Quando scriveranno il manuale intitolato “L’arte di insegnare il riordino ai mariti”???
Mentre lo aspetto, leggo la Nagisa Tatsumi, che parla di bambini.
La Nagisa, che ammette di non essere un asso nel riordino, segue regole ben precise nell’educazione dei figli.
Bisogna dare un luogo ad ogni cosa, stare attenti alle quantità, rivedere periodicamente quantità e utilità.
Bisogna inoltre insistere sulla necessità di rimettere subito a posto gli oggetti che si usano (i bambini sono procrastinatori laureati) e scegliere con cura i luoghi in cui mettere gli oggetti (perché se un bambino deve salire su una sedia per mettere via un libro sullo scaffale in alto, fidatevi: non lo farà).
I suggerimenti della Nagisa partono da un principio di base: bisogna portar rispetto agli altri.
Ne derivano alcuni corollari da cui non si può prescindere (e ai quali dovrebbero attenersi anche i mariti): nei luoghi comuni non si devono lasciare oggetti personali, e il riordino può diventare un’attività da svolgere tutti assieme (tutti = mariti inclusi).
Vi lascio leggere il libro da soli per scoprire i vari suggerimenti concreti. Niente di trascendentale: l’autrice usa solo buon senso e un po’ di creatività (neanche tanta). L’utilità di questi libri è che ti ispirano.
Ti ispirano a razionalizzare la casa.
Almeno per il tempo durante il quale dura la lettura. Io so già che da domani, quando avrò messo via il volumetto, mi dimenticherò di insistere con mio figlio affinché asciughi il lavello dopo essersi lavato i denti… perché mi stufo.
Faccio prima a farlo io.
Sbaglio, lo so. Mio figlio diventerà come mio marito.
Cosa ho detto? No! Non posso permetterlo! No, ora mi scrivo un reminder grande come la parete del corridoio: Insegna a tuo figlio a riordinare!!
Scherzi a parte, adoro gli autori giapponesi.
Ho scoperto due cose carine sulla cultura del Sol Levante.
Uno: prima di mangiare tutti si fanno, a turno, il bagno nella stessa acqua. Anche gli ospiti. Non preoccupatevi: prima di entrare in vasca, ci si lava sotto la doccia. Però… ecco, leggere una cosa del genere, mi ha fatto venire i brividi lo stesso.
Due: non capivo perché l’autrice insistesse tanto sul dilemma “cameretta sì – cameretta no”. Si chiede infatti se è il caso di dare una camera personale al bambino, almeno a partire da una certa età. Sembra che in Giappone ci sia stato molto dibattito in merito, soprattutto perché molti adolescenti diventano hikikomori.
Gli hikikomori sono stati riconosciuti dal governo giapponese come fenomeno sociale a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. Si tratta di soggetti che dimostrano perdita di interesse per la scuola o il lavoro e che si ritirano completamente dalla società per più di sei mesi; sono inclini alla malinconia, se non alla depressione, e trascorrono il tempo leggendo manga, navigando su internet o semplicemente oziando nelle loro camere.
Non è l’esistenza degli hikikomori, che mi lascia perplessa. E’ la necessità (tutta giapponese) di doversi riconoscere a livello governativo.