L’aspettativa è la madre della delusione: mi aspettavo una biografia di Himmler e invece ho trovato un libro di storia del Fascismo.
Di Himmler, il “fedele Heinrich”, si parla solo di riflesso.
Le parti più personali sono la prefazione e la fine, che riporto sotto.
Dopo un tentativo di fuga, finita la guerra, Himmler si consegna agli inglesi ma durante la visita medica riesce a schiacciare la capsula di cianuro che aveva in bocca. A niente serve forare la lingua del prigioniero per tirargliela fuori impedendogli di inghiottire: troppo tardi.
Il 23 maggio il cadavere di colui che fu senza dubbio il più grande boia della Storia viene posto in una coperta dell’esercito e avvolto in una rete metallica legata con filo telefonico. Il sergente maggiore Austin, spazzino di mestiere, scava la tomba nelle vicinanze di Lunenburg. Mai, malgrado le proposte che gli vengono fatte in seguito, Edwin Austin svelerà dove giacciono i resti del fedele zio Heinrich.
Ma il resto del libro parla poco di Himmler. Di lui si conoscono le nefandezze e l’assoluta mancanza di partecipazione emotiva nei confronti degli ebrei; di lui si conosce l’assoluta fedeltà ad Hitler e la sua fede nella soluzione finale.
Ma su cosa pensava e sentiva davvero, non si sa quasi niente.
Il suo stesso diario era stringatissimo: Himmler era puntuale nel compilarlo ma si limitava ad avvenimenti di poche righe e raramente aggiungeva qualche pensiero personale.
Certo, però, che l’autore della biografia poteva sforzarsi un po’ di più… ad esempio, quando racconta del matrimonio di Himmler. Si parla per inciso della sua amante, ma niente di più.
Un saggio di ripasso sulla storia tedesca, ma troppo secco, poco appassionante.