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Perchè si ha raramente successo prima dei quarant’anni

imagePensavo di averle sentite tutte, ma c’è sempre il guru di turno che riesce a sorprendermi.

Sto leggendo “Pensa e arricchisci te stesso” di Napoleon Hill, uno che del suo interesse per i soldi e gli uomini di successo ha fatto un business. Sentite cosa dice:

Analizzando più di 25.000 individui, ho scoperto che raramente gli uomini raggiungono un certo successo prima dei quarant’anni, anzi, spesso cominciano a marciare spediti solo dopo i cinquanta (…). Il motivo principale è la precedente tendenza a dissipare le energie individuali nell’espressione fisica dell’emozione sessuale. La maggioranza degli uomini non impara mai che l’istinto sessuale ha altre possibilità di sfogo, che sono molto più importanti del puro atto di accoppiamento. I pochi che se ne rendono conto lo fanno dopo aver sprecato molti anni, nel periodo in cui l’energia erotica è al culmine, poco prima dei quarantacinque-cinquant’anni. Prima dei quaranta, e spesso anche dopo, la vita di molti individui è caratterizzata da un continuo spreco di energie, che avrebbero potuto essere veicolate in canali più proficui (…). Questa è un’abitudine molto nociva.

A parte il fatto che i veri uomini e le vere donne di successo sono anche felici e che la felicità non è mai slegata dalla sfera sessuale/emotiva, questo Hill è un gran sparatore di slogan e frasette di facile memorizzazione. Non dico che sbagli su tutti i fronti, ma qua pecca di semplicismo.

Quello che lui chiama spreco di energia è una necessità biologica e psicologica: non è necessario sublimarlo per arrivare al successo. Da come la mette lui, quando si sostituisce questo tipo di canalizzazione dell’energia con altri tipi di attività, ci si può concentrare sul successo. Ma per favore.

Non è il sesso che va sublimato, è tutta la personalità che va plasmata. E per farlo, ci vogliono anni.

L’autoaffermazione è una delle caratteristiche essenziali della personalità adulta. Ma cosa significa autoaffermarsi? Significa imparare a cavarsela da soli, capire che non si è più un bambino, la cui sopravvivenza/felicità dipende da qualcuno fuori di lui (genitori, nonni, maestre…). Significa essere autonomi, controllare il proprio ambiente (e non esserne controllati), imparare a mantenersi, scoprire che il successo te lo crei tu con le tue manine, non la tua mamma e il tuo papà.

Per autoaffermarsi è necessario sviluppare l’intelligenza emotiva e controllare certe emozioni e frustrazioni, non come i bambini che si mettono a scalciare davanti alla cassa del supermercato perché non gli compri i Kinder. E’ necessario imparare a gestire le relazioni personali e lavorative, imparare a parlare con diplomazia e ad esercitare la tolleranza e la pazienza; non come certi ventenni che passano da un lavoro all’altro perché i titolari o i colleghi non li “apprezzano”.

Per autoaffermarsi bisogna smetterla di comportarsi da bambini che si vedono al centro delle attenzioni del mondo, e imparare a sopportare la fatica necessaria ad attirare queste attenzioni in modo sano.

Ci vogliono anni di esercizio: non si nasce con la capacità di posticipare la soddisfazione dei propri desideri, di rinunciare a una cena oggi per risparmiare i soldi e usarli in un investimento proficuo domani, di controllare la rabbia, di superare i fallimenti, di aver consapevolezza delle proprie emozioni.

Il successo monetario  una forma di autoaffermazione: ci vogliono anni di lavoro su di sé. Non c’entra niente il sesso in sé, come pratica scollegata dal resto della personalità. Anzi, uno dei modi in cui l’adulto controlla il “territorio” è proprio il sesso. Come tutti i mammiferi, del resto.

La questione, poi, è un’altra: mentre l’autoaffermazione, intesa come passaggio alla fase adulta, è essenziale per l’essere umano (anche se tanti vivono benissimo da bambini), il successo monetario non lo è, e non tutti lo cercano con le bave alla bocca.

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Come diventare un Buddha in cinque settimane – Giulio Cesare Giacobbe

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Sebbene non si tratti di un libro lungo, è molto denso. L’autore stesso ci consiglia di leggerlo almeno due volte, una per assimilare i concetti base e una per metterli in pratica. Giacobbe ha studiato bene il buddhismo, e dunque parte dai precetti base, spiegandoceli in modo anche molto comico e irriverente, ma senza mai allontanarsi dal nocciolo: la sofferenza e il suo allontanamento.

Senza volerlo, il contenuto di questo libro si collega a quello del post precedente sulla forza di volontà, perché molto dipende dalla capacità di osservarsi.

L’uscire dalla mente, diventare l’osservatore del nostro stesso pensiero, attuale la Retta Concentrazione, non è di per sé difficile da realizzare: il difficile è RICORDARSI DI FARLO.

Interessante il parallelismo con la teologia cattolica, secondo la quale sarebbe proprio l’attivazione della coscienza a rendere possibile il libero arbitrio, che è l’elemento cardine della nostra umanità. Dopo tutto, gli animali non osservano il proprio pensiero, no? Ma ultimamente anche la psicologia e le neuroscienze si sono date allo studio dell’autosservazione: sembra che attivando le zone del cervello addette all’autosservazione, si tolga energia ad altre parti, ad esempio, quelle in cui sorge la rabbia o la tristezza.

E poi ricordiamoci sempre che mente e cervello sono un tutt’uno. Non puoi calmare la mente se non calmi anche il corpo/respiro.

Giacobbe anche qui ricorre alla suddivisione della psiche in bambino, adulto e genitore.

Semplice e profondo al tempo stesso: da leggere.

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Come fare un matrimonio felice che dura tutta la vita – Giulio Cesare Giacobbe

Mai sposarsi se prima non si è letto questo libro!
La regola generale è: uccidiamo i genitori che si tengono i figli in casa fino a 30-40 anni, perché stanno compiendo un crimine contro l’umanità. I figli sono il nostro futuro e tenerseli a casa finché non si sposano significa farli passare dalle gonnelle di mamma a quelle del partner senza avergli lasciato provare cosa significa essere adulto sul serio.

La giustificazione che essi adottano normalmente, che i figli non trovano lavoro, è una scusa falsa e puerile. Di lavoro in Italia ce n’è quanto se ne vuole. In Italia abbiamo bisogno di idraulici, falegnami, elettricisti, muratori, meccanici, saldatori, fabbri, manovali e contadini. (…) Abbiamo migliaia di dottori. Tutti disoccupati. Tutti che vivono con mamma e papà.

Gli ultimi matrimoni che ho visto fallire erano proprio dovuti al fatto che uno dei due (quando non tutti e due) è rimasto/a bambino/a, nel senso psicanalitico del termine: abituato/a ad avere tutte le attenzioni, convinto/a di essere al centro del mondo per l’altro/a, proprio come un bambino fa con la propria madre. Quando le attenzioni, per un motivo qualunque, smettono di essere incentrate su di lui/lei, si dice: non mi ami più. E via in cerca di un altro/a mamma.

E’ un libro pieno di verità. Tipo: bisogna vietare per legge la favola di Cenerentola. Non esiste un uomo che sia diventato ricco e che si dedichi completamente ad una donna. Se lo fa, smette di essere ricco.

Coloro che dedicano la propria vita al lavoro non devono sposarsi.

E poi, ci sono un paio di capitoli che mi fanno morire; il succo è che la fedeltà sessuale nel matrimonio felice che dura tutta la vita è… un optional. Oppure: L’infedeltà, se c’è amore, deve essere tollerata. Il matrimonio aperto è una prova di maturità perché non si considera l’altro come un possesso esclusivo (il che non vuol dire che si debba per forza avere un matrimonio aperto per essere felici… ma il discorso è lungo).

Insomma: da leggere assolutamente. Ma… prima di sposarsi.

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Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita (Giulio Cesare Giacobbe)

Ma sì, dai: pur di avvicinare alla lettura chi non legge mai, va bene anche uno stile così stravaccato e, a volte, volgarotto.

Il pensiero è il risultato dell’evoluzione naturale e serve per la sopravvivenza, per il problem solving: cioè, abbiamo un problema, ci si pensa su, si trova una soluzione e si agisce di conseguenza. E questo va bene: un pensiero finalizzato all’azione è una sega mentale benefica.

Ma il nostro cervello è perennemente occupato dalle seghe mentali malefiche, quelle scollegate dalla realtà e dalle azioni: è questo che ci porta via energie e che ci fa star male.

Per smettere di farsi le seghe mentali occorre rivolgere la propria attenzione a ciò che si sta facendo, a ciò che ci succede, al mondo che si ha intorno.

Ed è qui che Giacobbe ci porta ad esempio la disciplina buddista della meditazione/contemplazione e della presenza mentale, accennando velocemente a qualche tecnica (mantra vocali o silenziosi, ad esempio). Per attivare il processo della consapevolezza, si parte da un atto di volontà.

Dobbiamo soltanto pensarci.
E’ sufficiente infatti che spostiamo la nostra attenzione dall’oggetto della percezione alla modalità della percezione stessa, cioè alla nostra reazione emotiva o all’immagine che abbiamo di noi stessi in quel momento.

Sembra che il cervello abbia una quantità di energia stabile: se la indirizziamo verso la consapevolezza, togliamo energia alle seghe mentali, alle reti neuronali che sono andate in loop con un certo pensiero autoalimentandosi. Questa è una spiegazione razionale del sorriso del Buddha.

Ma voi non vi lamentate del vostro cervello? Io sì e tanto!! Soprattutto al lavoro, quando mi incavolo e perdo le staffe, e comincio a borbottare per conto mio ad alta voce: non mi piaccio per niente. In occasioni del genere, invece di seguire il cervello, bisogna ricordarsi di fermarsi e osservarsi, guardarsi da fuori. Perché è facile guardare gli altri come si comportano: è quando siamo noi a comportarci come loro che non ci rendiamo conto di quanto diamo fastidio!
L’esempio classico è il pettegolezzo e la malalingua: sono sempre gli/le altri/e ad essere pettegoli/e. Se però noi cominciamo a parlare alle spalle di questo/a o quel/la collega, allora non è pettegolezzo, stiamo solo raccontando come sono andate le cose…

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