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Al limite della notte, Michael Cunningham

Peter è un quarantenne mercante d’arte sposato con una bella donna, Rebecca, e ha una figlia con la quale non riesce più a instaurare un vero e proprio rapporto (non si capisce bene perché).
Il suo lavoro dovrebbe vertere attorno alla bellezza ma, sebbene gli permetta di vivere agiatamente, Peter sa di non aver ancora trovato l’Artista in senso assoluto: vende quadri e sculture, ma è solo roba “abbastanza” carina, come lui ammette; non è l’Arte come la intende lui.

Finché un giorno arriva Erry – che in realtà si chiama Ethan: Erry= errore – il fratellino sconclusionato della moglie: bello, giovane e inafferrabile, Peter se ne innamora.

E’ la storia di un amore gay?
No, è una storia di aspirazioni deluse, di vite senza batticuori, di mancanze. Insomma, è una storia che gira attorno… all’arte.
L’arte dovrebbe aiutarci a gettare uno sguardo dentro le intimità altrui… invece Peter apprende della propria incapacità in tal senso proprio grazie ad Erry. Perché Erry si prende il gioco di lui. Perché Rebecca non è la donna che lui dava per scontata e che era pronto a lasciare per andarsene con Erry.

Ogni scrittore ha i suoi fantasmi: John Irving ha il padre mai conosciuto; Paul Auster ha il caso; Michael Cunningham ha l’amore omosessuale. Eppure i libri – anche se dello stesso autore – sono sempre così diversi!
Penso allo stile di “Le ore”, molto lontano dal monologo in terza persona di questo romanzo.

Mi è piaciuto? Non particolarmente, ma il tema dell’insondabilità delle persone, anche per chi maneggia arte dalla mattina alla sera… è già sulle mie carte da un anno.

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Le ore – Michael Cunningham

imageProbabilmente molti hanno sentito parlare di questo romanzo attraverso il film con la Julienne Moore & C. L’ho visto il film, ma sinceramente non me lo ricordavo.
Ora che ho letto il libro, ho capito il romanzo, e lo definisco così: inquietante.

Tutto si capisce alla fine, dopo il suicidio di Richard: arriva sua madre, una vecchia signora, e si capisce che è la giovane moglie di cui si è parlato nei capitoli precedenti, che si era portata dietro un romanzo della Virginia Woolf in una specie di “gita” anticonvenzionale.
Inquietante perché, da madre, mi rendo conto dell’enorme influenza che abbiamo sui nostri figli.
Ma inquietante perché, andando oltre il rapporto genitoriale, ogni nostra azione ha un’enorme influenza su tutte le persone che ci stanno attorno.
Tutto ha un’enorme influenza su tutti (nel caso della madre di Richard, il romanzo della Woolf).

Oggi è il 31 ottobre, domani ci sarà l’esodo verso i cimiteri. Mi è capitato di visitarne uno ieri: gente che andava e veniva, tutti/e con secchi, ramazze, stracci, detersivi, a pulire, scopare, disinfettare, tirare a lucido le tombe. Fiori da far venire il mal di testa dai profumi. Donne sudate, in gruppo, che finito di passare la spugna fanno un passo indietro per vedere l’effetto che fa…
Sì, sì, lo so, corrispondenza di amorosi sensi… la tumulazione e la nascita della civiltà… amore oltre la morte… sì, certo, tutto vero, rispettiamo queste pratiche e la sofferenza di chi ancora la prova. Anche se in molti casi per me, non si tratta di sofferenza, ma di pura dimostrazione: anche la mia tomba deve essere più bella del vicino.
Comunque… perché non ci poniamo il problema di trattare con la stessa attenzione anche le persone vive che abbiamo davanti?

Quando una parola o un silenzio fanno la differenza.
Perché poi succede come a Ceggia, uno o due anni fa, si suicida una madre col proprio figlio, e tutti giù a dire che non se lo immaginavano, che non avrebbero mai detto, che stava bene… ma ci guardiamo attorno? Ci ascoltiamo quando parliamo? O abbiamo direttamente rinunciato a parlare di quello che abbiamo dentro perché, tanto, nessuno ci ascolta?

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