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Le ultime ragazze, Lee Smith @NeriPozza

1966, un viaggio in chiatta sul Mississippi. Sedici ragazze dell’Hollins College si son dette: perché no? E l’hanno fatto. Con un capitano e due mozzi. Al tempo, è stato un viaggio memorabile, per loro e per tutti quelli che ne leggevano sui giornali e andavano ad aspettarle sulla riva o a dar loro il benvenuto quando attraccavano.

Questo il dato reale da cui parte Lee Smith: il resto è tutta fiction.

Anche le quattro protagoniste del libro hanno fatto un viaggio in chiatta sul fiume, negli anni sessanta. E ora si ritrovano per gettare in acqua le ceneri della loro amica Baby.

Il romanzo è costruito sui flashback: attraverso di loro conosciamo Harriet, Anna, Courtnery e Catherine. Diverse, eppure ancora amiche e felici di rivedersi.

Ognuna di loro, però, ha un aspetto, un particolare di cui chiunque può dire “è mio”.

Harriet, ad esempio: non si è mai sposata, insegna in un college senza arte né gloria, e si compiace di passare inosservata. E’ stata la migliore amica di Baby, tant’è che le sue ceneri sono state affidate a lei; ma durante questo secondo viaggio in nave (che dunque non è più una chiatta, ma una lussuosa nave da crociera) si rimette in discussione, rivede alcune sue certezze, si chiede se la sua vita, che è trascorsa senza trama e senza conflitto, avrebbe potuto essere diversa.

Poi c’è Anna Todd: la più ricca. E’ diventata una scrittrice di successo a livello mondiale grazie ai romanzi di seconda categoria che scrive, storie che raccontano di vite “come dovrebbero essere”. Sembra dunque quella che ha raggiunto tutto ciò a cui aspirava, ma non è così. E’ la più chiusa, quella di cui si sa meno, quella che non racconta del suo aborto, delle sue storie d’amore, della propria solitudine e desiderio.

Courtney è quella che ha sempre fatto ciò che era giusto, ciò che andava fatto. Attentissima a ciò che gli altri pensano di lei, ha continuato a vivere con un uomo che la tradiva senza neanche nasconderlo troppo. Finché non si è trovata un amante: il fatty-boy, l’uomo grasso ma gioviale, il ragazzo più improbabile, che tutti credevano gay e che invece ha sempre avuto un debole per lei fin dai tempi della scuola. E’ lui di cui si è davvero innamorata. Ma quando suo marito si ammala, allora lei fa, ancora una volta, la cosa giusta: sceglie la famiglia ufficiale.

Infine, Catherine, l’unica che si presenta sulla nave col marito. Catherine, durante la traversata, scopre di avere un nodulo al seno. Lei e Russell sembrano la coppia perfetta, eppure…

Sono passati trent’anni dal loro primo viaggio. Il tragitto sarà lo stesso ma loro no: troppe cose sono accadute. Non si torna indietro.

E’ un romanzo un po’ cupo, da questo punto di vista. Sconsiglierei la lettura a chi si trova in una crisi di mezza età, ma va bene per chi è ancora giovane: così, tanto per ricordargli di godersi quello che ha. E per fargli notare che è meglio non prendere in giro chi invecchia, chi si ubriaca sul bancone di una nave da crociera, chi ingrassa e mette su rughe.

Perché insomma: se non invecchi, è perché sei morto!

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Il figlio – Philipp Meyer

Uno dei libri più belli che ho letto nelle ultime settimane!!

Ci sono tre punti di vista, tre personaggi principali, tutti della stessa dinastia, quella dei McCullough: Eli, che viene rapito dai Comanche da adolescente; Peter, che si innamora di una discendente dei Garcia, la famiglia che i suoi parenti hanno decimato; Jeanne Anne, l’unica donna che prenderà in mano il patrimonio dei McCullough.

Non è un libro per stomaci delicati, soprattutto quando descrive gli indiani che fanno lo scalpo ai bianchi o ad altri indiani (per la cronaca: io NON ho lo stomaco delicato). Ma le ricerche che Meyer ha fatto prima di scrivere il romanzo, lo stile chiaro con cui ci descrive i dettagli di come vivevano negli Stati Uniti del Sud alla fine dell’Ottocento, e le verosimili psicologie dei personaggi, ti fanno innamorare del libro fin dalle prime pagine.

Questo è il secondo romanzo di Meyer, ma non ho paura di pronosticare un grande futuro per lui!

Un autore che scrive dal punto di vista di una donna in questo modo credibilissimo, tanto da farmi immedesimare coi pensieri di J. A., salirà agli altari letterari mondiali.

E’ un romanzo pieno di violenza, sì, ma perché descrive una realtà che è tale. Vado oltre: è un romanzo che si pone su una linea polemica nel panorama politico contemporaneo. Perché ci ribadisce un’altra volta che gli Stati Uniti sono il frutto di una serie di furti di territorio.  Perché la torta è quella che è, e se ne vuoi una fetta in più, devi prenderla al tuo vicino.

Gli americani… (…) Rubavano una cosa e poi pensavano che nessuno avesse il diritto di rubarla a loro. (…) La sua gente aveva rubato la terra agli indiani, eppure quel pensiero non lo aveva mai sfiorato: pensava solo che i texani l’avevano rubata alla sua gente. E gli indiani, che erano stati derubati dalla sua gente, avevano rubato la terra ad altri indiani.

E poi, sentite questa frase, che potrebbe uscire direttamente dalla bocca di Trump:

Solo le pallottole e i muri ti garantiscono dei vicini onesti.

Il personaggio più enigmatico è Eli, che poi verrà chiamato il Colonnello: sarà il capostipite della ricchezza dei McCullough. Ma quanta fatica ha fatto a reinserirsi nel mondo dei bianchi dopo esser stato venduto dalla sua famiglia comanche? E come si fa a far coincidere questa figura di adolescente inquieto e confuso con quella del vecchio che fa decimare la famiglia del vicino, che pure conosceva?

E’ un romanzo con mille sfaccettature. Per quanto se ne possa scrivere, non se ne renderà mai la ricchezza: leggetelo!

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