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Tante piccole sedie rosse, Edna O’Brien @EinaudiEditore

Cosa dire? Spiazzante.

Sia nella storia che nel modo in cui è scritta.

Andiamo per ordine.

La storia si articola in tre parti.

Nella prima, facciamo conoscenza con questo misterioso e affascinante straniero che arriva in un paesino irlandese. Lavora come guaritore e sessuologo. Fidelma, la più bella e sola del paese, si innamora di lui e gli chiede un figlio, visto che lo ha sempre desiderato ma dal marito non è mai riuscita ad averne uno. Poi Vlad viene arrestato perché si scopre che era un criminale della guerra Jugoslava. Fidelma viene prelevata da casa da tre uomini, ex amici di Vlad, che la fanno abortire senza tanti fronzoli.

Nella seconda parte, Fidelma se ne è andata da casa e inizia a vivere a Londra in mezzo agli immigrati.

Nella terza parte, Fidelma va all’Aja a incontrare Vlad, ora recluso. Non dirò come va il loro incontro, né come finisce la storia.

Già la storia di questa donna è conturbante: pensate, desiderare tanto un figlio, restare in cinta e scoprire che il padre ha ammazzato e fatto ammazzare donne, vecchi e bambini, e poi venir quasi maciullata da tre sconosciuti. Non c’è da ridere.

Ma anche il modo in cui è raccontata la storia è fatto apposta per creare un senso di estraneità, per spiazzarti.

Una delle tecniche che usa, è cambiare il tempo verbale all’interno dello stesso paragrafo, dal presente al passato e viceversa. Poi ci sono tante voci diverse, ognuna che parla col suo timbro, e molte sono straniere, con le proprie sgrammaticature. È quasi un romanzo corale, ma con voci diversissime tra loro, e sebbene non partecipino tutte a raccontare la stessa storia, sono tutte legate da un filo rosso di violenza. E poi, ci sono le citazioni, dalla canzonetta pop a Shakesperare.

Insomma, un romanzo che tiene alta l’attenzione facendola andare di qua e di là come vuole lui.

Mi sono accorta di quanto sia brava l’autrice quando ho visto come ha caratterizzato Vlad: ce lo ha fatto conoscere con gli occhi della cittadina di Cloonoila, incuriosendoci quando si incuriosivano i suoi abitanti, ma anche spaventandoci e ammaliandoci come capitava a loro. Poi lo shock della scoperta è quasi subitaneo, sebbene, prima, l’autrice avesse già sparso degli indizi sulla versa personalità di questo straniero.

Merita di esser letto. Ti fa capire come sia difficile capire le persone.

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Il libro di Mush – Antonia Arslan

Il libro di Mush

Il libro di Mush

Ho conosciuto questa scrittrice quando è venuta a Torre di Mosto (VE) a presentare il suo primo libro, La masseria delle allodole, un romanzo di cui non ci si può non innamorare. Lei è una signora anziana, che cammina col bastone, ed è stata professoressa di letteratura all’università di Padova. Nella calma con cui parlava si intuiva un certo grado di… rassegnazione. E’ la stessa rassegnazione che si respira in questo ultimo romanzo.

Cinque sopravvissuti all’ennesimo massacro turco (siamo nel 1915), trovano tra le rovine del monastero, il libro di Mush, una raccolta, splendidamente miniata a mano, di omelie armene del 1300. E’ un libro enorme e pesantissimo, ma il gruppetto decide di spezzarlo in due per facilitarne il trasporto: vogliono portarlo in salvo, affinché della cultura armena resti qualcosa, anche se tutti gli armeni dovessero venir ammazzati.

Il romanzo attinge alla leggenda (sembra che davvero questo libro, che esiste sul serio,  sia stato portato in salvo da una donna, l’unica sopravvissuta del gruppo iniziale) ma le vicende che narra sono tutte verosimili.

La rassegnazione di cui parlavo all’inizio riguarda l’atteggiamento che i cinque hanno verso la propria vita: sanno di appartenere a un popolo destinato al macello; scappano dalle stragi ma con la sensazione che dietro l’angolo ce n’è un’altra a cui non si potranno sottrarre. Dall’altro lato, però, hanno una missione da compiere, e lo faranno, costi quel che costi.

La Arslan ha un bellissimo stile: molto poetico, sembra che a scrivere sia stato un antico narratore di storie. E tutto viene narrato al presente, come se la strage continuasse ancora oggi nel cuore degli ultimi armeni. O nel cuore di tutti quelli che in questi anni continuano a scappare dalle guerre e dalle cattiverie umane.

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