Il romanzo è diviso in due parti ben distinte e per spiegarvele devo fare un po’ di spoiler.

Nella prima, Miles, detto Ciccio, inizia a frequentare il liceo di Culver Creek, Alabama. Qua fa la conoscenza del Colonnello, il suo compagno di stanza, del suo amico Takumi, e soprattutto di Alaska, di cui si innamora su due piedi, nonostante lei abbia un ragazzo fisso di cui si dice innamoratissima.
Tutta la prima parte parla di sigarette, scherzi goliardici, bevute, vomito, dialoghi senza capo né coda e le giornate sono scandite da un conto alla rovescia che è l’unico fattore che mi ha fatto continuare la lettura: volevo sapere cosa sarebbe successo il giorno zero.
Perché questa prima parte, nonostante ci siano accenni di interesse in Ciccio (che si impara a memoria tutte le ultime parole dei personaggi famosi) e Alaska (grande lettrice), la trama è scarsa. Devo ammettere che, a differenza di molti altri che hanno letto il libro, Alaska non mi stava molto simpatica: passava dalle domande filosofiche al vomito da bevute con una velocità da bipolare. E questo è l’effetto che ha voluto darne l’autore, ma lo si capisce solo dopo il giorno zero, e nel frattempo mi sono annoiata a leggere di questi che non avevano niente di meglio da fare nella vita che pensare a come comprarsi le sigarette e a dove nascondere le bottiglie di alcool.
Nel giorno zero, Alaska muore in un incidente stradale. Era ubriaca fradicia e dopo l’ennesima sbronza, gli amici l’avevano coperta mentre se ne andava dal campus di notte in auto per una destinazione ignota.
Qui i discorsi iniziano a farsi letterariamente interessanti (eh sì, Alaska doveva morire). Tutti i suoi amici più cari iniziano a soffrire di sensi di colpa per averla lasciata andar via in quelle condizioni. Sbigottiti, cercano una ragione.
Era talmente ubriaca da non vedere l’auto della polizia su cui si è sfracellata? O è stato un suicidio? Dove stava andando? Quali sono state le sue ultime parole?
Il fatto è che una ragione non la trovano. Non solo non c’è una ragione per la morte, ma non c’è neanche modo di capire davvero cosa frullasse per la testa di Alaska Young.
Young: giovane.
E’ un modo che l’autore adotta per dirci che i giovani non li possiamo capire, hanno troppa energia che si irradia in mille direzioni. E’ un modo per dirci che anche tra i giovani c’è l’incomprensione, la distanza. Non è un caso se Miles nota in più di un’occasione quanti strati di vestiti lo separano da un amico o dall’altro, e non è un caso se ammette di essere in cerca del suo grande Forse, un Forse che rimane tale anche alla fine del libro.
E’ un modo per ricordarci che anche da giovani si percepisce il labirinto in cui viviamo, che è una metafora per la sofferenza, e che anche da giovani, sebbene si sembri così spensierati, ci si chiede come si sfugge ad esso.
Non ci sono risposte a domande così antiche.
Forse una possibilità è lasciar andare: lasciarsi andare. Lasciar andare le persone che sono morte per rendersi conto, ancora una volta, di essere vivi.
Un’ultima nota.
Questo romanzo, come tanti altri che si rivolgono agli adolescenti, sembra dividere il mondo in giovani e vecchi.
In realtà, sono millenni che abitiamo questa terra, e i giovani, se non muoiono, si trasformano in vecchi. Voglio dire: sono le stesse persone, e da quando esistiamo c’è una sorta di vetro che divide gli uni dagli altri, come se fossero esseri di due pianeti diversi. Ognuna delle due categorie soffre di senso di superiorità, per un motivo o per l’altro, ma è inevitabile che un giovane, per quanta energia e intelligenza mostri nell’età d’oro, poi finisca col telecomando a guardarsi le serie di Netflix e a bersi le pubblicità di Gucci.
Il mondo va a catafascio, eppure in tutte le epoche ci sono state coorti di giovani pronti a cambiarlo.
E siamo ancora qui, con gli stessi problemi che vanno avanti da millenni.
Se i giovani fossero davvero la speranza dell’umanità, perché in tutti questi secoli non siamo mai riusciti a venirne fuori?
Le persone mature dovrebbero cercare di ricordarsi com’erano da giovani, e i giovani dovrebbero fare uno sforzo e ricordarsi che invecchieranno. Un po’ di rispetto da entrambe le parti non guasterebbe.
Chissà, magari un giorno potremmo perfino parlare di una possibile collaborazione…