Molto più leggibile (e piacevole) di “Di bestia in bestia”, qui Mari crea un’atmosfera di mistero e nostalgia.
Michele è un bambino di tredici anni. Trascorre l’estate del 1969 dai nonni, in una gigantesca casa di campagna del Varesotto. Fa amicizia con Felice, il fattore, un uomo bruttissimo di circa sessant’anni, di cui non si conosce il passato e che parla solo in dialetto.
Felice inizia a perdere la memoria. E’ disperato perché non si ricorda più il viso del padre. Michelino lo aiuta facendogli applicare delle mnemotecniche (ad esempio, con dei cartelli che mostrano da che parte sta il bagno), ma i discorsi confusi di Felice lasciano intravedere un passato misterioso in cui si mischiano francesi, zaristi, fascisti, partigiani.
Il mistero si infittisce quando nella cantina di casa Michelino trova delle bottiglie vecchissime piene a metà di sangue rappreso… ma anche le lumache, enormi, sono strane: Felice le chiama “lumache francesi” e conduce contro di loro una vera e propria campagna.
E poi, ci sono i cadaveri: tre scheletri vestiti da SS in un antro segreto e quindici (o quaranta) scheletri francesi sepolti nel prato.
E’ un romanzo allucinato ma appassionante: Michelino ragiona in termini avventurosi, alla Melville o alla Poe, e applica le sue conoscenze alla vita di Felice. E alla sua, naturalmente.
Alla fine ti chiedi: ma Felice esiste? E’ mai esistito? E Michelino chi è?