Zygmunt Bauman ci ha lasciato quest’anno: era un autore prolifico, esponente di una sociologia fuori dagli schemi, lontana dalla disciplina accademica tutta dedita ai numeri e alle statistiche.
Credo che non ci sarebbe potuto essere un ricordo più gentile, di questo libro, scritto a quattro mani col suo amico Riccardo Mazzeo.
E’ un dialogo sul rapporto tra sociologia e letteratura, che pur condividendo gli la struttura discorsiva e molti degli scopi (l’analisi dell’uomo), spesso sono viste come due discipline lontane, quando non antitetiche, visto che la prima mira a farsi definire come scienza, mentre la seconda rientra senza dubbio nel campo delle arti.
Il colloquio tra Mazzeo e Bauman verte sì sulla relazione tra le due discipline, ma finisce per toccare argomenti apparentemente molto lontani: dalla figura del padre, alla twitteratura, dalla perdita degli intercessori all’homo consumens.
Essendo un saggio breve (appena 136 pagine) non si può riassumerlo in modo valido, perché ogni frase è pregna di significati e rimandi; ma un messaggio si può cercare di trasmetterlo: è che la letteratura, per quanto dotata di un potere salvifico, da sola non può risolvere i problemi di una società, esattamente come un insegnante singolo (che sia un Affinati o un Bergoglio) non possono risolvere i problemi della povertà e dell’ignoranza.
Risulta qui essenziale la distinzione tra troubles (i problemi che ognuno di noi vive nella propria quotidianità) e gli issues (i problemi comuni a tutti gli esseri umani che possono essere affrontati solo tramite azioni collettive).
Notevole è poi l’elenco degli autori che, nel corso del dialogo, vengono menzionati: si passa da Nietzsche a Kafka a Kraus ad Alberto Garlini a Jonathan Franzen a Luigi Zoja alla Nussbaum ecc….
Insomma, anche se a volte un po’ troppo colto, è sicuramente una lettura stimolante.