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La gabbia d’oro – Tre fratelli nell’incubo della rivoluzione iraniana (Shirin Ebadi)

Shrin Ebadi, iraniana, era un giudice: l’hanno licenziata perché una donna non poteva rivestire un ruolo del genere. Per la sua lotta per i diritti civili, le è stato conferito il Premio Nobel nel 2003. Ma la storia che racconta in questo libro non parla di lei. Parla di una famiglia di suoi amici.

Padre e madre che cercano di tenersi lontani dalla politica, la figlia Parì, amica intima di Shirin, che cerca sempre di far ridere. E poi tre fratelli, che lontani dalla politica non riescono a stare, arrivando a non rivolgersi più la parola.

Il più grande, fedele allo Scià, dovrà emigrare negli Stati Uniti e morirà dopo l’ennesima delusione. Il più giovane passerà agli ordini del potere islamico, facendosi crescere la barba e parlando a slogan come il suo mullah. Il figlio di mezzo invece si dedicherà anima e corpo a combattere a favore di ideali comunisti.

Non finisce bene, la storia di questa famiglia. Vi risparmio i dettagli, ma potete immaginarli com’era (e com’è ancora) la vita in un paese teocratico che non ammette la libertà di parola: torture, guerra, esilio, sicari, isolamento, errori giudiziari…

A proposito di errori giudiziari. Nel libro si racconta la storia di un anziano zio che era un oftalmologo: arrestato per errore (il suo nome comparire in un’agendina di un conoscente di un sospettato), esce dal carcere e sfugge alla morte per un puro caro. Riunito ai famigliari racconterà di quando doveva lavorare in carcere.

“Come mai c’erano tante persone malate agli occhi? Non è un’epidemia insolita?” (…)

“Sono le conseguenze della fustigazione. Alle frustate può seguire uno shock nervoso che causa lo scoppio delle vene nel cuore, nei reni e negli occhi. Se non si cura immediatamente l’emorragia, il paziente può restare cieco.”

La gabbia d’oro del titolo è la gabbia dell’ideologia. Quando i tre fratelli abbracciano le rispettive ideologie, smettono di parlarsi, e anche quando si parlano, non si capiscono. E’ come se ogni parola sbattesse sulle sbarre di una gabbia d’oro, che fa sentire al sicuro chi si è rifugiato all’interno ma che impedisce ogni contatto con l’esterno.

E noi, di quali ideologie soffriamo?

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Dio, una storia umana – Reza Aslan @rizzolilibri

Un libro che è al tempo stesso un ampio resoconto di storia delle religioni e un personale percorso spirituale.

Aslan parte dagli inizi, da come l’uomo ha creato la religione, parla del bisogno di spiegare e ingraziarsi i fenomeni naturali, dell’innata credenza nell’anima separata dal corpo, e dell’incremento del pantheon degli Dei in varie parti del mondo, per arrivare alla fine (ma non dappertutto) al concetto di unico Dio.

Aslan ci dice che Dio è a nostra immagine, ed è ovvio: Come ci si può immaginare Dio se non lo si associa a qualcosa che già si conosce? Cosa si conosce meglio di se stessi? Ma dare agli dei i nostri stessi vizi e virtù, può risultare controproducente, a volte ottiene effetti ridicoli, ed ecco, nei secoli, sollevarsi l’esigenza di un Dio unico, che ricomprenda in sé tutti gli aspetti dell’umano.

Il monoteismo (che è diverso dalla monolatria) ha fatto una fatica bestia a farsi accettare: la gente semplice non lo comprendeva, non riusciva a concepirlo proprio. Il primo tentativo di monoteismo è sorto in Egitto, nel 1300 a.C, ed è finito male, col popolo che ha distrutto le statue del faraone che ha provato a imporlo. Il secondo tentativo di monoteismo è arrivato dalla Persia (l’attuale Iran) con Zoroastro, e anche lui, col suo Ahura Mazsa, ha ottenuto pochissimo successo: pensiamo che nei primi dieci anni della sua predicazione è riuscito a convertire solo un suo cugino…

Un monoteismo più duraturo lo mettono in piedi gli ebrei, anche se la storia non è così granitica: gli ebrei all’inizio erano politeisti. Se alla fine optano per un Dio unico, lo fanno dopo il primo esilio, scegliendo Jahvè (che tuttavia per un pezzo farà fatica a distinguersi da El/Elhoim), più per bisogno di unità che per motivi spirituali.

A quel tempo non si fronteggiavano solo gli eserciti, ma anche gli dei: nello scontro Jahvé-Marduk, aveva vinto quest’ultimo. E gli israeliti non sapevano spiegarselo… perciò si son detti: ma certo, abbiamo perso perché non ci siamo dedicati al vero Dio, Jahvè, ma abbiamo adorato anche gli altri…

Ecco perché Jahvè si definisce Dio geloso: per giustificare la sconfitta contro i babilonesi! Così, una volta fatti schiavi e mescolati a decine e decine di altre etnie, si sono stretti attorno al Dio prescelto: facendo questo, hanno potuto continuare a riconoscersi come popolo.

Ciò non significa che tutti gli israeliti venerassero davvero solo un dio, e il racconto del vello d’oro è significativo in questo senso: era un tentativo di tornare agli dei originali mentre Mosè (di cui non abbiamo tracce archeologiche, e che viene nominato solo nella Bibbia) andava a prendere le tavole della legge.

Con l’avvento del cristianesimo i casini sull’unità/trinità di Dio aumentano e non di poco: se si arriva a una conclusione univoca, è perché si dice: “E’ così, è per fede”, e si chiude la questione.

Aslan fa degli interessanti parallelismi tra nascita del monoteismo e nascita di un sistema morale (prima la religione non si interessava di moralità vera e propria, non c’erano sistemi di punizione/premiazione post-mortem).

Trovo interessante anche i tentativi messi in piedi dalle varie religioni per giustificare ognuna la propria visione di Dio: di chiacchiere ne hanno fatto non sono i nostri (marcioniti, agnostici ecc…) ma anche i mistici/religiosi altrui (sufi ecc…).

E’ un libro che affronta molti tempi ma in maniera semplice, adatta anche ai non-specialisti. C’è un punto in particolare che mi ha fatto sorridere.

Quando Mosè parla con Dio al roveto ardente, Dio gli si presenta come Jahvè, il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma, dice Aslan, Abramo, Isacco e Giacobbe non sapevano neanche chi fosse, ‘sto Jahvè, perché loro adoravano, tra gli altri, El, non Jahvè!

La storia delle religioni è affascinante perché le religioni si impongono a dispetto di tutto, specie a dispetto della loro mancanza di vantaggio evolutivo: Aslan menziona Durkheim, Freud e altri, per elencare i motivi possibili di questo successo planetario, ma non si giunge mai a una conclusione univoca.

Un sola cosa sembra chiara: l’idea che siamo anime incarnate è universale ed è sempre esistita. Non si sa da dove arrivi questa idea, si sa solo che c’è sempre stata.

Affascinante.

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Sogni di pioggia, @ginanahai @librimondadori

Ma che bel libretto da leggere sul lettino in spiaggia!

La voce narrante è quella di Yaas, una ragazza di 12 anni che abita a Teheran. Racconta la storia di sua madre Bahar, ebrea povera, che è riuscita a sposare un ebreo ricco e che tramite questo matrimonio ha lasciato il quartiere degradato in cui viveva.

Sembra che i suoi sogni si siano avverati, ma non passa molto tempo che Bahar si accorge che il marito non è per niente innamorato di lei. Anzi, inizia subito una relazione con una bellissima e ricchissima donna.

Bahar si ritrova sì benestante, ma viene rifiutata sia dalla famiglia del marito che dall’ambiente in cui è stata inserita.

E’ una storia sulla mancanza di amore e sulle conseguenze che possono derivarne.

Scritto molto bene, dà bene l’idea delle chiacchiere e dei pettegolezzi che circolano attorno a una famiglia destinata al dramma, e lo fa tramite il discorso libero indiretto che dà voce a tutti quelli che commentano Bahar e la sua vicenda.

Ne vengono fuori vari ritratti di donne e uomini sempre in attesa del colpo di fortuna, e, allo stesso tempo, sempre sul chi va là (siamo in Iran: sembra siano tutti con occhi e orecchie aperte per scoprire qualche complotto degli americani…).

Ben congegnata la Cassandra della storia, incarnata (per modo di dire), dal fratello di Bahar, morto ma sempre presente sotto forma di fantasma: gira attorno a lei e alla sua famiglia, quasi a metterla in guardia su quello che sta per succedere. Solo dopo la prima metà del libro si capirà il legame che c’è tra questo fantasma e la ragazzina Yaas, la voce narrante.

Consigliato!

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Le cose che non ho detto, @azarnafisi @adelphiedizioni

Che meraviglia, che sincerità! L’autobiografia di Azar Nafisi, l’autrice di Leggere Lolita a Teheran, si legge come un romanzo e fa riflettere come un saggio.

La narrazione è incentrata sulla sua famiglia ma in un paese come l’Iran era impossibile ignorare la situazione culturale e politica.

Azar Nafisi ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la propria madre, donna bellissima ed intelligente ma scontenta della propria situazione e tendente a rifugiarsi in un passato idealizzato, anche a costo di tacere a se stessa certe realtà. Adoro leggere di ragazzine che si ribellano e che, al tempo stesso amano i propri genitori, perché è nella natura umana fare così, sebbene la Nafisi e sua madre abbiano avuto degli scontri davvero intensi.

Noi, quando raccontavamo una bugia, sapevamo di mentire, mentre lei non se ne rendeva neppure conto.

Farei torto al libro se cercassi di riassumere in poche righe questo rapporto controverso; però, leggendo della Nafisi che cerca di calarsi dal secondo piano del collegio svizzero e che cade facendosi parecchio male, mi è venuta la curiosità di andare a vedere su youtube come è, di persona, questa scrittrice. E mi trovo davanti a una signora compostissima, emotiva e dolce. Nonostante tutto quello che ha passato!!

Era legatissima al padre, che è stato sindaco di Teheran e che poi è stato incarcerato sotto false accuse. E’ stato lui a introdurla al mondo della letteratura tradizionale persiana.

Il rapporto della Nafisi coi libri è stato sempre molto intenso, direi quasi un bisogno fisico: questo è un aspetto che me l’ha resa molto vicina. Considerando la situazione politica iraniana, la guerra di otto anni con l’Iraq, Khomeini, gli assassini, le torture e la situazione delle donne nel suo paese, le difficoltà di tenere aperte le università laiche, è semplicemente meraviglioso che la Nafisi abbia dato così tanta importanza alla letteratura.

Anzi, la letteratura per lei va considerata come un vero e proprio antidoto all’assolutismo, ne ha fatto una bandiera del suo pensiero. Alla letteratura lei è sempre rimasta fedele, anche se sono cambiate le sue letture e anche se, lo ammette lei stessa, ha fatto i suoi errori politici (come, ad esempio, quando è andata a manifestare contro lo Scià senza rendersi conto che l’alternativa era lo stato Islamico di Khomeini).

 

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Joseph Anton – Salman Rushdie

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I can understand the need of Rushdie to write such a memoir after what he had experienced.

Frankly speaking, I am not a great fan of his books: I started to read “The Moor’s last sight” but I did not manage to get the end. Too difficult for me, I lack English-based culture and a lot of foreign references. And although I do not particularly like authors and comedians who tease religions but… you cannot kill people for this!

In this memoir Rushdie is astonished by the journalistic attack and fact that his book Satanic Verses is considered as an insult, and not as a literature piece, as if he had writter hundred of pages just with the aim to tease the prophet.

But I think that such a memoir is rather repeating: you cannot write all those trials to collect political support, because at the end all those names, all those back and forth become boring. I know that you have to let the reader understand what you have been through, but once you said that “reading is about joy”, and I assure you that 649 pages on this matter are too many.

On the other hand, I loved the parts where he described his meeting with other writers: Christopher Hitchens, A. Roy, Susan Sontag, Paul Auster, H. Pinter, Nadine Gordimer, and many, many others. I mean: I do not find people who read books, and there you see a group of people who write books!

In general, this memoir balances itself between resentment against people and institutions and newspapers that did not support him during the fatwa period, and love for people who helped him. Sometimes, between the lines, I thought to read too much resentment, as if the memoir was a broad road to take his revenge, a place where he could express his point of view against the haters. I can understand it, although I did not like it.

So: an interesting memoir. But let me utter my tip to the author: please be quiet with young and nice-looking girls. I am talking about his last wife, Padma, the model. How can such an intellectual loose all his mind on a woman who has nothing in commong with him on a literature level? (Although I think that we should also listen to her version of the story, I do not think that such a beauty goes very deep with her readings..)

No matter how many books you read: if you have not born wonderful, you have no chance to become a friend of any of your literature heros. Maybe you can meet them at a book event, but they forget you, if you are not like Padma or Elizabeth. This is the lesson that I go on receiving.

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Perché Trump non mi piace…

Donald Trump

… come Presidente degli Stati Uniti.

Sia chiaro: la sua personalità non andrebbe d’accordo con la mia, neanche al di fuori della politica, ma almeno, finché rimaneva coi suoi miliardi e le sue aziende, non me ne fregava niente. Mi fa paura però averlo come rappresentante della nazione più “influente” (eufemismo) della Terra.

Quando ho letto questo libro a gennaio, non sapevo che si stesse per candidare alle presidenziali, mi interessava solo l’approccio manageriale/psicologico, il suo modo di affrontare gli affari e la vita. E certe dritte le ho trovate, sebbene non ci fosse niente (assolutamente niente) di nuovi rispetto ad altri manuale di self-help. Della serie: pensa positivo, agisci, leggi tantissimo, metti per iscritto gli obiettivi, prendi ciò che ti piace e fanne un mestiere…

Ma è l’approccio generale che mi ha lasciata subito perplessa.

Il titolo in inglese è anche più chiaro di quello italiano: Think Big and Kick Ass in Business and Life. Cioè: manda tutti aff… negli affari e nella vita. Riassumendo 200 pagine con luoghi comuni: il fine giustifica i mezzi; poniti un obiettivo e raggiungilo, non importa chi ti si para davanti.

La cosa più importante è la dimensione delle vostre ambizioni.

E soprattutto, trovo preoccupante che un capo di stato dia alla vendetta un ruolo così importante nella vita di tutti i giorni:

Anche gli amici sono pericolosi: vogliono il vostro lavoro, la vostra casa, i vostri soldi, vostra moglie e persino il vostro cane. E sono gli amici; i nemici sono ancora peggio! (…) [by the way: Trump nel libro non esita a chiamare “amici” i Clinton, con cui andava a giocare a golf]

Io amo vendicarmi. Cercano di fregarmi in continuazione. Io gli rendo la pariglia, e sapete che cosa succede? Mi prendono in giro meno di altri. Sanno che se ci provano, troveranno un osso duro. Reagite sempre. Rendete la pariglia a chi vi fa del male. Non fatevi fregare. Reagite sempre e vendicatevi sempre. Viviamo in una jungla, piena di bulli di ogni genere che cercheranno sempre di fregarvi. se non reagite, vi giudicheranno dei perdenti, dei codardi! Penseranno di poter tranquillamente insultarvi, mancarvi di rispetto, e sfruttarvi. Non permetteteglielo! Reagite sempre e comunque. Vi rispetteranno per questo.

(…) Quando vi fanno un torto, restituitelo con gli interessi.

Vi sembra il ragionamento di una persona che può trattare con iraniani e nordcoreani?

A me, che valuto l’assenza di guerra come la necessità suprema in questo mondo: no, per niente. E sì, parlo “solo” di assenza di guerra (non di vera e propria pace), che sarebbe già un traguardo enorme, su questo pianeta. Ce ne sono già troppe di guerre in giro: se Trump adesso si mette a fare il bulletto con gli altri pazzi, va a finire che la guerra ce la troviamo a casa, visto che siamo pieni di basi militari straniere (e anche qui, si aprirebbe un discorso….).

Insomma, la mia paura principale con Trump al governo del mond… ops, degli Stati Uniti, è proprio quella di ritrovarmi il cratere fumante di una bomba in giardino. Non mi interessa come sia targata la bomba.

Fin qui la preoccupazione principale.

Poi, da donna, mi viene un leggero fastidio a leggere certe frasi:

Ho dato un tocco di sex appeal al mondo della formazione a New York, e ultimamente in tutto il paese, mettendo donne di bell’aspetto sulle copertine delle nostre riviste (…)

Ora, mi rivolgo ai maschietti: se vostra moglie, madre, sorella, figlia rimanesse disoccupata e l’unica possibilità di lavoro venisse da un’azienda Trump, credete che con questi presupposti la vostra mogliettina/mammina/sorellina/figlioletta sarebbe assunta sulla base delle sue capacità?

Sono andato a Parigi e mi sono trastullato con l’altra grade passione della mia vita: le belle donne, le super modelle.

“Trastullato”? Ma gli uomini vogliono davvero diventare come Trump? E’ il loro idolo segreto? Boh. Salvo poi sposare quelle come me… o come la maggior parte delle donne esistenti sul pianeta, che non sono né modelle, né super. Vi rendete conto di quanto umiliante sia una frase del genere per la compagna che avete accanto?????????????????????????????????????????????????????????

Le donne con cui mi sono accompagnato nel corso degli anni avrebbero potuto avere tutti gli uomini che volevano. Sono top model  e alcune tra le donne più belle del mondo. Sono riuscito a farmele tutte perché ho qualcosa che gli altri uomini non hanno. Non so che cosa sia, ma posso assicurarvi che alle donne è sempre piaciuto.

Ecco.

Se Trump si intende di politica internazionale come si intende di donne, meglio che vada a dire ai gatti di venir via dal giardino.

 

 

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