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Ci vuole la censura!

“Non è facile avere accesso a certi libri: non si possono più comprare”, dice Azar Nafisi in “Leggere Lolita a Teheran”. E ciò nonostante, c’è gente, in Iran o in qualunque altro posto dove vige un regime simile, che rischia la vita pur di leggere.

Qui, invece, dove l’offerta di parole scritte è addirittura eccessiva, si legge poco.

E’ un controsenso che mi ha sempre colpito.

La lettura nasce, in fondo, dalla curiosità, e la curiosità dà fastidio ai regimi: perché apre le porte all’imprevedibilità e l’imprevedibilità è la nemica numero uno del potere.

Non devi chiedere di più: devi accontentarti di quello che ti danno.

La curiosità è insubordinazione allo stato puro“, dice Nabokov.

Il fatto è che quando tu vieti qualcosa, la curiosità… la crei!

E la curiosità è una forza potente. E’ quella che ci ha portato ad essere ciò che siamo.

Ecco perché nei regimi dispotici dove vige la censura ci sono lettori appassionati e nascosti.

E sapete una cosa? Questo controsenso è ben conosciuto da chi ci governa. E’ per questo che non ci impediranno mai di leggere libri contrari al potere politico vigente: perché sanno che la gente si darebbe da fare per leggere ciò che gli viene vietato.

E allora cosa fa il “regime”? Sfrutta la nostra libertà a suo vantaggio.

Mi spiego: il popolo è libero di leggere ciò che vuole, no? E allora, diamogli da leggere. Diamogli tanto, ma tanto da leggere. Libri, blog, giornali, riviste, cartelloni, volantini… E non limitiamoci alla lettura: diamogli immagini, diamogli suoni, diamogli… confusione! Il popolo sceglierà ciò che più gli piace. E stiamo tranquilli: in una cacofonia del genere, sceglierà lo stimolo più rilassante. Quello meno impegnativo.

Perché è scientifico: il cervello, davanti alla pletora di stimoli, va in pappa.

L’importante è non far capire al popolo che questa confusione è creata ad hoc.

L’importante è non vietare la lettura.


Conclusione

Se vogliamo aumentare il numero dei lettori in Italia, bisogna introdurre la censura a livello governativo. E dirlo! Dire: voi non potete leggere questo, né quest’altro. Quello scordatelo. No, non toccare! Via, sciò. Bruciamoli, i libri. Chiudiamo le librerie e le biblioteche. Andiamo casa per casa a requisire la carta stampata.

E non voglio più sentire nessuno dire “bisogna leggere”.

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Se una notte d’inverno un viaggiatore – Italo Calvino

Calvino in Italia è un mostro sacro.

Non si diventa mostri sacri senza un motivo, e qui di motivi ce ne sono molti. Aveva sicuramente una cultura molto ampia (molto!); la capacità di rendere “leggeri” (la leggerezza essendo una costante della sua opera, addirittura teorizzata nelle Lezioni Americane) temi che altri autori sanno trattare solo in termini cupi o arzigogolati; e poi sapeva scrivere con facilità in registri diversi.

“Se una notte d’inverno un viaggiatore” è un romanzo sperimentale: scordatevi la linearità di una trama. E’ un romanzo a scatole cinesi, dove il protagonista è il lettore (ma è UN lettore o sei TU che leggi?) che cerca un libro, il libro di Calvino (metaletteratura), ma che si trova in mano sempre l’incipit di un romanzo diverso.

Non fa in tempo ad appassionarsi al nuovo romanzo, che per un motivo o per l’altro, non può continuarne la lettura.

Angoscia!

E’ un viaggio attraverso i generi letterari e attraverso i diversi tipi di lettori; si affronta il tema del libro come oggetto d’amore, oggetto perduto, oggetto odiato; strumento di lavoro; come scardinatore di dittature, ma anche come mistificazione, come apertura su diverse possibilità, come fautore di emozioni diverse.

E’ sicuramente una costruzione notevole, dove Calvino incastra temi diversi (la Verità nella falsità, lo specchio e la duplicità, il mondo editoriale, la comunanza di interessi che può nascere tra lettori diversissimi, l’influenza che un libro può avere nella vita reale, la ricerca continua di qualcosa, l’immedesimazione tra lettore e protagonista…).

Insomma, questo romanzo è un lavorone, lo ammetto.

Però non mi è piaciuto molto.

Capisco che al tempo, nel 1979, quando è uscito, fosse necessario; ma l’impressione che ne ho avuta, a libro chiuso, è quella di un esperimento letterario a tema.

Un esercizio stilistico. Riuscito, ovviamente: è Calvino, mica Topo Gigio.

Ma anche se mi ha fatto riflettere su tutti i temi che ho elencato prima (e su altri che ora non elenco), cosa ne è stato del vero piacere della lettura, davanti a tutti questi incipit interrotti sul più bello? Quando non fai in tempo ad affiatarti a una trama, ad affezionarti a un personaggio, che le pagine si interrompono e il Lettore finisce in avventure rocambolesche e improbabili?

Ecco: l’improbabilità delle avventure in cui incappa il Lettore alla ricerca del libro (dei libri) è un altro elemento disturbante, per me (eppure sono necessarie, nell’economia del romanzo).

Insomma, non gli darei più di un 3/5, proprio perché il piacere della lettura, che dovrebbe essere uno dei temi portanti del libro, è delegato… ad altri libri!

Ciò nulla toglie all’illuminante prosa di Calvino, e a perle come queste:

“(…) “Nella lettura avviene qualcosa su cui non ho potere.”

Avrei potuto dirgli che questo è il limite che neppure la più onnipresente polizia può valicare. Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta…

(…) finché so che c’è una donna che ama la lettura per la lettura, posso convincermi che il mondo continua…

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Leggere libri in lingue straniere? @lingosteve

Il mio primo libro in tedesco l’ho letto ai tempi dell’università: avevo trovato sul treno “Dieser Hunger nach Leben” (Fame di vita), forse abbandonato di proposito. Sull’ultima pagina, il precedente proprietario (o proprietaria?) aveva scritto una lista di lingue, tre o quattro, e accanto ad ognuna di esse c’era un visto, come per dire: “Inglese: fatto. Francese: fatto. Tedesco: fatto.”

Mi son subito detta: “E io?”

Così mi son data da fare. Sì, avevo studiato tedesco alle superiori e all’università, ma leggere un libro dalla prima all’ultima pagina… vi assicuro che è stata un’impresa molto faticosa e le pagine erano tutte bagnate del mio sudore. Però alla fine: che soddisfazione!

Poi ho iniziato a lavorare in un ufficio vendite estero; l’aggiornamento delle lingue era necessario (io sono laureata in scienze politiche, non in lingue), e mi son detta: perché non approfittarne per fare quello che mi piace di più, e cioè, leggere??

I primi capitoli sono sempre i più difficili, ma poi si prende velocità.

A maggio ho iniziato a studiare spagnolo. Non solo per lavoro. Anzi, forse il lavoro qui c’entra poco. Qui c’entrano di più i sogni: un giorno, vorrei andare ad abitare in Costa Rica. Possibilmente prima della pensione.

Lo spagnolo è solo apparentemente simile all’italiano: ci sono tantissimi false friends e tanti altri vocaboli che non hanno alcuna assonanza con la mia lingua e, avendo iniziato due mesi fa a studiarlo, sto facendo fatica a leggere le leggende del Popol Vuh (Messico).

Sto applicando però una tecnica diversa da quella che ho sempre utilizzato a scuola e nei corsi di lingua. Mi sono documentata e sembra che il modo migliore per imparare sia quello scoperto da Stephen Krashen (in realtà ci sono stati altri linguisti che hanno affrontato l’argomento prima di lui, non ultimo, Chomsky).

Krashen sostiene che la seconda lingua si impara meglio se sussistono i seguenti presupposti:

a) lo studente si espone a un afflusso massiccio di input comprensibili: cioè, se ascolta molto e legge molto nella lingua bersaglio. I testi devono essere comprensibili attorno all’80%, cioè ci deve essere una piccola percentuale di strutture e vocaboli ancora sconosciuti, ma il cui significato può essere dedotto dal contesto (e dalla voglia, o dalla necessità, di capire)

b) lo studio avviene in maniera rilassata: cioè se non c’è l’ansia per il voto e se non c’è paura di essere continuamente interrotti da correzioni.

Durante i mesi di esposizione massiccia agli imput, lo studente non parla. O non è necessario che lo faccia. Si trova nel silent period: il periodo in cui il cervello sta assorbendo informazioni e si sta abituando alla nuova lingua.

Il periodo silenzioso non ha una durata prefissata, dipende da molti fattori: vicinanza della lingua straniera alla materna, tempo dedicato allo studio, stato emotivo dello studente, ecc… Però, una volta assorbiti input in quantità sufficiente e per un periodo di qualche mese, se si è esposti alla lingua target, si riesce a esprimersi con fluidità nel giro di due o tre giorni.

Sembra magia, ma ho visto che ci sono molti poliglotti (es. il canadese Steve Kaufmann, l’italiano Luca Lampariello e molti altri) che adottano questa tecnica, magari con poche varianti.

E la grammatica? La assorbi insieme ai fondamenti della lingua durante il periodo silente. Se poi vuoi, la puoi approfondire: come fanno i bambini, che non parlano subito, e, quando iniziano a studiare grammatica alle elementari, sanno già parlare.

Che affascinante!

Sto provando a seguire questa strada per imparare lo spagnolo: scarico podcast in lingua e li ascolto, almeno mezz’ora al giorno, mentre cucino o faccio pulizie. Sto adottando solo una piccola variante per la lingua scritta: copio brani in lingua in cui compaiano parole nuove. Questo mi permette di esercitare anche la scrittura.

Se la teoria è giusta, tra tre mesi dovrei riuscire ad esprimermi con fluidità.
Quizas…

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Come leggere più libri

A volte mi chiedono come faccio a leggere così tanto, così lo scrivo qui una volta per tutte.

Ricordiamoci però che la lettura non è una gara, e leggere non vi renderà né più fighi né più ricchi né più simpatici: anzi, se tirate in ballo un argomento di lettura, di solito ci fate pure la figura dei so-tutto-io, dunque leggete, se vi va, ma (shhh!) non ditelo in giro…

Voglio confrontarmi con questo video, dove Ruby Granger – una youtuber amante della lettura – spiega come è riuscita a leggere 102 libri in un anno.

Come primo consiglio, ci dice, bisogna fissare un orario per la lettura: non fa per me. Non ho bisogno di scalette e obblighi autoimposti. Passiamo oltre.

Secondo consiglio: darsi degli obiettivi, magari utilizzando dei segnalibri adesivi e stabilendo fino a che pagina arrivare un determinato giorno. Neanche questo fa per me, vedi sopra.

Terzo consiglio: sfruttate i viaggi e le attese. Come darle torto? Non posso leggere mentre guido, ma ho sempre un libro in macchina o in borsa, e, appena si chiudono le sbarre del passaggio a livello, lo tiro fuori; idem quando sono in coda dal dottore, o quando aspetto che il bambino esca dalla piscina o da scuola.

Che mio marito non venga mai a saperlo, ma leggo anche quando cucino: soprattutto il risotto. Insomma: stare davanti alla pentola a mescolare è uno dei lavori più barbosi che ci siano in giro, dunque con una mano mescolo e con l’altra tengo il libro. Non capita di rado che mi dimentichi di continuare a girare il cucchiaio e che il risotto si attacchi, ma, insomma, si elimina lo strato di riso bruciato, e… voilà!

La Granger consiglia anche gli audiolibri: non ne è una fan, ma la aiutano a sfruttare tutto il tempo che altrimenti andrebbe sprecato. E’ un suggerimento sul quale sorvolo: l’ascolto non mi dà lo stesso piacere della lettura vera e propria, tanto più che la mia memoria è prettamente visiva, dunque dimentico più facilmente quello che mi entra dalle orecchie rispetto a quello che mi entra dagli occhi.

L’ultimo consiglio della Granger è leggere ciò che ami.

Più in generale, credo sia questo il segreto di chi legge tanto: A ME PIACE LEGGERE, e il tempo lo trovo, a volte non so neanche io come: semplicemente, salta fuori tra il lavoro part-time, la scuola, il catechismo, i rientri, le malattie e lo sport del figlio, la gestione della casa e della famiglia e degli amici..

Invece faccio fatica a trovare il tempo per lavare le tende, pulire il bagno, spazzare i pavimenti, cucinare la lepre in salmì, potare le rose (ne ho?), spolverare, stendere i panni… davvero, non so come facciano le altre, ma per queste attività ho solo pochi minuti alla settimana (ergo, siete tutti i benvenuti a casa mia, ma vi prego: chiamatemi almeno mezz’ora prima di arrivare!!).

C’è anche da dire anche che ci legge molto, legge più veloce: è un topo (di biblioteca) che si morde la coda.

Ah, dimenticavo: non ho la TV.

Quando lo dico, la gente in genere commenta: bè, sì, io ce l’ho ma non la guardo mai.

Sicuri?

Sicuri, sicuri?

Ma proprio stra-sicuri sicurissimi?

Appena ho dieci minuti liberi, tiro fuori un libro e leggo (e se uno non ha dieci minuti liberi in una giornata, non ha una vita). Se non mi capita di trovarli nel quotidiano, vado a letto più tardi. A volte, se un libro mi piace, mi alzo prima al mattino (e leggere al mattino, senza nessuno tra i piedi, è uno spasso).

A chi non piace leggere, questo può sembrare un disturbo compulsivo.

I disturbi compulsivi, se non erro, sono sintomi che alleviano il malessere.

E sia.

La lettura mi allevia il malessere

Mi fa stare bene.

Mi rilassa.

Mi piace!

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L’analfabeta – Agota Kristof

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Analfabeta, Agota Kristof? Sì, lei si è sentita così quando è scappata dalla russa Ungheria in Svizzera attraverso l’Austria, perché non conosceva il francese, si sentiva esclusa, non poteva leggere (lei, che aveva iniziato a leggere a quattro anni, lei che dice “Leggo. E’ come una malattia”), poteva solo occuparsi della casa, lavorare in fabbrica, fare la spesa… Poi però si è rifatta.

Come si diventa scrittori?

Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressione che non interesserà mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri.

(…) Si diventa scrittori scrivendo con pazienza e ostinazione, senza mai perdere la fiducia in quello che si scrive.

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