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La misura della felicità – Gabrielle Zevin

Il sottotitolo “Come una bambina insegnò a un libraio ad amare i libri” lascia un po’ perplessi, dopo aver letto il romanzo. In realtà, Maya, la bambina, insegna al libraio Fikry ad amare un po’ tutto, persone comprese; ma non c’è una parte del romanzo in cui lui “odi” i libri, dunque Maya non gli insegna molto, da questo punto di vista…

Ma ecco la storia. Fikry è un libraio di mezza età rimasto vedovo da poco. E’ diventato un misantropo: cinico e dalla battuta velenosa, non è ancora alcolizzato ma non tralascia di ubriacarsi una volta alla settimana per permettersi di sognare meglio la moglie morta.

Dopo uno di questi eccessi alcolici, si accorge che qualcuno gli ha rubato un libro raro, il Tamerlane, scritto da un diciottenne E.A. Poe e stampato in soli cinquanta esemplari. Era l’unico oggetto di valore in suo possesso, qualcosa che gli avrebbe permesso di vendere la libreria e andare in pensione.

Il giorno dopo il furto, Fikry trova una bambina di due anni nella sua libreria: il biglietto che ha con sé è stato scritto dalla madre, che si dichiara disperata ma desiderosa che la figlia cresca attorniata dai libri.

In America le adozioni non vanno per le lunghe come da noi, e Fikry diventa… padre.

Ma chi è Maya? Sua madre viene ritrovata pochi giorni dopo morta sulla spiaggia: presunto suicidio. E il padre?

Non è un giallo, questo. Scivola più nel genere rosa, quando Fikry si innamora di una rappresentante e i due si sposano. Tuttavia, un lato “giallo” si scorge proprio sulla vicenda del Tamerlane e del padre di Maya… ma non vado oltre, sennò vi rubo il gusto di leggerlo.

Il romanzo è leggero (non spiacevole, dipende da cosa cercate e dal momento in cui lo leggete), ma, con una pila di libri in copertina e avendo un libraio come protagonista, mi sarebbe piaciuto che si parlasse più di letteratura… Si parla di libri, sì, ma poco, rispetto alle aspettative create. Gli apporti più numerosi sono quelli all’inizio di ogni capitolo, presentati sotto forma di note che Fikry scrive alla figlia (note che lasciano capire già a metà libro come finirà la storia).

Ad ogni modo, la copertina e il sottotitolo sono scelte editoriali, e non posso farne una colpa all’autrice.

E’ un romanzo leggero anche perché non indugia sui drammi: ci sono molti dialoghi, ma niente di sentimentale; piuttosto, un umorismo bonario, di quelli che ti fanno sorridere perché ti piacerebbe davvero prendere la vita come fanno i personaggi della storia.

Valutazione complessiva: 3,5 punti su 5.

Nella vita, quasi tutte le cose negative sono frutto di una tempistica sbagliata, e tutte le cose positive sono frutto di una tempistica giusta.

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Tess dei d’Urberville – Thomas Hardy

Ma perché, perché questa Tess è così sfigata?!?

(Attenzione allo spoiler, perché non posso parlare di questo romanzo senza dire come va a finire)

Ecco la bellissima contadinella che viene sedotta dal riccone e che resta incinta: la sua reputazione è rovinata (e le muore pure il neonato); si innamora di Angelo, un bravo ragazzo, che però, quando scopre che lei non è vergine, se ne va in Brasile, lasciandola in braghe di tela a far lavori usuranti e umilianti. Poi però Angelo ci ripensa, torna e va in cerca di lei. Si godono cinque giorni di intimità a fare le loro cosette, e poi lei viene arrestata e giustiziata, perché nel frattempo ha ucciso il cattivone che l’aveva sedotta (due volte…!!).

Ridotto così in sei righe, sembra un romanzetto Harmony. Ovviamente non lo è, stiamo parlando di Thomas Hardy, un classico della letteratura di lingua inglese. Però leggendo questo romanzo c’è davvero da mangiarsi le mani: ti ritrovi a parlare ad alta voce dicendo “Tess, svegliati! Ma dai, come puoi?? Non credergli! Ma sei completamente scema??”

Torniamo seri. E cerchiamo di rispondere davvero alla domanda iniziale: perché le capitano tutte queste sfortune? Cerco di snocciolare le ragioni che ho notato io:

Innanzitutto, Thomas Hardy lancia una critica alle leggi sociali, tanto dure con le donne quanto flessibili con gli uomini. Angelo se ne va in Brasile quando viene a sapere del passato di Tess, e nessuno dei due si pone il problema che un passato simile ce lo ha avuto anche lui, visto che ha confessato un episodio orgiastico con una signora. Ma solo Angelo può fare l’offeso! Tess piange e ripiange per farsi perdonare, per convincerlo a tenerla come serva, se non come moglie (!!!), e non gli fa minimamente notare che anche lei potrebbe sollevare le sue rimostranze! Questa è la parte del romanzo dove l’avrei presa a schiaffi…

Non dimentichiamo neanche l’atteggiamento fatalista di quel tempo: era quasi normale che una poveraccia con il viso poco più decente di quello di una capra venisse sedotta dal possidente di turno. A rafforzare questo atteggiamento contribuisce anche la forte vena bigotta della comunità del tempo.

Una parte della colpa ricade anche sul padre di Tess: tutta la storia nasce infatti quando lui viene a sapere di essere il discendente decaduto della stirpe dei D’Urberville (di cui porta una versione storpiata del cognome: Durbeyfield). Da qui l’idea di mandare la figlia a cercare appoggio al maniero dei presunti lontani parenti, con le conseguenze a catena che ne seguono. Vedo nell’incipit una critica alla gente del tempo che sbavava per un titolo nobiliare di qualche tipo.

Thomas Hardy, da bravo narratore onnisciente, cerca spesso di difendere la sua eroina, e questo mi fa ancor più rabbia, visto come l’ha fatta finire!

Altri aspetti del romanzo mi lasciano un po’ perplessa.

Innanzitutto, le coincidenze: sono mezzucci per far andare avanti la storia, ma suonano un po’ falsi (come quando i fratelli di Angelo e la signora trovano le scarpe che Tess aveva nascosto in mezzo a un cespuglio: come se le dame di quel tempo andassero a cercare in mezzo ai cespugli).

Fastidio simile alle coincidenze me lo ha provocato la sfilza di profezie: danno un tocco noir al romanzo, ma quando si ripetono (e il cavallo che muore, e il cocchio che suona, e la pietra a ricordo dell’omicidio…) perdono forza. Per lo meno per me.

Mi ha dato anche fastidio che Alec, il seduttore, si sia travestito un paio di volte, e ho trovato irrealistico che Tess si sia accorto che era lui solo dopo un po’ che le ronzava intorno.

Ho invece apprezzato la conoscenza che Hardy dimostra di avere sui lavori agricoli: li descrive nei minimi dettagli. Sembra quasi che li abbia provati in prima persona, o che sia rimasto ore ed ore ad osservare gli operai in azione (spero per lui che non abbia scelto questa ultima opzione perché si sarebbe reso un po’ antipatico).

Al di là della distanza emozionale che provo per una come Tess, e delle citazioni bibliche e teologiche che ormai non capisce più nessuno, non si può non ammirare la capacità dell’autore di farti andare con la mente nell’Inghilterra del tempo.

Ora però, ho bisogno di una protagonista un po’ più sveglia, vi prego…

  • rdyHaInn

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