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Il dolore innocente (Vito Mancuso)

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Se Dio è onnipotente, perché permette il dolore innocente e, in particolare, l’handicap? Forse non lo impedisce perché non è onnipotente?

Sono domande che teologi e credenti si pongono dall’alba delle religioni.

Secondo l’OMS, nel mondo nascono circa 8.000 bambini al giorno con qualche forma di handicap, dalle più lievi alle più gravi. E Dio che fa?

Mancuso, teologo laico, ha affrontato il problema dopo la morte di quello che, se fosse nato, sarebbe diventato suo figlio: cercando una risposta tra gli scritti cristiani, si è accorto che mancava un testo che approfondisse direttamente la questione.

Mancuso si dedica prima a una carrellata storica, esaminando le varie risposte che sono state date nei secoli e tra le religioni principali.

Esaminiamo le varie possibilità.

O Dio vuole la sofferenza innocente, o non la vuole.

Se la vuole, ci possono essere varie ragioni, così riassumibili:

  • punizione: per secoli la nascita di un figlio disabile viene fatta risalire a qualche malefatta dei genitori, soprattutto di natura sessuale
  • previsione: per secoli, in varie religioni, la nascita è considerata il segnale di qualcosa che doveva succedere
  • salvezza: la sofferenza diventa un ostacolo da superare per mondare dai peccati, propri o altrui.

Se Dio non vuole la sofferenza innocente, allora la stessa si verifica a dispetto (o con il permesso) divino (ma non approfondisco qui le varie ipotesi).

L’analisi storica delle varie risposte alla domanda iniziale occupa gran parte del saggio, fino a pag. 141 (su 209 pagine totali).

Quando poi Mancuso arriva alla sua conclusione, a mio modesto parere, non convince del tutto.

Prima ricorre al concetto di Contraddizione, che é un elemento essenziale della natura e della religione cristiana: pensate a una cellula che deve morire per permettere la sopravvivenza dell’organismo (apoptosi), o a una stella che deve esplodere per espandere nell’universo gli elementi chimici che renderanno possibile la vita, o a Gesù che era Dio e uomo, e che muore per far vivere… (e già qua, mi si chiede di tornare ai dogmi, dunque si abbandona il ragionamento logico seguito fino a poche pagine prima).

la legge che governa lo svolgersi della vita sulla terra è basata sulla morte

Poi considera l’handicap come la notte dello spirito, un passaggio necessario per far tabula rasa di nozioni e false credenze prima di arrivare alla vera conoscenza/illuminazione.

E infine si aggrappa alla Libertà, sommo concetto che, sembra, il nostro Dio ha tenuto in massima considerazione: il Dio cristiano sarebbe un dio impersonale che al momento della creazione ha dato delle informazioni top-down ma che poi si è ritirato per lasciar lavorare l’uomo e la natura in completa libertà.

L’unica condizione è che Dio, per far nascere la libertà della natura, rinunci a manifestarsi come persona, ma si manifesti solo come deitas, come principio divino impersonale, che agisce solo immettendo informazione top-down.

Sbaglio o questa frase si sconfessa da sé? Se Dio è impersonale, se non ha individualità, allora come fa a “rinunciare” a manifestarsi come persona? La rinuncia è una decisione che presume una persona che prende atto di varie opzioni tra cui scegliere. Dunque la persona c’era prima, e poi è scomparsa perché ha deciso di fare così?

Forse non ho una formazione sufficiente per capire certi passaggi.

Riassumendo: la natura tende alla Vita in un processo di prove ed errori.

Ma allora, perché continuiamo a parlare di Dio e a tenere in piedi istituzioni enormi come le gerarchie ecclesiastiche?

Continua a sfuggirmi qualcosa.

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Il vangelo del traditore, Bart D. Ehrman

Ma noi, che viviamo in un paese cattolico, lo abbiamo davvero capito perché Giuda ha “tradito” Gesù?

Guardiamo ai vangeli canonici.

In Marco, le motivazioni non vengono riportate. In Matteo si dice che Giuda tradisce per soldi. In Luca che il diavolo è entrato in lui. Per scoprire le vere motivazioni, dunque, dobbiamo rivolgerci altrove.

Negli anni Sessanta è stato scoperto in una grotta egiziana il Vangelo di Giuda (che non è stato scritto da Giuda, ma nel quale Giuda è, insieme a Gesù, il protagonista). In questo testo, Giuda non tradisce Gesù, bensì porta a compimento la profezia, perché tramite la consegna ai romani e la morte, Gesù riesce a liberarsi del corpo materiale per ascendere alla sfera divina. Si dice che Giuda era l’unico apostolo ad aver capito la natura di Gesù e che consegnandolo ai romani lo ha aiutato a diventare ciò che era.

Ne consegue, che neanche il vangelo di Giuda ci dà una base storica accettabile. Per forza: si tratta di un vangelo gnostico, corrente secondo la quale il mondo materiale è il Mal:  tutto ciò che esiste viene creato da una serie di esseri divini (alcuni esplicitamente negativi) e per essere liberati bisogna essere in possesso della Rivelazione (Gnosi) che viene elargita solo ad alcuni. Giuda, secondo il vangelo che prende il suo nome, era uno di questi favoriti.

Allora, come facciamo a sapere perché Giuda ha tradito?

Bisogna desumerlo dal contesto, sebbene una risposta sicura al 100% non sia possibile.

Partiamo dai pochi fatti certi che abbiamo: Gesù era un profeta ebreo apocalittistico. L’apocalittica era una corrente secondo la quale il mondo doveva aver fine per mano di Dio, che si era stancato del male che compivano gli uomini.

Quando Gesù parlava di Regno, quando diceva che il Regno stava arrivando, che non sarebbe passata la loro generazione senza vedere il Regno, lo intendeva in senso letterale, non spirituale. Sarebbe arrivato il Figlio dell’Uomo (che nei testi più antichi Gesù NON identifica con se stesso) che avrebbe fatto piazza pulita e avrebbe restituito il controllo delle 12 tribù di Israele (di cui 10, nel corso dei secoli, erano state decimate); ecco la ragione del numero 12, per gli apostoli: erano coloro che avrebbero dovuto guidare le tribù.

Ed ecco perché gli apostoli ad un certo punto si mettono a litigare tra loro per capire chi sarà il più importante tra loro: perché avevano inteso tutto in senso letterale. Era il senso in cui parlava Gesù. Il Regno era il regno terreno di Dio.

Quando Gesù ha cominciato a intuire che sarebbe finito male (non sarebbe stato il primo, tra i profeti ebrei che si mettevano sulla strada dei grandi sacerdoti) e ha cominciato a dire che sarebbe morto, si può immaginare la delusione degli apostoli.

Erano poveracci, neanche capaci di leggere e scrivere, ed era arrivato questo profeta a dire loro che sarebbero stati messi a comandare le tribù del regno di Dio… ci avevano creduto, tutto stava in piedi, anche le beatitudini acquistavano senso.

Questa può essere una ragione del tradimento di Giuda: una somma delusione, una frustrazione con i controfiocchi.

E come lo ha tradito? Nei vangeli sembra che Giuda si limiti a dire alle guardi dove si trova Gesù e a indicarlo con un bacio. Ma è poco probabile: le autorità romane avrebbero semplicemente potuto farlo seguire, non c’era bisogno di Giuda, per questo, né di baci e bacetti.

E poi, perché hanno arrestato Gesù?

Perché costituiva un pericolo per l’ordine pubblico. Insomma, si dichiarava re dei Giudei, il Messia, l’Unto; e dichiararsi re in un paese occupato equivale a una rivolta (tanto più che tra gli ebrei i rivoltosi armati non erano pochi).

Solo che se facciamo attenzione, Gesù non si era mai dichiarato Messia in pubblico.

Nei testi cristiani, canonici o meno, si dà per scontato che Gesù fosse il messia. Eppure lui non lo ha mai proclamato in pubblico. Ne deduciamo, che per saltare fuori, questo appellativo debba essere stato chiamato in causa da qualcuno. L’ipotesi più plausibile è che Gesù lo abbia usato in privato, nella stretta cerchia dei dodici, e che poi abbia chiesto di non divulgare la notizia.

Ecco in cosa consisteva davvero il tradimento di Giuda: nell’informare i sacerdoti che Gesù si era dichiarato il Messia. Era un segreto.

E nel divulgarlo, Giuda ha combinato un casino. Nell’ipotesi di Ehrman, Giuda non voleva che Gesù venisse ucciso. La sua intenzione era che venisse rinchiuso da qualche parte finché non passavano le feste ebraiche: se poi le autorità lo avessero interrogato, Giuda era sicuro che il pacifismo di Gesù sarebbe saltato fuori. Non aveva però fatto i conti con la tendenziosità delle alte cariche ebraiche, che appena vista l’occasione, la sfruttarono per mandare Gesù dai romani e farlo uccidere come sobillatore.

La buona fede di Giuda si può dedurre da un passaggio di Marco in cui Giuda chiede ai soldati di portarlo via “in modo sicuro”. La traduzione qui è troppo libera. Sarebbe più preciso tradurre con “sano e salvo”, cioè il timore di Giuda non era che Gesù scappasse (comportamento poco consono alla personalità di Gesù) ma che gli succedesse qualcosa di male a causa della confusione che c’era a Gerusalemme in quei giorni.

Ho riassunto in pochissime righe un libro che merita di essere letto tutto.

Ogni volta che mi immergo in testi storici del genere, mi meraviglio di come noi cattolici (io stessa, fino a pochi anni fa) diamo per scontate certe informazioni senza porci domande.

O meglio: io da piccola me le ponevo le domande; non capivo, ad esempio, perché Gesù era stato ucciso. Mi rispondevano: per salvarci dal peccato.

Che razza di risposta è??

Occorre ammazzare uno per salvare la gente dal peccato? Nell’ottica ebraica sì. Ci voleva il sacrificio. Non importa se a morire era il colpevole o un altro. Ma nessuno me l’ha mai spiegato. Non mi hanno mai spiegato le dinamiche romano-ebraiche del periodo, neanche da adulta. A messa, poi, lasciamo stare. Il pulpito potrebbe essere un magnifico luogo da cui insegnare certe cose, non dico in modo continuativo, ma ogni tanto, una notizia qui, una là, invece no, quasi certi fatti fossero segreti.

E vedo che anche in questi anni il mondo cattolico continua a divulgare parole vuote. Me ne accorgo dalle lezioni di religione e di catechismo: ai bambini viene detto che Gesù è morto in croce senza spiegare il perché.

Poi si cresce, si smette di farsi domande, e si ripetono frasi a papera.

Quando si trovano testi come quelli di Ehrman ci si trova sbalorditi: ehi, ma come mai ho smesso di chiedermi certe cose?

Forse perché nessuno ha mai risposto davvero, in certi contesti.

E poi si meravigliano che le chiese si svuotano.

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Storia del Cristianesimo, dalle origini a Teodosio, Panfilo Gentile

E’ un testo che risente, nello stile, degli anni in cui è stato scritto (1969). La parte relativa alla diffusione del cristianesimo post-Gesù è descritta in modo più appassionante da Carrère ne “Il Regno”.

Per quanto riguarda la vita di Gesù, invece, il libro risente, come quasi tutti i testi sull’argomento, di una grossa limitazione: si rifà quasi prevalentemente alle fonti cristiane.

Eppure, Panfilo Gentile, filosofo e giornalista laico, ci è utile per integrare o sottolineare alcuni punti.

a) Il sermone della montagna, come molte altre cose dette da Gesù, non è davvero “suo”. Sembra che questo discorso sia stato preso dal Hillel, un rabbino illuminato, forse maestro di Gesù stesso. Ce n’erano, di rabbini illuminati, a quei tempi: erano studiosi che cercavano di far staccare gli ebrei dalla lettera dei testi (ricciolini vari, divieti alimentari, ecc…) e di dare più importanza all’aspetto umanitario nella vita quotidiana.

b) L’ebraismo era una religione terrena, non prevedeva la resurrezione della carne. In realtà, secondo alcuni, neanche Gesù ne ha parlato. L’idea della resurrezione è di provenienza persiana.

c) Gesù è sempre stato ebreo. Era uno dei tanti ebrei che si staccavano dalla lettera della Legge, ma non ha mai preteso di creare una nuova religione (questo al 99% dei cattolici non è ancora chiaro).

d) Paolo giustifica la morte di Gesù in senso espiatorio, in linea con la tendenza ebraica, secondo cui Dio non perdona se qualcuno non viene sacrificato: che ad essere sacrificato sia chi ha commesso il peccato o un altro completamente innocente, secondo le tesi ebraiche era ininfluente.

e) Si può parlare della nascita di una nuova religione quando viene abbandonata la Legge e quando si accetta che anche i non ebrei possano essere salvati.

f) E’ Paolo che ha fondato il cristianesimo e ci è riuscito, in disaccordo dottrinario con Giacomo, Pietro e Giovanni, perché gli apostoli rimasti a Gerusalemme erano persone semplici, non in grado di controbattere alle argomentazioni di Paolo; senza contare il fatto che non ne avevano capito l’innovazione e che credevano di essere loro i veri depositari della storia di Gesù, perché loro, e non Paolo, lo avevano conosciuto di persona.

g) La distinzione che Paolo faceva tra carne e spirito era una metafora per le azioni cattive e quelle buone. E’ stata l’influenza ellenistica a travisare e a introdurre la contrapposizione tra corpo e anima.

h) I cristiani delle origini non sentivano il bisogno di dire che Gesù era nato da una vergine. E’ sempre l’influenza greca che si fa sentire, e che, abituata a ragionare in termini di Dei e semidei generati da un dio e da un/a umano/a, cambia le carte in tavola. Poi, siccome il dio ebraico non era antropomorfo, per risolvere il problema si è fatto entrare in campo lo spirito santo.

i) All’inizio i cristiani non sentivano il bisogno di una struttura gerarchica perché credevano davvero che il Regno fosse imminente. Poi si sono accorti che il regno non arrivava, e si son detti: “Beh, intanto che aspettiamo…”

l) Per circa 300 anni i cristiani non sono proprio considerati. Non se li filavano. L’impero era tollerante, gli andavano bene tutti gli dei pagani, bastava che non creassero casini. I primi cristiani erano considerati una setta interna all’ebraismo e gli imperatori volevano restare fuori dalle beghe dottrinarie. Non se ne occupavano neanche per perseguitarli e sembra che Nerone li abbia mandati a morire nel Colosseo solo perché sobillato da consiglieri ebrei (preoccupati da quella che consideravano una frangia blasfema), e solo in quanto convinto che i cristiani avevano dato fuoco alla città (cioè non li perseguitava in quanto cristiani).

m) Costantino voleva una religione unica per motivi di unificazione dell’impero. Per il resto, era superstizioso e non ci capiva nulla del cristianesimo. Non capiva neanche che il cristianesimo-ebraismo delle origini aveva un Dio geloso, che non ammetteva altri dei al di fuori di lui. Poi, una volta entrato a corte, il clero seppe come influire e brigare e dispensare favori ai propri fini.

Se è certo che da parte degli scrittori ecclesiastici si iniziò una campagna diretta ad ottenere dai principi una politica di sterminio del paganesimo e se è certo che un fanatismo sanguinario circolò fra le plebi cristiane, non è altrettanto certo che gli eredi di Costantino si ponessero al servizio di queste passioni sfrenate.

n) In generale, nell’impero anche dopo l’editto di Milano i riti pagani tra le folle convivevano con i riti cristiani:

Fino alla metà del V secolo a Roma si mantennero sempre i galli sacri per i presagi. I calendari di quest’epoca indicano sempre tutte le feste pagane e i giochi che le celebravano.

Fa bene leggere libri del genere, ogni tanto. Così non si danno per scontate istituzioni e credenza che vogliono farci credere universali nel tempo e nello spazio (e questo non ha niente a che fare con la fede).

 

 

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