Oggi è il 25 aprile, e, come ogni anno, (quasi) tutti si sentono in dovere di postare una bandiera italiana, una foto di ambientazione partigiana o le parole di una canzone patriottica. E’ il desiderio di essere come tutti. E, come tutti, da domani torneremo ad essere i soliti criticoni, qualunquisti, aspiranti emigranti (eccomi qua).
Perché in Italia la partecipazione politica dei cittadini (salvo eccezioni) si riduce a questa lamentela sullo stato del Paese e a un arroccamento elitario sulle proprie posizioni. Azioni concrete per favorire il cambiamento? Eh, beh, ecco, io…
Francesco Piccolo si è comportato in modo diverso, nel corso della sua vita?
In questa biografia, ce ne parla. Ci racconta del suo primo risveglio alla “cosa pubblica”, a nove anni, e poi, del compromesso storico, del rapimento Moro, del suo attaccamento a Berlinguer e del suo odio per Berlusconi.
Ma ci parla anche come è cambiato negli anni il suo atteggiamento politico: partito da un ideale di purezza, è approdato a una visione più pratica (il passaggio da una politica dei principi a una politica della responsabilità, direbbe Weber).
Chi fa politica secondo l’etica dei princìpi, segue le sue idee e tiene conto soltanto di quelle – in pratica si sottrae a un vero e proprio atto politico; chi fa politica secondo l’etica della responsabilità, si pone ogni volta il problema di ciò che accadrà in seguito a una sua decisione – in pratica mette in atto un’azione politica.
E’ quello che auspica, tra le righe, per la sinistra italiana: Berlusconi è salito al potere perché allora, Bertinotti, decise di seguire la via etica, rifiutando di appoggiare il governo con Prodi. E’ stata una scelta dettata dalla convinzione di stare dalla parte dei giusti, ma che effetto ha avuto? Il governo Prodi è caduto ed è arrivato Berlusconi.
E quando Berlusconi era al governo, la sinistra ha cominciato a denigrarlo dal punto di vista morale, invece di attaccarlo nella sua veste istituzionale, perché la sinistra sapeva di essere moralmente superiore. Peccato che questo l’abbia isolata e l’abbia privata di efficacia.
Si è ridotto tutto a un esercizio retorico dell’opposizione, dell’estraneità: con ogni probabilità, questo fenomeno ha avuto luogo per combattere la paura della diversità, la paura verso il potere di quest’uomo, con una denigrazione sul piano personale che ne abbassasse il pericolo. Ma l’operazione di dissacrazione del mito ha soprattutto distratto dalla lotta politica, dal centro delle questioni. Dalla costruzione di un’alternativa più efficace che potesse piacere al Paese.
Ma la biografia non parla solo di purezza e impurità, di impegno e superficialità. Parla anche del rapporto tra pubblico e privato, di come le due sfere debbano in qualche modo parlarsi per far sì che i cittadini siano buoni cittadini.
Ho finito di leggere questo libro proprio oggi, 25 aprile, quando tutti si sentono in dovere di scrivere da qualche parte parole come “libertà”, “fascismo”, “Italia”.
E’ il libro di uno che, a partire dai 9 anni, si è sempre interessato di politica: ne ha letto, scritto, discusso. Di uno che ammette i propri errori e gli errori del proprio partito, e che è arrivato alla conclusione che questi errori possano esistere, e non li esclude a priori solo per il fatto di appartenere ad un certo schieramento.
L’abitudine è quella di sentirsi estranei agli errori, estranei alle brutture del Paese. L’estraneità rende impermeabile la conoscenza, e senza conoscere le ragioni degli altri, non si può combatterle.
E invece, nel grande come nel piccolo, vedo sempre questa convinzione di essere nel giusto (quando va bene… quando va male, vedo totale disinteresse per la politica).
Non sono ottimista per il futuro dell’Italia.
Mi dispiace, Piccolo, ma se potessi emigrare, oggi, con famiglia e burattini, lo farei.