Siamo nel Nordest (nel libro ma anche io, ci vivo, nel Nordest). In questo memoir, Vitaliano Trevisan ci racconta l’interminabile lista dei suoi lavori: diplomato geometra, un’esperienza con la droga, venditore di cucine componibili, tecnico in un ufficio comunale, lattoniere, manovale, dipendente di un laboratorio orafo, gelataio in Germania, sceneggiatore, costruttore di giostre, magazziniere, giardiniere per una cooperativa sociale, magazziniere per un’industria del settore della plastica…
Li ha passati quasi tutti, i lavori, prima di iniziare a vivere di scrittura; e di tutti ci svela arcani e magagne. Di raro parla bene di qualche fabbrichetta o ufficio. Anzi, non ne parla bene per niente. Dalla tirchieria dei titolari, al mancato rispetto delle regole della sicurezza, dall’ottusità dei colleghi, alle guerre intestine per guadagnarsi il plauso di un superiore… e giù così, uno peggio dell’altro.
Ed è forse questa acrimonia che fa perdere punti al libro; frasi come queste:
Vecchio testa di cazzo, pensai, se è vero che lavoriamo coi secondi, perché cazzo devo perdere tutto il tempo che perdo solo per spostare le vostre macchine di merda?
Mi manca la tridimensionalità psicologica dei grandi romanzi. Voglio dire: nei Grandi, anche il cattivo di turno non è poi così cattivo. Viene descritto sempre in modo ambivalente, sfaccettato, come sono tutti gli esseri umani, alla fine. Qui no: l’ex moglie, la madre e la sorella sono erinni, e di là non si spostano; i capireparto sono nasi marroni (perché leccano il culo a chi conta); i dipendenti comunali si appropriano degli attrezzi pubblici; gli industriali non pagano le tasse e tirano sugli stipendi… un aspetto positivo, un punto forte, ce l’avranno?
No.
Non dico che tutto ciò sia falso: dico che è parziale, che manca l’altra faccia della luna di tutti questi “cattivi” (lui è molto più colorito con gli aggettivi), e questa mancanza toglie letterarietà al libro. E’ per questo che gli do un 3,5 (su 5) al posto di 4.
Perché Trevisan sa scrivere. Non mancano i riferimenti ad autori davvero letterari(Bernhard e tanti americani), e certe similitudini sono proprio azzeccate. Proprio per questo, dispiace quando i paragrafi si trasformano in un lungo elenco di recriminazioni, insomma, in uno sfogo (vendetta?) che non è molto diverso da quelli che si sentono al bar; contro l’ex moglie, ad esempio (di cui però accetta l’appartamento gratis) o contro Toni Servillo, il regista (ho notato un filetto di invidia per la carriera illustre?).
Al di là di tutto questo, che dire?
Il Nordest c’è, ed è così (o era: dieci, quindici anni e un libro è già un po’ obsoleto, quando si parla di industria)
I dipendenti (operai e impiegati e amministratori) ci sono, e sono così.
Ad esempio, parlando di un titolare (sì, bestemmiano tutti, nel Nordest, non conta il titolo di studio né il conto in banca):
(…) un Presidente sempre meno sicuro di se stesso diventava perciò sempre più aggressivo, e spesso, pieno di rabbia e frustrazione, non riuscendo a trattenersi, si sfogava bestemmiando e sbattendo i pugni sul tavolo.
Oppure, parlando di un collega (qui, ci possono essere eccezioni):
(…) nella sua voce un tono sempre rancoroso, e stupido, ottuso (…) che rimbambisce nella ripetizione stolida e priva d’invenzione di frasi fatte, sempre uguali.
O, parlando in generale (vero, in tutte, tutte le aziende dove sono stata io, e ne ho provate diverse):
Almeno una mezz’ora di abbuono, sempre a beneficio del datore di lavoro, è prevista ovunque.
Nel complesso: il libro di un autore arrabbiato.
Con cui non andrei d’accordo. Non potrei mai andare d’accordo con uno che ritiene normale rubare 40-50 marchi dalla cassa della gelateria.
Stop.