell’omosessualità, ma non ancora il tabù dei grassi…)

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