Tag Archives: genetica

La costruzione della felicità – Martin E. P. Seligman

image

Secondo questo psicologo di fama mondiale, la felicità dipende da tre fattori:

  • genetica
  • eventi esterni
  • eventi interni/pensieri

Sulla genetica non si ha alcuna influenza. Gli eventi esterni possono essere controllati entro certi limiti, ma se uno fa un incidente e perde le gambe o se non si ha un tetto sopra la testa, lo spazio di manovra non è molto ampio.

Sul terzo punto, invece, si può lavorare per aumentare il proprio grado di felicità. I pensieri che ci occupano la testa e che determinano le nostre emozioni possono riguardare:

  • il passato
  • il presente
  • il futuro

Per quanto riguarda il passato, le donne sono più portate degli uomini a rimuginare su eventi, tanto che l’incidenza della depressione nel sesso femminile è pressoché il doppio che in quello maschile. Come imparare a smettere di farsi guidare da pensieri tetri?

L’autore propone il sistema ABCDE:

A: AVVERSITA’: cosa è successo

B: BELIEF, o convinzione: come interpretiamo quello che è successo

C: CONSEGUENZE: cosa consegue dalle nostre credenze (es. hai mangiato una fetta di torta = avversità; ora metterai su un chilo = convinzione; resti nervosa per tutta la serata = conseguenza).

D: DISCUSSIONE: mettere in discussione la credenza. Per esempio, controllare con Cronometer le effettive calorie della fetta di torta e capire che non si può metter su un kg di grasso con 400 Kcal. Siamo molto bravi a mettere in discussione le affermazioni degli altri, ma prendiamo per oro colato i nostri pensieri , anche se non stanno in piedi.

E: ENERGIZZAZIONE: presa d’atto della discussione e delle sue conseguenze con comportamento derivante (es. smetti di essere nervosa e vai a farti una passeggiata).

Per quanto riguarda il presente, bisogna distinguere molto bene tra piaceri e gratificazioni. I piaceri sono di breve durata, possono portare a dipendenza, non richiedono l’intervento di pensieri elaborati. Le gratificazioni invece possono derivare da attività di lunga durata, richiedono l’intervento del pensiero e delle capacità analitiche e non creano dipendenza.

Le gratificazioni possono nascere quando mettiamo in moto le nostre potenzialità. Ad esempio, se una delle tue potenzialità è il piacere della scoperta e dello studio, trarrai più gratificazione da un lavoro legato alla ricerca e ai libri che da un lavoro all’ufficio reclami di un’azienda.

Da diversi studi risulta che chi eccede con i piaceri è più predisposto alla depressione, cosa che non succede con chi si dedica alle gratificazioni, anche se  a volte queste richiedono sforzi non indifferenti e anche se al momento non sembrano dar piacere.

Il massimo della vita è trovare un lavoro che rispecchi la tua vocazione (=potenzialità). Su un continuum che va da minima soddisfazione a massima soddisfazione per il proprio lavoro, possiamo distinguere:

LAVORO: fai quello che fai per lo stipendio, ma non vedi l’ora che arrivi il venerdì e ti senti poco coinvolto (un caso limite è l’operaio alla catena di montaggio, ma anche molti avvocati americani che, soprattutto all’inizio della carriera, devono dedicarsi a faticose ore di ricerca senza capire che senso finale abbia il loro lavoro né vederne i risultati)

CARRIERA: sei più coinvolto che dal lavoro, perché sebbene per te i compiti siano noiosi e poco coinvolgenti hai speranza di ottenere un posto migliore in futuro e ti adoperi a questo scopo.

VOCAZIONE: sei coinvolto in quello che fai e quando lo fai non ti accorgi del tempo che passa perché sei totalmente assorto. Sei riuscito a trovare un lavoro che oltre all’aspetto economico ti regala grandi soddisfazioni personali e sai che il tuo operato risponde a un disegno più grande. Es. un parrucchiere che riesce a instaurare bei rapporti con i propri clienti o un cuoco che si trasforma in chef creativo.

La felicità non dipende ovviamente solo dal lavoro. Nel libro si parla anche di altri aspetti (es. il rapporto di coppia) con tanto di test, per esempio per capire il proprio tasso di ottimismo. Una cosa è ormai sicura: la ricchezza oltre un certo limite non aumenta la felicità. C’è differenza tra un indigente e uno appartenente alla classe media, ma c’è poca differenza tra un ricco e un ricchissimo.

Un altro fattore che secondo Seligman non è importante per la felicità, è il luogo in cui si vive: Hawaii o pianura Padana secondo lui non generano un’alta differenza in felicità.

Mah. Se lo dice lui…

Leave a comment

Filed under Libri & C.

Perseverare è umano, Pietro Trabucchi

Parliamo di automotivazione. Non motivazione: ma automotivazione.

Il primo grande demotivatore è il mito del talento, sempre più diffuso nella nostra società. Credere ciecamente che il nostro destino sia determinato dalle predisposizioni naturali o dai geni conduce alla passività e alla rassegnazione.

L’automotivazione uno se la deve coltivare: inutile andare in cerca di motivatori esterni, che anzi possono essere controproducenti perché vengono vissuti “dalla maggior parte degli esseri umani come una perdita della propria autonomia”.
Anders Ericsson ha dimostrato che la maggior parte dei c.d. geni sono diventati tali per mezzo dell’applicazione, dell’impegno, non perché dotati di un particolare corredo genetico. Si parla delle 10.000 ore di pratica, il minimo per poter acquisire doti da maestro in un determinato campo. Ma la pratica deve essere intenzionale, cioè deve puntare sempre a qualcosa che non si sa fare bene, non adagiarsi sugli allori e indirizzarsi ad attività che si conoscono a menadito. E questo vale nello studio, nello sport, nel lavoro, ovunque.

Trabucchi ci porta ad esempio gli ultramaratoneti. Che mondo! Gente che corre, corre, corre sempre, per giorni, in piano, in montagna, al freddo, nei deserti, in cima alle montagne più alte del mondo, in mezzo alla giungla. La domanda che mi è sorta, e che sorgerà a chiunque leggerà questo libro, è: CHI GLIELO FA FARE?
Perché gli ultramaratoneti non entrano nell’Olimpo degli sportivi ultrapagati. Non li conosce nessuno, se non gli addetti ai lavori. Sono persone normali, che di giorno lavorano in ufficio, in fabbrica, sulle strade, ma che nei weekend si trasformano in iron men e iron women.
Trabucchi lavora con loro e spesso li accompagna nelle loro avventure. Ha studiato i loro meccanismi di automotivazione e ce li espone, non perché dobbiamo anche noi partire per un ultratrail ma perché l’automotivazione è necessaria in ogni campo: anche nel matrimonio, dico io (visti gli ultimi esempi che mi sono capitati davanti agli occhi… ma sorvoliamo).
E allora:
– no all’atteggiamento del bastone e della carota da parte dei dirigenti di un’azienda. L’atteggiamento prescrittivo produce buoni esecutori, non buoni lavoratori.
– sì alla manutenzione delle relazioni all’interno del gruppo (di lavoro o di sport).
– sì all’autonomia.

E ora, un estratto che troverei utile in molte delle aziende in cui ho lavorato:

Il primo accorgimento sta nell’essere disposti a investire tempo ed energie per stare insieme e conoscere a fondo i membri della squadra. Siamo governati dal falso assunto che le buone relazioni si trovano e non si costruiscono (…). Perciò tendiamo a sottovalutare l’importanza di investire nei rapporti. In realtà è molto più facile ed economico cambiare le relazioni piuttosto che le persone.
Entrare in sintonia con le motivazioni intrinseche altrui, fare sentire le persone capaci, riconoscere le loro competenze e i loro progressi: tutto ciò ha effetti molto più potenti sulla motivazione che non il ricorso agli incentivi o all’autoritarismo.

Però in un contesto quale è il Nordest industriale, la vedo dura. Quegli industriali che si sono fatti da sé, una volta raggiunto l’Olimpo dei benestanti tende a porre dei paletti con i dipendenti. C’è un punto limite oltre il quale la crescita dell’azienda impone questa divisione, credo. Trabucchi: ce lo vedi un Benetton che va a cena con gli operai della fabbrica e si fa raccontare i loro hobby? O che gira tra i cucitrici e chiede cosa cucineranno per cena?

Leave a comment

Filed under Libri & C.