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La miglior vita – Fulvio Tomizza @RizzoliLibri

Ho fatto una fatica bestia a finirlo, e sono arrivata alla fine solo perché era il titolo della discussione del Gruppo di Lettura, altrimenti lo avrei messo da parte.

Motivo? Scrittura troppo elitaria per me. Ma mi consola il fatto che altri del GdL abbiano incontrato la stessa difficoltà.

Però… se non sono (siamo?) più abituati a leggere una certa narrativa, non è colpa dell’autore, che nel 1977 si è adeguato agli standard del tempo (by the way, con questo romanzo ci ha preso pure lo Strega). Da parte mia, Tomizza ha peccato un pelino di compiacimento per la prosa complessa, tuttavia, non si può dire che non fosse un bravo scrittore. Certo, non è un libro per la massa (di cui faccio parte).

Il romanzo narra la storia di quasi un secolo di una zona a confine tra Italia e Jugoslavia e dei passaggi di nazionalità da un paese all’altro con i conseguenti drammi. E’ tutto narrato in prima persona; il narratore è il sacrestano, che racconta le grandi e le piccole storie in sette capitoli, uno per ogni sacerdote che passa nel suo paesetto.

Ci sono alcuni episodi umoristici, ma l’atmosfera complessiva si assesta sul nostalgico e struggente. Personalmente, la parte che mi è piaciuta di più è quella relativa all’ultimo sacerdote, don Miro, che si è innamorato di una maestra ma che, non potendo amarla, si dà al bere.

Nonostante non sia un libro per me, ripeto, la storia è carina. Ci vedrei bene un film.

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La tedesca, di Alessio Alessandrini, presentazione a S. Stino di Livenza (VE)

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Sono stata ieri sera a questa bella presentazione del romanzo (basato su fatti realmente accaduti) del prof. Alessandrini. Ha parlato per un’ora e mezza senza mai far calare l’attenzione e mentre spiegava la genesi e la storia del libro, ha proiettato foto e documenti d’epoca davvero interessanti.

Non si tratta di una storia facile, perché al centro c’è la vicenda di una donna uccisa dai partigiani. L’autore ha subito messo in chiaro che lo scopo non era prendere le parti di partigiani o di fascisti, ma di raccontare dei fatti che stavano per venir dimenticati (come dimostrano le croci accanto a molti nomi elencati nella parte dei ringraziamenti). Considerando questo obiettivo, mi ha lasciata un po’ perplessa quando ha detto che una volta pubblicato il romanzo, sia i discendenti della vittima che quelli degli assassini, non abbiano più voluto aver a che fare con lui (salvo un paio di eccezioni).

Gli uni avrebbero voluto che il libro dipingesse tutti i partigiani come sadici assassini; gli altri avrebbero voluto che i loro avi fossero stati scagionati, e che la vittima apparisse in veste di spia dei tedeschi.

Alessandrini, che ha lavorato almeno cinque anni su fonti documentali di varia origine, non ha potuto prendere le parti di nessuno: da un lato le carte dimostravano che la Tedesca si era davvero prodigata presso i comandi di occupazione tedesca per aiutare i suoi compaesani; dall’altro il valore della resistenza dovrebbe essere, come ha detto l’autore “ormai sedimentato”, e non si dovrebbe aver paura di riferire eventi come questi, anche se macchiano l’idea monolitica che tendiamo a farcene.

Alessandrini ha ammesso di essersi chiesto se, sulla scorta di tutta la documentazione raccolta, dovesse pubblicare un saggio o un romanzo. Ha optato per il romanzo in modo da salvaguardare anche il lato emozionale della vicenda personale, senza però mai rinunciare a delle digressioni sulla Storia di quel periodo.

Penso abbia fatto bene.
Innanzitutto, un romanzo ha più probabilità di venir letto di un saggio.
E poi, anche se ci vantiamo della nostra razionalità, di fatto siamo esseri emozionali: sono le emozioni alla fine a farci muovere (come ci suggerisce anche l’etimologia del termine).
Se è vero che la storia che non si conosce è destinata a ripetersi, è anche vero che ciò che conta è il modo in cui si conosce la storia. Un elenco di date e battaglie non ci smuove niente tra le costole. Ma se ci affezioniamo a una figura di cui leggiamo gioie e timori, la nostra empatia diventa un pochino più forte.

Certo, alla fine qualcosa però bisogna leggere… e qui mi tocca dire che alla presentazione ieri sera c’erano poche persone di S. Stino. Un po’ vergognoso: l’autore meritava davvero una platea più polposa.

Quando mi sono trasferita da Gainiga a S. Stino ero tutta contenta perché, sapendo che c’era addirittura (!) un centro culturale, mi son detta: chissà quanta gente legge in quel paese!

Come non detto.

Ma torniamo al libro. A Flaibano, in Friuli, dove la Tedesca ha vissuto, i cittadini attendevano l’uscita del romanzo con trepidazione.
Come dicevo, la storia si stava perdendo: nessuno conosceva i dettagli, non si capiva bene chi era stato ad uccidere la donna, c’era il dubbio che qualche concittadino avesse partecipato all’esecuzione e, non sapendo come erano andate le cose, giravano invenzioni anche piuttosto truculente. Era una vicenda di cui si preferiva non parlare e in paese aleggiava un vago senso di colpa per non aver potuta salvare la Tedesca. Il libro ha fatto luce, ha fatto diradare la nebbia che campeggiava nella memoria e nelle conoscenze di molti anziani presenti in sala.

Non ho ancora finito di leggere il romanzo, sono solo a pag. 50.
Se la vicenda e il lavoro documentale mi sono abbastanza chiari, non posso ancora giudicare granchè il romanzo in sé. Di sicuro è un lavorone e capisco quando l’autore dice che è stata una fatica raccogliere tanti dati.
Però non posso sempre parlar bene dei libri, qualche pecca la devo trovare. E a mio parere ci sono troppi avverbi in -mente.

Un ultimo appunto: la copertina riporta il quadro di Salvatore Errante Parrino, anche lui a sua volta scrittore, il cui ultimo libro lo ho recensito qualche post qui sotto.

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La Traccia dell’acqua – Salvatore Errante Parrino

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Da mesi non trovavo un romanzo che mi piacesse. Ne iniziavo uno e lo mollavo dopo 10 o 50 pagine. Con questo, invece, nonostante l’autore non sia conosciuto come gli scrittori che ho rimesso sullo scaffale, è stata tutta un’altra storia.

Davvero: leggetelo. E’ ambientato in Friuli ed è una specie di mistery-rosa: lo chiamano romance, da qualche parte, ma questo nome non lo uso qui perché mi sembra di sminuire l’opera, che non è scritta solo per adolescenti che non hanno ancora preso il via della lettura.
In questo libro nulla è lasciato al caso, né i personaggi, ben caratterizzati e diversificati l’uno dall’altro, né le scene, né le descrizioni. Tutto gira attorno ad una casa che il protagonista si sta facendo ristrutturare sulle rive del Tagliamento, a un dipinto di S. Lucia e alla straordinaria somiglianza tra questa santa e la restauratrice di cui il protagonista si innamora.

Le coincidenze saltano fuori come per caso, ma alla fine torna tutto, anche l’elemento extrasensoriale e i defunti che parlano. Non si scade mai nel banale, neanche con le descrizioni, perché l’autore conosce non solo benissimo il territorio, ma anche l’architettura e l’arte tipica di quella zona friulana.

I personaggi non sono stereotipati perché non mancano di difetti, ma l’autore riesce a farceli restar cari anche quando il libro è finito.

E non manca la sorpresa finale.

Insomma, un bel libro: leggetelo.

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