Non è iniziato bene perchè ha cominciato con una lunga sequela di lamentele sulla morte che è scomparsa dal mondo, sia comunista (siamo nel 1982) sia non comunista. Parla di nevrosi, di allontanamento dell’idea della morte per nascondere paure inconscie; di incapacità di dare un senso alla morte, sia da parte del marxismo che delle ideologie consumistiche. Parla di eutanasia come tentativo di proteggere quelli che restano, più che di pietà per quelli che soffrono. Dice che la morte ha perso la dimensione sociale dei riti e del lutto, e che dunque il singolo è rimasto da solo o con pochi intimi, troppo pochi per metabolizzare una realtà che prima o poi ci toccherà tutti. Parla di riforme cimiteriali come tentativo di allontanamento della morte, della paura del silenzio che induce a pensare e di tanto altro, il tutto corredato da moltissime citazioni: spazia in letteratura, filosofia, scienza, religione. Se la prende con la politica, incapace di donare felicità agli uomini perchè non affronta il problema principale, la grande Democratica. Insomma, stasera sono arrivata a pagina 186 ma ho letto solo un sacco di belle citazioni e di cose che avevo più o meno già sentito.
Allora, perchè continui a leggerlo, si chiederà. Perchè qualche giorno fa mio marito mi ha chiesto perchè leggo e scrivo sul blog di teologia. Non importa la risposta che gli ho dato io, ma l’interpretazione che ne ha dato lui: “Secondo me, è la tua parte di vanità che viene a galla”. Risposte del genere, per quanto espresse con mezzo risolino, mi fanno cadere le unghie dei piedi. E comunque, se serve, in questo libro ho trovato la risposta che avrei dovuto dare:
“I conti con le religioni in qualche modo dobbiamo farli. (…) ciò che tento è mostrare che l’occuparsi di ‘religione’ non è un hobby per perditempo. Che informarsi su ciò che ha da dire sul senso della nostra vita e della nostra morte non è il passatempo per sfaccendati. E neppure l’estrema risorsa per frustrati. Ma è l’unica, è l’ultima possibilità concessa a chi non vuole subire passivamenete questo viaggio che non abbiamo voluto”
Nei paesi industriali dell’Occidente, trenta persone su cento si dicono credenti. I non credenti sono al di sotto del venti per cento. Più del cinquanta per cento si dicono indifferenti. La maggioranza non ritiene di avere sufficienti ragioni per schierarsi da un lato o dall’altro. L’indifferenza sul senso della nostra vita è un controsenso: se siamo l’unica specie in grado di pensare, non possiamo non pensare su un argomento del genere!
Non mi interessa mettermi su un palco e istruire la gente (ma neanche sopra una sedia…): so che sarebbe più figo occuparmi di cinema guatemalteco, di fumetti bulgari, di gastronomia tahitiana piuttosto che di leggere argomenti noiosi come possono sembrare quelli dell’escatologia, tanto non si arriverà da nessuna parte (tanto meno io, che manco di basi fondamentali in teologia e filosofia). Ma non posso farne a meno. Non voglio essere atea, perchè è una forma di idolatria anche l’ateismo. Ma non voglio neanche dichiararmi agnostica, come fanno alcuni che si appiccicano questa etichetta e poi si dedicano al rafting, tanto non si può dimostrare nulla. Posso almeno provarci???
E poi c’è un nodo che salta sempre fuori: la libertà. Mancuso l’assimila all’anima: è quel surplus di energia che ci permette di scegliere se adempiere alla nostra umanità.
Messori fa notare che i regimi, siano essi di destra o di sinistra, tendono a mettere da parte il problema della morte. Ebbene, nei regimi il popolo ha rinunciato alla propria libertà, perchè hanno scelto la certezza (la libertà è una grande e maledetta incertezza). Le due cose devono essere collegate: si rinuncia alla libertà, si sceglie la certezza, e si elimina la morte. Si ritorna sempre al mio libro eterno: FUGA DALLA LIBERTA’ di Fromm. Torno sempre a questo libro. Non può essere una coincidenza…