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L’ultimo settembre – Elizabeth Bowen @NeriPozza

1920, Irlanda.

Siamo nella proprietà dei Naylor, appartenenti all’aristocrazia anglo-irlandese. Vivono di ricevimenti, tè pomeridiani e partite di tennis estive. Sembrerebbe una vita ideale, peccato che tutto attorno imperversa la guerra.

Gli inglesi hanno stanziato il proprio esercito in Irlanda per contrastare gli attacchi dell’Ira. Ogni tanto si vede qualcuno incappucciato che attraversa un giardino di fretta, o si incontra un tipo mascherato e armato in un mulino abbandonato.

Nelle chiacchiere di salotto a volte i odono degli accenni a scaramucce e a ragazze che si sono trovate coi capelli rasati, ree di esser uscite con militari inglesi, me nessuno si sconvolge più di tanto.

Ma dai Naylor non si parla di queste… volgarità. Se qualcuno finisce sul discorso, lady Naylor è bravissima a svicolare.

Lois è nipote di Sir Naylor: è orfana. In famiglia la considerano poco, quasi non la ascoltano quando parla, e lei stessa, in un riflesso della poca attenzione che riceve, è una giovane dalle idee confuse, che non sa cosa fare nella vita.

Quando Gerald, tenente inglese, le dichiara il suo amore, lei reagisce in modo quasi indifferente, tranne poi sforzarsi di sembrare più coinvolta: ma è un atteggiamento mentale, razionale, perché il suo scopo è andarsene dalla casa dei Naylor e dalle loro eleganti maniere vuote.

Epilogo tragico, che non vi dico per non fare spoiler, ma che era abbastanza scontato, visto che lady Naylor non voleva saperne di un matrimonio della nipote con un poveraccio inglese (credo le desse più fastidio il “poveraccio” che l'”inglese”).

Nonostante la Bowen abbia dichiarato che Lois è un personaggio inventato, il romanzo è sfacciatamente autobiografico: basti pensare che anche l’autrice apparteneva alla stessa classe sociale e che è stata allontanata dal suo paese dalle zie proprio per evitare che si rovinasse con un militare inglese.

Oltre alla storia dei protagonisti, c’è lo sfondo delle incomprensioni tra inglesi e irlandesi, uno sfondo pieno di stereotipi e senso di superiorità.

La Bowen ha un’alta capacità narrativa: forse troppo alta per me.

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Letture interrotte

Sarò una svergognata, ma con tutti i libri che esistono al mondo, non è… etico leggere quelli che non mi affascinano sul serio. Ecco cosa ho deciso di interrompere oggi:

PORFIRIO DIAZ, LA SUA VITA E IL SUO TEMPO, di Carlos Tello Diaz

Diaz è stato uno dei fondatori del Messico moderno, ma questo libro narra solo le sue imprese di guerra dal 1830 al 1867. Sua madre lo voleva prete, ma lui ha deciso altrimenti. Certo è che il Messico è stato un paese disgraziato, oggetto di conquista o tentata conquista a destra e a manca (Stati Uniti e Francesi in testa), per non parlare delle guerre civili.

Ho iniziato la lettura per esercitare lo spagnolo ma sono quasi 500 pagine di battaglie, guerre, avanzamenti, fuggi-fuggi, richieste di armamenti, carestie, malattie endemiche, spostamenti di compagnie, soldati che disertano… e i nomi di personaggi storici piovono a catinelle. Nomi sconosciuti, per noi italiani che della storia americana siamo quasi digiuni. Insomma, mi sono annoiata e a metà ho cominciato a saltar le pagine.

Diaz era un uomo complesso: mi affascina la sua dedizione al presidente Juárez e al Messico, però non si può tacere del suo ruolo in vari episodi di saccheggio da parte dei suoi soldati… ad ogni modo, il libro si ferma quando lui ha 36 anni, dunque non lo vediamo in azione sulla scena politica.

LETTERE A UN ASPIRANTE ROMANZIERE, Mario Vargas Llosa

Non si può dire che Llosa non abbia una scrittura ammaliante! Tuttavia, avendo comprato il libro a occhi chiusi, su Amazon, non lo avevo sfogliato e non avevo la più pallida idea di cosa parlasse.

Mi aspettavo un manuale, con consigli concreti di scrittura, o qualcosa che ti ispirasse, che ti facesse prendere la penna in mano. Invece è un insieme di lettere piuttosto… colte. Profonde, certo, però non è quello di cui ho voglia adesso.

Ma… aiutatemi a sentirmi meno in colpa: voi non abbandonate mai la lettura di certi libri???

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L’esperienza di una immigrata

 

imageNOMAD – AYAAN HIRSI ALI

Ritengo che sarebbe prudente insegnare ai rifugiati alcune competenze di base prima di prestar loro denaro e fornir loro carte di credito e cataloghi di mobili, prima che vengano risucchiati in una subcultura di prestiti e frodi. (…)

In Europa c’è una crescente insofferenza verso l’immigrazione, la sensazione che molti immigrati non meritino l’aiuto che ricevono da generosi sistemi sociali. Si dice che gli immigrati abusano del sistema, che si comportano come parassiti.

Questa attivista per i diritti sociali (già scampata a qualche attentato), a sua volta scappata dal suo paese per evitare il matrimonio impostole dalla famiglia, analizza con occhio critico la situazione degli immigrati nel mondo occidentale.

Lei si è data da fare. Ha imparato la lingua, i regolamenti del paese in cui è andata a vivere, gli usi. Fa un po’ sorridere il resoconto dei suoi primi tempi in Olanda, dove è stata accolta come rifugiata.

Premetto che il trattamento riservatole dal governo olandese è sicuramente diverso da quello che le avrebbero riservato qui in Italia dove certi impiegati pubblici mancano delle più basilari competenze educative anche nei confronti dei propri concittadini: in Olanda riesco a immaginarlo un impiegato che sorride e spiega con calma la procedura per ottenere un prestito sociale; in Italia ho meglio presente l’atteggiamento degli impiegati agli sportelli pubblici che reprimono sbuffi e danno del tu.

Ma quando è arrivata nei Paesi Bassi, lei non aveva alcuna competenza, né conoscenza. Uno dei problemi principali che ha dovuto affrontare è stata la gestione del denaro. Come molti immigrati, era scappata da, non era andata verso. Non si poneva il problema dei doveri di un cittadino, non sapeva cos’era la cittadinanza, perché obbediva solo a regole di clan.

Dunque, quando si è vista offrire un prestito per comprarsi l’arredamento della casa, non aveva idea di cosa avesse per le mani. Lei e una sua amica hanno speso tutto il prestito per comprare una costosissima moquette e la carta da parati, e sono rimaste senza soldi, senza mobili, senza letti, senza pentole, ecc… Senza parlare del conto del telefono, che era diventato rosso a forza di chiamare in Africa.

Quando le hanno fatto vedere come funzionava una carta di credito, e ha capito che le bastava mettere una firma per comprare oggetti, lo ha fatto. Firma qua, firma là, si è ritrovata con un debito enorme.

Le mancava un minimo di formazione finanziaria. Le mancava la capacità di dire no a una commessa, visto che era stata cresciuta per dire sempre di sì. La furbizia di pensare che in inverno bisogna riscaldare gli appartamenti e che dunque le spese vanno su. La modestia di capire che fare acquisti in un supermercato a buon prezzo non è un disonore.

Senza contare il fatto che molti dei soldi ottenuti attraverso i prestiti sociali per immigrati andavano ai parenti nei paesi di origine, perché così richiede il Corano: aiutare gli appartenenti della famiglia è tassativo. Il che è un atto buono, in sé, ma ostacola l’ascesa sociale di molte famiglie nel paese di adozione.

Questo era (è) il problema di molti immigrati: tutti vivono oltre i propri mezzi, non sanno programmare le spese. E questo è particolarmente vero tra le donne musulmane, dice la Ayaan Hirsi Ali.

Io mi ritengo una razzista non dichiarata. Cioè a parole sono contraria al razzismo ma ogni tanto mi ritrovo a pensare o ad agire secondo i dettami del razzismo strisciante. Magari non lo faccio consciamente, ma è così. Per questo sto leggendo questo libro.

E mi resta una domanda: perché Ayaan Hirsi Ali, dopo tanti tentativi ed errori, ha capito cosa sbagliava e ha corretto la direzione? Credo sia stato per un mix di fortuna e volontà. Ma la cosa va approfondita.

 

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