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La ragione del più forte – Andrea Carraro

Uno dei primi romanzi di Andrea Carraro, scritto nel 1999.

E’ la storia di Gregorio, 35 anni, ancora convivente con la madre, che lui chiama “il donnone” e che la quarta di copertina definisce “opprimente”, ma che a me ha ricordato semplicemente tantissime madri italiane di figli grandi e grossi che non si scollano dalle gonne.

I primi capitoli ci introducono subito nella scialba vita di questo impiegato di banca: senza veri amici, criticone e invidioso, gretto, pronto a giudicare alla prima occhiata, senza compassione per gli altri, acido come una zitella… Devo continuare?

Il libro è particolare perché questo non-eroe è il protagonista e la voce narrante, dunque noi lo vediamo agire come un vigliacco e lo sentiamo parlare come un novantenne insoddisfatto, ma il punto di vista è sempre il suo: da un lato abbiamo la sua vita insignificante e dall’altro tutte le giustificazioni dietro le quali si nasconde (ah, dimenticavo: quando va in pausa, non timbra).

E cosa fa questo scialbo tipetto? Si rivolge ad un’agenzia matrimoniale per farsi arrivare dalla Russia la ventiduenne Sonja, giovane, allegra, gnocca e, dopo un po’, innamorata (nonostante in uno come lui non ci sia niente di cui innamorarsi, e lo dico da donna).

La mette in un appartamento lontano da casa per tenerla nascosta a sua madre, perché non dar giustificazioni (o perché si vergogna con gli amici di non essere riuscito a trovarsi una donna in un modo normale?), e già dopo due giorni che se la spupazza, le fa una scenata di gelosia perché l’ha vista parlare con dei ragazzi in piazza.

Il rapporto con questa povera ragazza, che non reagisce se non con qualche muso lungo, degenera. Gregorio arriva a picchiarla e a chiuderla nell’appartamento per evitare che parli con altri uomini.

Non faccio spoiler, ma leggetelo, perché è brevissimo (solo 133 pagine): forse un po’ troppo breve, in quanto certe situazioni avrebbe potuto approfondirle di più; ma forse va bene così, perché una persona come Gregorio si sarebbe solo dilungato nelle autogiustificazioni e non avrebbe aggiunto molto alla storia.

Conformismo, bugie, e squallore di un italiano medio, di cui fa le spese una povera immigrata.

Ma attenzione: sono i personaggi più utili, questi.

Perché noi ci vediamo come persone a posto, sempre con la coscienza pulita: leggiamo questo romanzo e giudichiamo negativamente Gregorio, senza renderci conto che certi suoi atteggiamenti sono anche i nostri.

E se nel finale Gregorio – dopo una breve esperienza di quasi pentimento – ritorna ad essere se stesso, la cosa ci disturba: tanto meglio.

Ce lo ricorderemo, forse, la prossima volta che proveremo a servirci delle persone.

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La ragazza del treno – Paula Hawkins

Tanto nominato quanto scontato… così imparo a leggere libri troppo pubblicizzati!

Farò un po’ di spoiler, ma il romanzo è così scadente che perfino io – nota a livello internazionale per l’incapacità di scoprire i colpevoli – ho capito chi aveva fatto cosa.

La storia della ragazza che passa in treno davanti alla casa del suo ex marito – e che per caso entra in contatto con la scomparsa e l’assassinio di una donna – è piena di COINCIDENZE: ebbene, quando le coincidenze fioccano come pop-corn, subiscono una metamorfosi e diventano punti deboli.

E’ un caso che Rachel si sia fissata a guardare proprio una coppia la cui casa dà sulla ferrovia; è un caso che la donna della coppia fosse la baby sitter della figlia del suo ex marito; è un caso che proprio quella donna scompaia; è un caso che proprio la sera della scomparsa Rachel fosse nei paraggi…

Un ulteriore elemento che fa scadere il libro è l’amnesia alcolica. Banale, banale, banale. Rachel non ricorda cosa ha fatto la sera del crimine. Non solo: non ricorda neanche tutte le volte in cui si ubriacava quando era sposata, e si è costruita una versione del proprio matrimonio che si rivelerà fallace.

E continua a ricaderci, a bere, a decidere di smettere e a ricominciare di nuovo fino a stordirsi: ma fatti curare, cazzo!

Volete un’altra banalità?

Rachel, osservando questa coppia apparentemente perfetta dal finestrino del treno, si è fatta le sue favolette mentali, tanto da dare dei nomi fittizi ai due protagonisti. Ma dopo la scomparsa della donna, si mette in contatto col marito. Bè, dopo due incontri in cui i due praticamente neanche si dicono il nome, finiscono a letto insieme. Ma… erano ubriachi, ovvio!

Di sicuro questo romanzo non avrebbe potuto essere ambientato in una comunità mormona.

Salviamo qualcosa?

Certo.

Megan, la donna che scompare, è (tra le altre cose) annoiata: credo che la sua noia sia stata ben resa e che abbia assunto un ruolo abbastanza verosimile nel decorso dei fatti.

Altro aspetto da salvare: Rachel sente una forte spinta a immischiarsi nella scomparsa di Megan perché l’ha vista con un uomo diverso dal marito. Questo le fa rivivere – ancora e ancora – il tradimento del suo uomo, dal quale non riesce a risollevarsi.

Esistono persone così, che sono emotivamente invischiate nel proprio passato tanto da vedere le storie altrui in modo del tutto sfalsato? Sì, esistono.

Ultimo aspetto da salvare: il parallelismo tra Rachel e Megan. Sono entrambe senza direzione, senza un senso che possa mostrare loro strade alternative alla tragedia.

Esistono persone così? Sì, esistono, e questa verosimiglianza salva il romanzo; ma lo salva nonostante la trama da thriller privo di consistenza, un thriller che non ci dà nulla di nuovo.

Voto: 2,5/5.

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L’amore molesto, Elena Ferrante @edizionieo @robadalettori

(English version: below)

Sono solo 170 pagine, ma sono dense di psicologia, luoghi, passioni e pensieri.

La madre di Delia annega la notte del 23 maggio, il giorno del compleanno della figlia. Non è chiaro se si tratti di suicidio, incidente o omicidio.

Delia lascia Roma e torna a Napoli per il funerale e per cercare di capire cosa è successo. Mentre ripercorre i luoghi della sua infanzia, salgono pian piano in superficie i suoi ricordi e ci permettono di ricostruire il passato della sua famiglia.

Veniamo così a scoprire che Amalia era una donna passionale, a volte civettuola, con molta voglia di vivere, che però veniva spesso picchiata dal marito gelosissimo. Che aveva un amico di lunga data, detto Catania, che frequentava anche in età avanzata. Che il padre di Delia aveva minacciato di uccidere la ex moglie solo una settimana prima della sua morte.

I ricordi però sono confusi, e non chiariscono del tutto il mistero della morte di Amalia. Pazienza: non è un giallo, questo. Vuole invece mettere sulla pagina una sofferta incomprensione tra madre e figlia, un rapporto in cui repulsione e voglia di immedesimazione si sovrappongono. E poi si parla di solitudine, tanta.

La Ferrante ha una bella scrittura che sonda nelle sfumature della psiche femminile come poche.

Però non mi piace molto l’immagine che dà degli uomini napoletani.

Io a Napoli non ci sono mai stata, ma i napoletani sono davvero così? Non se ne salva uno: tutti con tendenze violente, rozzi, con un’unica cosa in testa, sempre pronti a fissare nella scollatura delle donne, o a infastidirle nei mezzi pubblici, gelosi, braccano le sconosciute e i bambini per strada, fanno sesso con una che non vedono da trent’anni…

No, davvero, gente: è questa l’immagine del napoletano che vogliamo diffondere per il mondo?

Perché i libri della Ferrante sono tra i pochi libri di autori italiani che vengono pubblicati e letti all’estero. E io mi preoccupo, perché poi gli stranieri si fanno delle idee.

Inoltre, sebbene il libro mi sia complessivamente piaciuto, devo annotare una tendenza della scrittura della Ferrante che – secondo me – toglie un po’ di verosimiglianza ai suoi libro: le sue protagoniste pensano, sentono, ricordano molto. Però parlano poco, troppo poco.

Qualche parola, qualche frase smozzicata… le sue protagoniste me le immagino un po’ svagate, indecise sulle sensazioni da provare, sempre intente a studiare se stesse e gli altri. Donne che non agiscono per cause ed effetti, ma un po’ guidate dal momento, da sentimenti un po’ nebulosi…

So di toccare un mostro sacro, ma sono l’unica a pensarla così?


TROUBLING LOVE, by Elena Ferrante

The story takes place in Naple, where Delia comes back after 30 years for the funeral of her mother, who drowned the night of Delia’s birthday.

In a brief time Delia traces back her past: the violent father, the vivid mother, Caserta, the man who was perhaps in love with her mother, her uncle with one arm…

I never was in Naple, but I doubt that men there are very different from the men I know here in the North East of Italy. Ferrante’s men are all lustful, are always ready to touch women’s ass in buses, are violent and vulgar and have just one thing in their heads. No men in this book is safe from this stereotype.

Well, folk: this is not true, please.

Please: do not take this book as a realistic image of Italian male!!

Another thing that I do not like in Ferrante’s book is that her protagonists do not talk. Just few words or sentences, but in general, they seem absent-minded or too absorbed into their thoughts about themselves or other people.

That is true above all for this book, in Naple, where everyone is a chatterbox: here Delia seems an ET.

And you, abroad, have you ever read some of Ferrante’s books?

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Nemico senza volto, Charlotte Link

(Deutsche Version: unten)

Nathan e Livia Moor fanno naufragio nei pressi dell’isola di Skye. Vengono salvati per miracolo, ma non hanno più nulla al mondo, perché avevano investito tutto nella barca colata a picco. Livia è completamente sotto shock e viene ricoverata in un ospedale.

I due sono aiutati da Virginia Quentin e suo marito Frederic, che si trovano in vacanza da quelle parti. Solo che Nathan li segue anche quando i due tornano a casa, nel Norfolk.

Ovvio: non ha più un soldo, ha bisogno di tutto. Però mentre Frederic è a Londra per la sua campagna elettorale, sua moglie si innamora di Nathan. I due amanti trascorrono due giorni nella casa delle vacanze e Virginia affida la figlia Kim alla vicina di casa (mah…). Peccato che la figlia scompaia.

Due volte. La prima volta scoprono che si era nascosta in una casa su un albero dove giocava da piccola. La seconda volta non la trovano più. E c’è un maniaco pedofilo in giro che ha già ucciso due bambine.

Non faccio spoiler, ma vi dico che se non fosse stato per il mio bisogno di esercitare il tedesco non avrei finito il libro.

Innanzitutto, ci sono troppe riflessioni. I personaggi pensano, pensano, rimuginano su quello che hanno fatto, su quello che potrebbe accadere, su quello che avrebbero potuto fare… Alla fine, tutti questi pensieri non portano da nessuna parte.

In secondo luogo, il comportamento di Virginia Quentin non è verosimile. Quando se ne va sull’isola di Skye con l’amante, quasi non si pone il problema della figlia, che il lunedì ricomincia la scuola. Se ne ricorda dopo due giorni. Quando torna e scopre che la figlia è scomparsa, va nel panico: la ritrovano, bene, non è successo niente. Ma lei che fa? Invece di attaccarsi stretta stretta figlia, la riconsegna nelle mani dei vicini perché deve andare a prendere il marito alla stazione e parlargli…?

Questa bambina è abbandonata due volte dalla madre, una volta dal padre (che se ne va alle sue cene elettorali dopo che la moglie gli ha messo le corna), una volta da entrambi i genitori (che devono andare a una festa a Londra e non vogliono portarsi dietro la figlia). Anche quando la bambina c’è, è come se non ci fosse. La madre se ne dà poco conto.

Però, poi, quando Kim scompare, vanno fuori di testa. Ma datela in adozione, che fate prima!!

Una madre non si comporta così. Non mi comporterei io, così. E io, notoriamente, non sono per niente una mamma apprensiva.

L’autrice cerca di giustificare questi comportamenti assurdi spiegando, piano piano, il passato di Virginia Quentin, i suoi sensi di colpa nei confronti dell’ex fidanzato e di un bambino morto per colpa sua; il bisogno di sentirsi libera e leggera come in gioventù; ma nonostante le tante pagine scritte per fondare certi atteggiamenti, leggendo mi mancava qualcosa: la verosimiglianza.

Lo definirei “Thriller psicologico”, però poco “thriller” e molto psicologico. E, che resti tra noi, non so se è più malata la psicologia del pedofilo o di Virginia Quentin. A volte, è solo questione di gradi.


DAS ECHO DER SCHULD, Charlotte Link (Goldmann Verlag)

Die deutschen Aussteiger Nathan und Livia Moor haben alles ihr Hab und Gut in einem Schiffbruch verloren. Livia muss in einem Hospital wegen des Schockes bleiben, aber ihr Mann verliebt sich in Virginia Quentin, die Frau, die ihnen hilft. Virginia war auf Urlaub mit Ihrem Mann Frederick und ihrer Tochter Kim auf die Insel Skye.

Spaetestens folgt Nathan Virginia auch wenn sie Zuhause in Norfolk zurueckkommt. Sie werden Liebhaber. Sie verbringen zwei Tagen in dem Urlaubshaus in der Insel Skye, und Kim verschwindet.

Zweimal.

Das erste Mal, hatte Kim sich in einem Baumhaus versteckt, wo sie als kleines Kind spielte, so passierte nichts, nut eine toedliche Angst.

Voraussichtlich aber nicht so toedlich, wenn die Mutter ihr Kind nochmal verlaesst. Und das zweite Mal kann niemand das Maedchen finden.

Und in der Naeh gaben es schon zwei Maedchen tot gefunden worden.

Das Kind wird im Laufe des Buches mehrmals hier und dort verlassen… das ist ganz unglaublich. Ich bin nicht die aengstlichste Mutter in der Welt, doch haette ich nie so gemacht!

Das ist das erste Defekt vom Buch, und, meinetwegen, ziemlich gross.

Zweitens, und das ist nur entnervig, gibt es zu viele Denkens. Man denkt, was man gemacht hat. Man ueberlegt, was zu tun ist. Man fragt, was man getan hat und was wuerde es geschen, wenn man etwas anders tun wuerde… es ist als ob, die Schriftstellerin, die Blaetter nur einfuellen wollte.

Krimi? Nein: zu viele Gedanken. Liebesgeschichte? Nein: hier spielt Liebe gar keine Rolle. Pshychologisches Roman? Vielleicht: aber wegen der pshychologischen Krankheit von Virginia Quentin, die so unglaublich wirkt; nicht wegen der Pshychologie vom Killer, der, am Ende, sogar ein bisschen banal war.

Luegen, Erpressung, Geheimnissen, schreckliche Geschehnissen: in diesem Buch ist es, alles zusammen genommen, ganz unwahrscheinlich.

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Vegan, le città di Dio, Remo Bassini

Tranquilli, non vi stresserò dicendovi quanto male vi fanno carni e latticini: lo sapete già, fate un po’ quel che volete.

Questo è un romanzo: un giallo.

Incentrato sull’alimentazione vegana?

Mmh, non direi. O meglio: sì, si parla molto di questa scelta alimentare, ma si parla anche di altro (ascorbato di Potassio, Gerson, aria pulita, biologico, carabinieri, servizi segreti, cura del cancro, amore…)

Tutto gira attorno ad Adriano Bronzelli, un padre di famiglia che, ad un certo punto della sua vita, molla moglie e figlio e va a vivere in riva a un fiume. Apre un blog (lui che è contrario alla tecnologia in generale), dove parla di alimentazione sana e di medicina naturale. Diventa anche guaritore.

Un matto, insomma, un fol, come lo chiamano i suoi compaesani. Uno da non prendere sul serio.

O no?

Perché sembra che il suo blog inneggi alla lotta armata, che sia il fulcro attorno cui ruota una rete di anarchici vegani; sembra che le città di Dio non siano quell’oasi di pace e serenità che si vuol far credere.

Poi, una sera, Adriano Bronzelli muore.

Di infarto.

O no?

Il figlio, in seguito ad un incontro alquanto misterioso che gli mette la pulce nell’orecchio, decide di approfondire le circostanze della morte del padre e per farlo incarica l’investigatrice privata Anna Antichi.

Eccola qui la protagonista del nostro Bassini: stavolta è una donna, è vero, ma ci ripropone tutte le ombre “care” alla scrittura dell’autore. Tormentata, insonne, reduce dal lettino dello psicologo, con le pasticche e le sigarette sempre a portata di mano. Sola.

Attraverso tesi complottistiche, hacker, multinazionali sospette e mogli tradite, Anna Antichi riesce a capire cosa è successo quella notte disgraziata. Ma non vi dirò altro: solo che siamo in Italia, che Bassini è un giornalista che conosce i suoi “bastardi posti”, e che le cose cambiano senza cambiare mai del tutto.

Lo stile di Bassini è tutto suo: questo è il quarto suo libro che leggo, e ormai mi sono famigliari i suoi “E comunque (puntato)” all’inizio del paragrafo, i soggetti alla fine della frase e i personaggi tabacco-dipendenti. Messi insieme, i suoi romanzi sembrano parlare tutti dello stesso luogo, anche se cambiano i protagonisti: un bastardo posto, appunto, come dice il titolo di un altro suo romanzo.

Ma questo libro è perfetto per inquadrare il fenomeno vegano/salutista, e per mostrare quanto fastidio danno le terapie alternative.

Beh… dai, i vegani oltranzisti danno un po’ fastidio anche a me, che sono una vegana ormai abbastanza tollerante. Ecco come li descrive Bassini:

(…) parla sempre e solo di alimentazione, di multinazionali. E’ un invasato.

Un po’ di equilibrio a volte non fa male.

ps: ah, tanto perché non abbassiate mai la guardia, ricordatevi che la carne non solo vi alza il colesterolo (soprattutto quello cattivo), ma che vi manda in palla anche il sistema ormonale, aumentando le vostre probabilità di incorrere in malattie cardiovascolari e tumorali. I latticini invece…  ok, ok, mi fermo qui. Fate un po’ quello che volete.

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I meccanismi del tradimento maschile…

La terza moglie, Lisa Jewell

La terza moglie, Lisa Jewell

I libri di narrativa ti dicono le cose come stanno (oppure ti dicono quel che già sai), ma lo fanno con una vicenda particolare… nel caso in questione, questa sconosciuta (in Italia) autrice, ha raccontato la storia di un architetto con due ex mogli, cinque figli e una terza moglie che muore all’improvviso sotto un autobus, non si sa se per incidente o suicidio.

Pian pianino entriamo in questa famiglia allargata dove tutti sembrano vivere d’amore e d’accordo, e ci accorgiamo delle ferite che i divorzi e i tradimenti si sono lasciati alle spalle: soprattutto tra i figli.

Il romanzo è costruito come un giallo, dove gli indizi vengono rivelati poco a poco: ma sono quasi tutti indizi psicologici, strettamente legati ai caratteri e al passato dei vari personaggi. Devo ammettere che l’inizio non è entusiasmante, è lento, ci vuole un po’ per farsi prendere. Quel che mi ha colpito più di tutto, all’inizio, è la dipendenza degli inglesi dal tè e dagli alcolici…

Ma poi inizi ad avere a che fare con le doppie facce. E ti dici: no, non può essere così. E invece, in realtà, sì, è così: in scala più ridotta, senza morti di mezzo, ma è “normale” (cioè: rientra nella norma) che molte, moltissime persone ti dicano una cosa e ne pensino un’altra. E che parlino con amici e parenti di quel che pensano davvero di te. Chi non lo fa?

Alla fine si scopre perché Maya è morta. E cosa voleva fare prima di finire sotto l’autobus. E si scopre anche che il casino in realtà è partito da Adrian, che è passato da una donna all’altra e pensava di poterlo fare senza lasciar strascichi. Tipico comportamento da bambino che non pensa alle conseguenze di quel che fa. Ma, peggio di un bambino, che non si accorge delle reazioni e dei piccoli indizi che gli dicono come stanno davvero le cose.

Poi alla fine lo capisce, cosa ha fatto e… cambia. Ecco un bel paragrafo che mostra come funzionano i cervelli maschili quando decidono di non lasciarsi trascinare da un’avventura che sta per iniziare:

Adrian assorbì lo sguardo e lo tenne dentro di sè. Era ciò che avrebbe fatto da quel momento in poi con i complimenti e gli attimi carichi di complicità con donne bellissime che non erano sua moglie. Li avrebbe assorbiti e li avrebbe tenuti dentro di sè. Li avrebbe conservati come souvenir, ricordi del fatto che un tempo era stato un uomo che poteva scegliere la sua strada nella vita sulla base di stratagemmi e desideri di donne bellissime. Ma che adesso era un uomo che aveva trovato il suo approdo.

Ecco il punto fondamentale: quando ci si innamora, quando ci si lascia andare, a monte c’è sempre una decisione. Un atto razionale. Una scelta.

 

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