Tutti conoscono l’Iliade…
Oppure no?
Beh, lo ammetto: non ho frequentato il liceo, ma un istituto tecnico, e l’Iliade l’abbiamo nominata solo di striscio. A vent’anni me la sono letta per conto mio, ma non sono abituata a leggere i poemi e mi mancava una buona base culturale, così me ne è rimasto ben poco.
Dunque ringrazio Madeline Miller per aver messo questa storia alla mia portata.
In realtà, il romanzo si incentra sulla storia d’amore tra Achille e Patroclo, raccontata dal punto di vista di quest’ultimo; la presa di Troia c’è, ovviamente, ma rimane sullo sfondo dei sentimenti dei due amanti.
Per entrare meglio nel mood del poema, mentre leggevo il romanzo, mi son guardata Troy, con Eric Bana, Brad Pitt e Orlando Bloom, e mi son resa conto di quante licenze cinematografiche si è preso lo sceneggiatore (David Benioff, l’autore del bel romanzo “La città dei ladri”).
Nel film, Patroclo è solo un personaggio secondario, cugino di Achille, e voglioso di combattere. Briseide è una cugina di Ettore e si innamora di Achille, che muore per salvarla. Teti, la madre di Achille, è una gentile signora anziana che raccoglie alghe in riva al mare. La guerra di Troia sembra durare pochi giorni ed Achille passa le notti con due donne nel letto.
Nel libro, invece, Patroclo è un principe esiliato inetto sul campo di battaglia e che si dedica a curare i soldati feriti; Briseide è una contadina che si innamora di Patroclo e Teti è una dea minore incazzosa che non vuole che Patroclo gironzoli attorno al figlio Ettore, perché potrebbe compromettere il suo destino di gloria. La guerra di Troia dura dieci anni e Patroclo e Achille sono amanti.
Questo romanzo, in 382 pagine, riesce a scendere in profondo nelle psicologie dei personaggi.
Se all’inizio il rapporto di Patroclo ed Ulisse è passionale e idealizzato, verso la fine Patroclo si accorge di quanto il suo amante sia spinto dall’orgoglio e dalla sete di gloria e immortalità. L’autrice però è brava a rendere l’amore di Patroclo, che, pur rendendosi conto dei difetti di Achille, non ci si sofferma, perché lo ama al di sopra di ogni cosa.
Cioè: ci ha messo davanti al vero amore, non alla semplice infatuazione, dove si è ciechi e sordi alle caratteristiche negative dell’altro. Non era facile rendere questa contraddizione (complimenti alla Miller), forse perché nella vita reale siamo a corto di esempi in carne ed ossa…
Achille sapeva che se fosse morto Ettore, poi sarebbe morto lui: così diceva la profezia.
All’inizio, quando la storia con Patroclo è ancora rose e fiori, Achille non ci pensa proprio ad uccidere Ettore. “Cosa mi ha fatto?” chiede. Poi però si rende conto se se Ettore (e dunque lui) non muore, non otterrà mai la gloria dei posteri e morirà ignoto come l’ultimo dei contadini.
Se non si può raggiungere l’immortalità col corpo, si desidera raggiungere l’immortalità attraverso la gloria. E’ una contraddizione talmente umana: morire per diventare immortali…
E così, il romanzo si allarga sull’universalità: l’uomo e il suo desiderio di essere immortale.
Da leggere.