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La scultrice (Minette Walters)

In questo giallo del 1993, uscito in Italia per la Sperling & Kupfer, tutto gira attorno alla giovane Olive Martin, condannata a 27 anni di carcere per aver ucciso e fatto a pezzi la madre e la sorella più giovane.

Rosalind Leigh, scrittrice in crisi con un recente lutto alle spalle, è costretta dalla sua agente ad indagare sul caso.

Quando incontra per la prima volta Olive, l’impatto è subito negativo: la ragazza è obesa, criptica e restia a parlare. È in carcere perché si è dichiarata colpevole ma qualcosa non torna…

Al di là del giallo, l’autrice cerca di indagare come ognuno di noi si lascia fuorviare dall’aspetto fisico di una persona. Infatti, nessuno ha mai messo in dubbio la colpevolezza di Olive perché era molto, molto grassa.

Una persona con un tale aspetto fisico non può che soccombere a qualche tipo di disturbo mentale, così pensano i personaggi di questo romanzo.

Anche al di fuori della finzione letteraria molta gente la pensa così, sebbene cerchi sempre di giustificare razionalmente il proprio giudizio negativo.

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Marina, Carlos Ruiz Zafòn

Romanzo, come gli altri di Zafòn, adatto ad un pubblico giovane e ha chi ha voglia di distrarsi, dedicandosi un po’ a risurrezioni grazie a sieri estratti da farfalle nere. Perché no?

I libri di Zafon ti affascinano per il mistero in cui ti trascinano, ma anche perché ti fanno immaginare Barcellona come forse non è più: piena di vicoli in cui da un momento all’altro può saltar fuori una donna vestita di nero di cui non puoi vedere il volto, nascosto per le cicatrici causatele da una vendetta… (ma a Barcellona non ci sono mai stata, magari è ancora così!).

Un po’ feuilletton, ma carino: lo vedrei bene al cinema.

Ci sono dei parallelismi tra i personaggi, perché ci sono due storie parallele: quella di German e della figlia Marina (di cui, manco a dirlo, si innamora il protagonista Oscar), e quella di Kolvenik ed Eva. In entrambi i casi ritornano i temi delle malattie trasmissibili, dell’arte, della vita vagabonda e delle improvvise fortune economiche.

Gli ingredienti per una lettura leggera ci sono tutti.

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Uccelli da gabbia e da voliera, Andrea De Carlo

Sospendere a p. 139, a più di metà romanzo (in tutto sono 226) è un obbligo morale, se il romanzo fa schifo.

Ho voluto dare un’altra occasione a De Carlo, dopo aver provato con Pura Vita (altro libro senza arte né parte), e ora mi sa che questo autore, per me, finisce in cantina.

Fiodor è un ventunenne figlio di genitori ricchi che non ha né arte né parte né ambizioni né passioni. Viveva negli Stati Uniti, ma, dopo aver causato un incidente stradale, scappa a Milano (dopo una breve visita al padre in Costa Rica) per andare a lavorare nell’azienda del fratellone. Nessun commento, nessun rimorso per la poveraccia a cui è andato addosso senza rimborsarle le spese (visto che non aveva l’assicurazione sull’auto).

Il lavoro per il quale viene assunto rimane vago. Si parla di stilare generici rapporti, di aprire una sede in Liberia, tutto resta fumoso: mi dà l’impressione che l’autore, molto pignolo nella descrizione di altre azioni, non abbia la più pallida idea di cosa si faccia in un ufficio.

Si innamora a prima vista di una ragazza misteriosa che non si fa inquadrare e sparisce di continuo senza dare spiegazioni.

Gli sparano addosso.

Fa un altro incidente stradale dopo esser scappato da un tizio che in realtà gli era stato messo alle calcagna dal fratello come guardia del corpo.

Mi son fermata qui perché la noia mi ha sopraffatto.

Ci sono tante azioni, in questo romanzo: tutte superflue. Si spostano oggetti, si cammina, si guarda, si fuma, si muovono i piedi, si mangiano cibi, si beve latte. Tutto descritto nei minimi dettagli ma senza necessità. Ti dà l’impressione che l’autore volesse solo allungare il romanzo.

Incontriamo tre ragazze, fino a dove son arrivata io. E tutte e tre ci provano con Fiodor (due ci vanno a letto) dopo pochi minuti di conversazione. Mentalità da uomo poco profondo che crede che le donne siano tutte là ad aspettare un qualsiasi esemplare del sesso maschile.

Come dicevo, le descrizioni si sprecano, soprattutto per le donne. Ma quando si arriva a leggere di Lynn, la figlia di cinque anni di Sue (una di quelle che finirà a letto con Fiodor), bè, lei resta senza volto. Si sa che scalcia, che piange, che giocherella, ma resta un animaletto rompiballe, una figura di disturbo. Come se l’autore non avesse mai avuto a che fare con una bambina (il che può essere, ma se vuoi fare lo scrittore, devi entrare nella situazione, porti delle domande, devi farmi vedere).

Arriviamo a Fiodor. Personaggio vuoto. Senza prese di posizione morale. Senza passioni (esclusa Malaidina). Non sente niente nei confronti del padre; si infastidisce col fratello senza darlo a vedere perché comunque gli torna comodo così; va a letto con la moglie di Bob senza porsi il problema di Bob; va a trovare il fratello di Malaidina per semplice noia o solo per sapere dove trovare sua sorella; causa un incidente e non si dispiace minimamente per la donna coinvolta, notando solo che è grassa e muove il collo… ecc…

Si scalda solo quando entra in scena Malaidina, questa evanescente ragazza di cui non sa assolutamente nulla, ma che è molto bella e con la quale ha fatto sesso una volta. Tutto resta molto superficiale. Indifferente.

Come fai ad appassionarti a un personaggio del genere?

Noia, noia, noia.

 

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Le luci di settembre – Carlos Ruiz Zafon

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Dopo aver letto L’ombra del vento e Il gioco dell’angelo, non mi aspettavo un vero e proprio libro di fantasia con tanto di magia nera, stregonerie e ombre staccatesi dai corpi. Cercavo sì del mistero, ma su base realista… ad ogni modo, una volta che hai iniziato un libro di Zafon, è difficile lasciarlo là, anche se fin dall’inizio, quando ci si trova davanti all’enorme e misteriosa magione di Lazarus Jann, si capisce subito che il suo proprietario e la magione stessa dovranno perire nelle fiamme.

L’ho trovato inferiore ai primi due libri come caratterizzazione dei personaggi, e anche la trama non è all’altezza: l’ombra si rivela molto presto, il mistero non crea molta attesa.

Insomma, quando l’ho finito, sono rimasta con un senso di mancanza. Cercavo qualcosa e non l’ho trovata.

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