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Se una notte d’inverno un viaggiatore – Italo Calvino

Calvino in Italia è un mostro sacro.

Non si diventa mostri sacri senza un motivo, e qui di motivi ce ne sono molti. Aveva sicuramente una cultura molto ampia (molto!); la capacità di rendere “leggeri” (la leggerezza essendo una costante della sua opera, addirittura teorizzata nelle Lezioni Americane) temi che altri autori sanno trattare solo in termini cupi o arzigogolati; e poi sapeva scrivere con facilità in registri diversi.

“Se una notte d’inverno un viaggiatore” è un romanzo sperimentale: scordatevi la linearità di una trama. E’ un romanzo a scatole cinesi, dove il protagonista è il lettore (ma è UN lettore o sei TU che leggi?) che cerca un libro, il libro di Calvino (metaletteratura), ma che si trova in mano sempre l’incipit di un romanzo diverso.

Non fa in tempo ad appassionarsi al nuovo romanzo, che per un motivo o per l’altro, non può continuarne la lettura.

Angoscia!

E’ un viaggio attraverso i generi letterari e attraverso i diversi tipi di lettori; si affronta il tema del libro come oggetto d’amore, oggetto perduto, oggetto odiato; strumento di lavoro; come scardinatore di dittature, ma anche come mistificazione, come apertura su diverse possibilità, come fautore di emozioni diverse.

E’ sicuramente una costruzione notevole, dove Calvino incastra temi diversi (la Verità nella falsità, lo specchio e la duplicità, il mondo editoriale, la comunanza di interessi che può nascere tra lettori diversissimi, l’influenza che un libro può avere nella vita reale, la ricerca continua di qualcosa, l’immedesimazione tra lettore e protagonista…).

Insomma, questo romanzo è un lavorone, lo ammetto.

Però non mi è piaciuto molto.

Capisco che al tempo, nel 1979, quando è uscito, fosse necessario; ma l’impressione che ne ho avuta, a libro chiuso, è quella di un esperimento letterario a tema.

Un esercizio stilistico. Riuscito, ovviamente: è Calvino, mica Topo Gigio.

Ma anche se mi ha fatto riflettere su tutti i temi che ho elencato prima (e su altri che ora non elenco), cosa ne è stato del vero piacere della lettura, davanti a tutti questi incipit interrotti sul più bello? Quando non fai in tempo ad affiatarti a una trama, ad affezionarti a un personaggio, che le pagine si interrompono e il Lettore finisce in avventure rocambolesche e improbabili?

Ecco: l’improbabilità delle avventure in cui incappa il Lettore alla ricerca del libro (dei libri) è un altro elemento disturbante, per me (eppure sono necessarie, nell’economia del romanzo).

Insomma, non gli darei più di un 3/5, proprio perché il piacere della lettura, che dovrebbe essere uno dei temi portanti del libro, è delegato… ad altri libri!

Ciò nulla toglie all’illuminante prosa di Calvino, e a perle come queste:

“(…) “Nella lettura avviene qualcosa su cui non ho potere.”

Avrei potuto dirgli che questo è il limite che neppure la più onnipresente polizia può valicare. Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta…

(…) finché so che c’è una donna che ama la lettura per la lettura, posso convincermi che il mondo continua…

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Niebla, Miguel de Unamuno

Sì, lo so che non bisognerebbe giudicare i libri dalle loro riduzioni, ma il mio spagnolo è ancora troppo rozzo per abbordare uno stile (e una storia) come questa:-(

Perché, diciamolo, è alquanto strana. Una meta-storia: un ragionamento sulla storia stessa e sul senso dei romanzi… e della vita.

Augusto, un giovane ricco ma poco pratico, un giorno esce in strada e si innamora di Eugenia, una ragazza che non ha mai visto. Peggio: da quel giorno, si accorge… delle donne. E non riesce a fare a meno di innamorarsi di tutte quelle che incontra. Inclusa Rosario, la ragazza che gli stira i vestiti.

Però, Eugenia è fidanzata. Con un nullafacente, certo, ma è fidanzata, e rifiuta l’amore (ma si può parlare di amore??) di Augusto. E Augusto decide di sacrificarsi, aiutare la ragazza finanziariamente senza chiedere nulla in cambio.

Lei accetta, non senza fatica. Ma solo dopo che il suo fidanzato le ha fatto capire che non vuole sposarsi, né lavorare.

Salto un po’ di passaggi e arrivo alla fine: Augusto decide di suicidarsi, ma prima di farlo, va a parlare con Unamuno in persona. Sì, il suo autore.

Ecco perché parlo di meta-storia. Richiama alla memoria sia i “Sette personaggi in cerca di autore” di Pirandello, scritto più o meno nello stesso periodo (ma sembra indipendentemente l’uno dall’altro), “The Truman show, e anche, a mio modesto parere, “Blade Runner“.

Solo che il romanzo di Unamuno è punteggiato di riflessioni filosofiche sulla vita, sull’amore, sull’anima, sulle donne, sui generi letterari… tutti argomenti che, in una riduzione, perdono profondità, e mi son sembrati ragionamenti di un bambino di sei anni. Devo leggere l’originale!

Mi piace l’uomo Unamuno. Mi piace sempre una persona capace di prendere decisioni, magari “sbagliate” (lui all’inizio era favorevole all’insurrezione dell’esercito di Franco), e mi piace quando, studiando la realtà, le cambia (ammettere di aver sbagliato è difficile… mi ricorda Thomas Mann, che, per ragioni diverse, ha tenuto un atteggiamento simile di fronte alla prima guerra mondiale).

Gente così decide dopo aver ragionato. Noi, al giorno d’oggi, decidiamo dopo aver guardato la TV.

I ragionamenti non arrivano sempre alla Verità, ma implicano comunque una fatica. Sì, decidere, scegliere, implicano fatica. Rischi, a volte. Come quelli che ha assunto Unamuno nel 1936, quando si è alzato in piedi durante la cerimonia di apertura dell’anno accademico (insegnava all’università di Salamanca) e ha detto quello che pensava della guerra incivile.

Ecco, sono innamorata (anche) di Unamuno.

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