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Jade, di Lisa Huang

Gli scrittori cinesi sono facilitati nel compito di trovare ambientazioni interessanti per le loro storie: le trovano nel proprio paese, nell’arco di un solo secolo, il Novecento. Hanno tutto lì!

Gliene sono capitate di tutti i colori, ai cinesi.

La storia di Lisa Huang si incentra su Jade, una bambina di buona famiglia che perde il padre in tenera età: con esso, se ne va tutta la ricchezza e la sicurezza della famiglia. Per permettere al fratello di entrare nell’esercito con un buon grado, sposa il rampollo di una famiglia nobile: peccato che poco dopo il matrimonio si accorge che il maritino è dedito all’oppio e che i suoi genitori si sono venduti tutti pur di assecondarlo.

Siamo in Cina all’inizio del Novecento: Jade rimane col marito e lo accudisce fino alla morte, fare diversamente avrebbe significato lo stigma. Dopo esser rimasta vedova, rimane addirittura coi suoceri, che la odiano e cercano di avvelenarla, ma lei non se la sente di abbandonarli finché non è costretta (anzi: anche dopo essersene andata ad abitare da un’altra parte, ogni mattina porterà ai vecchi una porzione di cibo per la giornata).

Inizia a insegnare (vergogna: una donna che lavora!), ma attorno a lei infuriano invasioni giapponesi e guerre civili.

Si sposa con un funzionario del Kuomintang, ha due figlie, ma non riesce a dargli il maschio. Decidono di adottarne uno: non è difficile, in un’epoca di battaglie e macellazioni umane. Il problema si pone quando il bambino, ormai cresciuto, scopre di non essere davvero il loro figlio…

Ho iniziato il libro a novembre 2018 e l’ho finito solo ieri, ma la lentezza era dovuta alla lingua tedesca, non al libro, che, ripeto, è affascinante per ambientazione, storia e descrizioni di luoghi e sentimenti.

Jade è una donna che rispetta le tradizioni ma che non può far nulla contro i cambiamenti che stanno travolgendo lei, la sua famiglia e tutto il suo paese. La sua stessa migliore amica, che si è dedicata al comunismo con anima e corpo, nonostante tutti i suoi sforzi resta travolta dalla storia: ne viene fuori un’immagine desolata, di esseri umani che non possono nulla contro le grandi forze che li avviluppano.

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La dieta smart food – Eliana Liotta

Avete presente quei regimi alimentari bilanciati, basati sulle evidenze scientifiche, che ammettono uno strappo alla regola ogni tanto e che si guardano ben bene dagli estremismi?

Ecco, questa è la dieta smart food.

Il consiglio principale è di basare almeno 3/4 dell’alimentazione su alimenti di origine vegetale e integrale. Poi ci sono i corollari: ad esempio, nel quarto di alimenti di origine animale, evitate le carni insaccate e lavorate, perché è scientificamente dimostrato che fanno male; e riducete al minimo (al minimo!!!) le carni rosse, per lo stesso motivo.

Sulle scelte stilistiche della Liotta, poi, si può discutere. Ad esempio, a me personalmente (ma è un’opinione personale) in un saggio alimentare non piace lo storytelling. Non mi piacciono le domande retoriche, non mi piace sentire le frasi troppo abusate come “che il cibo sia la tua medicina”, “è la dose che fa il veleno”, non mi piacciono ovvietà del tipo

L’idealtipo del magro si è imposto nella moda, nel cinema, nella pubblicità. E’ il canone della bellezza di quest’epoca.

Sapori e odori ammansiscono gli istinti primordiali, incantano il gusto, rimandano all’infanzia in una travolgente sinestesia, (…)

Nel mio particolarissimo gusto personale, nei saggi si dovrebbero evitare troppi fiorellini e abbellimenti, ma ammetto che, per chi non è abituato a libri su questo argomento, paragrafi così aiutano ad alleggerire la lettura.

Trovo poi abbastanza soggettiva la scelta dei 20 Longevity smart Food: non nego la loro efficacia, semplicemente credo che la lista sia molto “personale”:

arance rosse, asparagi, cachi, capperi, cavoli rossi, ciliegie, cioccolato fondente, cipolle, curcuma, fragole, frutti di bosco, lattuga, melanzane, mele, peperoncino e paprika, patate viola, prugne nere, radicchio, tè, uva.

Perché, ad esempio, non includerci anche l’astragalo e il ginkgo biloba che agiscono sulla lunghezza dei telomeri?

Nella seconda parte del libro, l’autrice si concentra sui consigli per i pasti, ma resta abbastanza generica e a volte manca di precisione.

Un esempio: per cereali e derivati si suddivide tra cereali in chicco, pasta, pane, cereali per la prima colazione e patate. L’autrice dà le dosi indicative per ogni regime (da 1700, 2100 e 2600 calorie) però non specifica se queste famiglie possono essere mangiate insieme nel corso della giornata; cioè posso fare 80 g di riso, 80 g di pasta, 50 gr di pane tutti nello stesso giorno? Credo di no, ma lo deduco io, perché all’inizio del libro ci aveva detto di riempire almeno metà piatto con verdura e frutta.

Ben vengano i test di autovalutazione e i consigli sulla cottura al fine di preservare al massimo i nutrienti di ogni cibo, e non si ripeteranno mai abbastanza avvertimenti come quello che segue:

lo zucchero bianco non è necessario alle nostre esigenze nutrizionali, è un piacere, punto e basta.

Resto però perplessa quando dice:

Anche il glutammato, finito sul banco degli imputati a più riprese, non c’è prova che sia tossico, cancerogeno o che induca allergie o emicranie.

Io preferirei puntare su un principio di cautela… insomma, non mi risulta che siano stati fatti molti esperimenti in merito. Nell’attesa, io preferisco evitarlo.

Discorso latte e latticini: lei non è contraria, con le dovute limitazioni per i formaggi stagionati. Cita The Cina Study di Colin Campbell e non lo appoggia in toto, perché si baserebbe solo su correlazioni.

Cita anche Valter Longo e la sua Dieta della longevità, ma ormai le dimostrazioni scientifiche sui benefici della restrizione calorica sono arcinoti.

In soldoni: con tutti i libri che ci sono sul mercato in tema di alimentazione, lo sappiamo o non lo sappiamo cosa, come, dove e quando mangiare?

Sì.

Equilibrio, varietà e contenimento dovrebbero essere i principi cardine.

Ma sapere una cosa e metterla in pratica sono due attività diverse. Bisogna considerare che le donne ormai lavorano quasi tutte fuori casa, che in Italia non si esce in compagnia se non si mangia, che l’apporto psicologico del cibo ha ormai surclassato quello nutrizionale, che la pubblicità ci martella gli organi genitali dalla mattina alla sera, e che i produttori di cibo devono vendere quello che esce dalle loro fabbriche.

Alla fine, vince la scelta personale, nel bene e nel male.

Però vi prego: non venite a dirmi che è inutile stare attenti a quello che si mangia perché l’aria è inquinata…

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