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Di acqua e di vento (Ang Chin Geok)

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Adoro leggere, in tempi burrascosi, delle disgrazie altrui. Mi fa sentire fortunata.

In questo romanzo, di disgrazie ce ne sono per tutti i… gusti. Dalle angherie della suocera insoddisfatta della propria situazione, alla guerra, alla fame, agli aborti, agli stupri, alle morti per annegamento.

La storia è raccontata da tre donne di altrettante generazioni, e si svolge tra Singapore e l’Australia.

Attraverso di loro vediamo la storia di Singapore, certo, ma soprattutto ci concentriamo sulla vita privata femminile.

“Privata” per modo di dire: le donne orientali vivono nella comunità, non ci sono “stanze tutte per sé”, ma nei decenni nei quali si svolge la vicenda delle tre protagoniste, le regole sociali a cui sono sottoposte sono cambiate nel tempo e nello spazio.

(…) la sottomissione delle donne era al centro della vita cinese, della sua struttura e continuità.

In tutte e tre le generazioni, tuttavia, insieme all’evoluzione dei diritti femminili, coesiste una insoddisfazione di base, o, meglio, un elemento disturbante: l’Hong Shui, il destino, una concatenazione di eventi a cui non ci si può sottrarre.

A detta della famiglia delle tre donne, l’Hong Shui negativo è dovuto alla scelta di un avo di mettersi con una donna di un paese diverso: tutte le disgrazie che accadranno saranno dovute a questa scelta infausta; ciononostante, nessuna delle tre si arrenderà docilmente davanti ai colpi del destino.

La misura di quanto ci siamo resi utili sulla terra, durante le nostre brevi vite, forse sta nel vuoto che lasciamo morendo.

Il destino, in questo romanzo, si affronta con determinazione e… con la superstizione. Sono innumerevoli, nel romanzo, le occasioni in cui si ricorre alla magia, agli spiriti, alle preghiere: ogni gesto quotidiano deve essere svolto in una certa maniera per non attirare gli spiriti malvagi.

A me è piaciuto molto: per il tempo che è durata la lettura, sono stata dall’altra parte del mondo.

4 stelle su 5.

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Ultimo quarto di luna – Chi Zijian

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A narrare questa storia è una donna evenchi di 90 anni: 90 anni circa, visto che in questo popolo nomade del nordest della cina non si usa segnare la data di nascita da nessuna parte.

La storia arriva fino agli anni Novanta del secolo scorso e ci racconta la vita di questa piccola tribù che vive nelle tende e che alleva renne, la loro grande ricchezza.

L’aspetto che più mi ha colpito è… in quanti modi diversi potevano morire??

Qualche esempio: addormentandosi durante un trasferimento in groppa a una renna, cadendo e morendo assiderati; caduti nei dirupi o dagli alberi; sbranati dai lupi; per incidenti di caccia; suicidi perché volevano o non volevano sposarsi; assiderati in un fiume; colpiti dai fulmini…

E’ una storia piena di tragedie, ma raccontata con toni molto poetici, anche quando le donne si buttano nei burroni per abortire o quando gli uomini restano mutilati nei genitali a causa di una fuga troppo burrascosa (tranquilli, ce n’è anche uno che si castra da solo con un coltello da caccia).

Ma niente è splatter, qui.

Affascinanti le figure degli sciamani, che venivano incaricati dagli spiriti di proteggere la vita degli umani e delle renne (peccato che a volte, per salvarne uno, gli spiriti si prendano la vita di un altro).

E poi arrivano i Giapponesi, e poi se ne vanno, e poi arriva Mao, e la carestia, e la fame, e le trasferte forzose: e, avvicinandoci sempre più agli anni nostri, aumentano i casi di alcolismo, e i giovani diventano vandali, divorziano, abortiscono… il disboscamento diventa cronico… ecc ecc…

A me piacciono i libri con tanti drammi.

Se c’è un difetto, per noi, è che tutti i personaggi hanno nomi molto esotici, e a volte ho rischiato di perdere il filo.

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Jade, di Lisa Huang

Gli scrittori cinesi sono facilitati nel compito di trovare ambientazioni interessanti per le loro storie: le trovano nel proprio paese, nell’arco di un solo secolo, il Novecento. Hanno tutto lì!

Gliene sono capitate di tutti i colori, ai cinesi.

La storia di Lisa Huang si incentra su Jade, una bambina di buona famiglia che perde il padre in tenera età: con esso, se ne va tutta la ricchezza e la sicurezza della famiglia. Per permettere al fratello di entrare nell’esercito con un buon grado, sposa il rampollo di una famiglia nobile: peccato che poco dopo il matrimonio si accorge che il maritino è dedito all’oppio e che i suoi genitori si sono venduti tutti pur di assecondarlo.

Siamo in Cina all’inizio del Novecento: Jade rimane col marito e lo accudisce fino alla morte, fare diversamente avrebbe significato lo stigma. Dopo esser rimasta vedova, rimane addirittura coi suoceri, che la odiano e cercano di avvelenarla, ma lei non se la sente di abbandonarli finché non è costretta (anzi: anche dopo essersene andata ad abitare da un’altra parte, ogni mattina porterà ai vecchi una porzione di cibo per la giornata).

Inizia a insegnare (vergogna: una donna che lavora!), ma attorno a lei infuriano invasioni giapponesi e guerre civili.

Si sposa con un funzionario del Kuomintang, ha due figlie, ma non riesce a dargli il maschio. Decidono di adottarne uno: non è difficile, in un’epoca di battaglie e macellazioni umane. Il problema si pone quando il bambino, ormai cresciuto, scopre di non essere davvero il loro figlio…

Ho iniziato il libro a novembre 2018 e l’ho finito solo ieri, ma la lentezza era dovuta alla lingua tedesca, non al libro, che, ripeto, è affascinante per ambientazione, storia e descrizioni di luoghi e sentimenti.

Jade è una donna che rispetta le tradizioni ma che non può far nulla contro i cambiamenti che stanno travolgendo lei, la sua famiglia e tutto il suo paese. La sua stessa migliore amica, che si è dedicata al comunismo con anima e corpo, nonostante tutti i suoi sforzi resta travolta dalla storia: ne viene fuori un’immagine desolata, di esseri umani che non possono nulla contro le grandi forze che li avviluppano.

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