Negli anni Trenta, Gufo Grigio era un personaggio famoso in Inghilterra e nel Nordamerica. Indiano meticcio, raccoglieva migliaia di persone alle sue conferenze spiegando come aveva vissuto nelle foreste del Canada insieme alla moglie e a due cuccioli di castoro; aveva abbandonato il suo passato di cacciatore per dedicarsi alla tutela dell’ambiente e degli animali e aveva scritto in merito diversi libri e articoli
Alla diffusione del suo mito aveva partecipato anche Lovat Dickinson, l’autore della presente biografia: ne aveva pubblicato un libro, che era stato un bestseller e la migliore fonte di guadagno per la sua casa editrice, e ne aveva organizzato diverse conferenze.
Peccato che nel 1938, alla morte di Gufo Grigio, il palco rovinò fragorosamente: venne a galla la vera identità di Gugo Grigio, che in realtà era inglese di nascita, aveva ricevuto un’educazione classica (con tanto di lezioni di piano) e aveva vissuto fino ai 17 anni presso le due anziane zie.
Lovat Dickinson all’inizio rimase scioccato dalla notizia: si diede da fare per ripristinare quella che lui credeva fosse la verità, ma dopo attente ricerche, dovette soccombere e ammettere di aver preso un granchio.
Gufo Grigio era in realtà Archie Belaney, nato ad Hastings in Inghilterra nel 1888. A diciassette anni era approdato in Canada in cerca di libertà ed aveva imparato le tecniche di sopravvivenza e di caccia direttamente dai locali.
Come suo padre, soffriva di “claustrofobia domestica”: ebbe alcune mogli, alcune contemporaneamente, e non si può certo vantare il suo spirito genitoriale, visto che seminò figli in giro senza darsi molto pensiero del suo sostentamento. Amava le donne e gli piacevano i bambini, ma dopo un po’, sentiva il richiamo della libertà e se ne andava.
Ciò non toglie che era un personaggio singolare. Dedicatosi alla caccia al fine di vendere pellicce di animali, una volta sposatosi con Anahareo, di stirpe indiana, e dopo l’adozione di due cuccioli di castoro si accorge dello scempio compiuto dall’uomo sulla natura e abbandona il suo mestiere dedicandosi alla scrittura e alla tutela dell’ambiente e abbracciando l’idea di ripopolamento faunistico di zone naturali.
Era un tipaccio: era capace di esprimersi in un inglese stentato, solo per rinforzare l’immagine indiana che dava di sé, e non lesinava il ricorso al coltello e alle zuffe, tanto che ebbe diversi guai con la legge.
Però incantava le platee e i suoi libri venivano venduti e… letti. Forse per via del personaggio che aveva creato, forse per via del difficile tempo in cui vivevano (anni Trenta: la gente era stanca di destreggiarsi tra dittatori e insicurezza, aveva voglia di un’Arcadia, un’utopia che la distraesse dai problemi del momento).
Un uomo con poche luci e molte ombre, ma chi lo ha incontrato non l’ha più dimenticato.