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Kafka sulla spiaggia – Murakami Haruki

L’ho iniziato per due volte, e per due volte l’ho sospeso. Ma non ero convinta: se lo leggono milioni di persone in tutto il mondo, ci deve essere qualcosa da imparare in Murakami, mi dicevo.

Così, dopo aver letto il suo “Il mestiere dello scrittore” e essermi convinta che Murakami è uno serio, sono tornata con tutta la mia buona volontà a Kafka sulla spiaggia. E devo ammettere che stavolta sono riuscita ad arrivare alla fine.

Ma ci ho messo un po’ a capire il senso del romanzo.

Sì, lo so che bisogna smettere di cercare il senso. Un romanzo può essere come la vita, e, come scrive Murakami a p. 449,

quando mai il significato di una vita appariva chiaro e facile da decifrare?

Ciò non significa che io dovessi smettere di cercarlo, il significato del romanzo. E sono giunta a delle conclusioni.

A disturbarmi, era l’assurdità della trama, l’atmosfera onirica che tanti apprezzano. Poi ho capito che era proprio questo che Murakami voleva: il romanzo è assurdo perché la vita è assurda. E allora, come si può vivere una vita assurda? Con la fantasia. E dove sta la fantasia? Dentro noi stessi. L’unico modo per affrontare il labirinto che è fuori di noi, è entrare nel nostro labirinto interno, i nostri visceri.

Ma ci sono altre due cosette che mi son piaciute: sembra che la storia di Tamura Kafka inizi a causa dell’abbandono della madre. Dunque, dalla mancanza di amore.

E l’uomo col cilindro? Beh, quello credo rappresenti il Caos. È dal Caos che nasciamo, così come Tamura Kafka ha il DNA di suo padre nel sangue. Ma è il caos che bisogna combattere per dare un senso all’assurdità, per capire come si vive.

Ok. Alla fine, questo Murakami non è proprio così vuoto come pensavo.

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La meraviglia della vita – Michael Kumpfmueller

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Nonostante la poca voglia di leggere narrativa in questo periodo, ho scelto questo libro perché parlava di Kafka, dunque in qualche modo l’argomento doveva legarsi all’ambiente dell’arte, il topic delle mie letture in questo periodo.

Già dopo le prime pagine, però, mi sono accorta del granchio: Kafka non viene mai chiamato Kafka. In un paio di passaggi lo si chiama per nome, Franz, ma dalla storia potrebbe essere un qualunque Franz che scrive e che ha la tubercolosi.  Certamente l’autore voleva così, era sua intenzione raccontare l’ultima storia d’amore del grande scrittore come fosse stata la storia d’amore di una coppia qualunque nell’Europa appena prima della seconda guerra mondiale.

Ci può stare.

Però…. però…. insomma! Dai, non puoi ignorare del tutto l’opera di Kafka. Al massimo si trovano degli accenni ai “fantasmi” che lo tormentano, ma senza mai scendere nello specifico.

La sua donna, poi, Dora Diamant: non legge neanche le sue opere, e se le legge ammette di non capirci molto, quando addirittura non si preoccupa. Ma come fa uno scrittore come Kafka a innamorarsi di una così? Allora, istituiamo una regola: le donne devono finirla di essere intellettualmente inferiori ai loro uomini. Voglio la parità anche in questo!

La storia in sé dura pochi mesi: inizia quando i due si conoscono in villeggiatura e finisce quando lui muore tra le sue braccia. Non succede quasi nulla, e gli accenni all’antisemitismo incalzante e a Hitler sono, appunto, solo accenni. Si parla di più dell’inflazione galoppante di Berlino, e di come tutti debbano muoversi a fare le spese appena ricevuto lo stipendio perché il giorno dopo i prezzi saranno già saliti. Ci sono solo vari cambi di ambiente perché lui, ormai alla fine, deve spostarsi da un sanatorio all’altro.

Qui è pura storia d’amore, con lei che pensa a lui e lui che pensa a lei (e al fatto che dovrà morire presto).

Mi direte: va bene così, perché biografie su Kafka scrittore ce ne sono già tante in giro (davvero?), mentre mancava un romanzo su questa storia.

Allora non mi è piaciuto?

Non ho detto questo.

Sono poco portata per le sdolcinature, ma siamo comunque in un altro tempo e in un altro luogo, a contatto con dei personaggi storici che ci appaiono nella loro veste umana.

Insomma, sono arrivata alla fine. E sono anche riuscita ad appassionarmi e a prendermela per come Kafka è psicologicamente sottomesso al padre e per la fatica che ha fatto a parlare di Dora alla famiglia. Me la sono presa per la sua paura, insomma.

Una paura che, nonostante tutto, non gli ha impedito di diventare uno degli scrittori più famosi del secolo.

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