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Jeffery Deaver a San Donà di Piave

“Sono un imprenditore e non lo nascondo”, ha detto ieri sera alla libreria Moderna Jeffery Deaver.

Se deve creare un personaggio che faccia meno paura per attirare quei lettori che non amano troppo spaventarsi, lo fa.

Perché una frase così, nella mia testolina bacata suona male quando è pronunciata da uno scrittore?

Eppure è vero, Deaver è sincero, lo fa per vendere più libri. Non lo fa per un senso elevato dell’arte. Dopotutto l’arte è nata come artigianato, come mestiere per scopi pratici.

E cosa c’è di più pratico dei soldi?

Ci sono stati dei tentativi di andare al di là dell’intrattenimento. L’intervistatore aveva toccato temi di contemporaneità, Trump, elezioni truccate, privacy… Io gli avevo chiesto cosa gli faceva paura sperando che si togliesse un attimo la maschera da imprenditore e ci mostrasse quella dell’essere umano.

Ma Deaver svicolava, tagliava corto, tornava sempre al suo compito manageriale: spaventare la gente (per vendere di più).

No, non ci sto.

Anche se scrivi thriller, devi dimostrarmi che sai andare oltre l’intrattenimento e la battutina. Che Wikipedia non è la tua fonte principale. Che ragioni sull’uomo e che le conclusioni a cui arrivi possono essere discusse con un pubblico venuto per ascoltarti. Che…

Eh niente, sono io quella sbagliata.

PS: non l’ho comprato il suo ultimo romanzo. Gli ho fatto firmare una copia di un suo libro del 2017 che ho comprato usato per 2,50€😅😅😅

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Chiara Gamberale a S. Donà di Piave (VE)

Ieri sera sono stata alla presentazione de “Il grembo paterno” alla Libreria Moderna.

Chiara Gamberale è una donna spigliata e sorridente, una che ti immagini sempre circondata da tante amiche.

Per prepararmi alla presentazione, visto che non avevo ancora acquistato l’ultimo libro, mi son letta “La zona cieca” (Premio Campiello selezione Giuria dei Letterati 2008). E devo ammettere che Lorenzo, il protagonista maschile, l’ho trovato insopportabile.

Lidia però ne è innamorata e sopporta i suoi sbalzi di umore, i tradimenti, le frasi sprezzanti, la dipendenza dalle droghe, le bugie, le depressioni, le assenze fisiche e mentali. Ho fatto fatica ad arrivare alla fine, perché mi chiedevo: ma come si può abbassarsi a questi livelli? E parlo di Lidia, non di Lorenzo…

Come si può rinunciare ad avere una vita decente per colpa di un tipo così?

Poi però alla presentazione di ieri sera ho capito che cosa ha portato Chiara Gamberale a dedicare tempo a mettere su carta due personaggi così, che sembrano legati da una maledizione più che dall’amore.

Chiara Gamberale è sempre stata affascinata dalle parole e dalle persone che sanno usarle bene. Fin da piccola (ha scritto il suo primo romanzo a sette anni e mezzo) diceva che sarebbe andata a vivere nel paese degli scrittori, proprio perché ai suoi occhi gli scrittori erano persone belle, che sapevano “parlare bene”.

Con gli anni, però, si è accorta che le parole si possono usare in modi diversi, anche per fare del male, anche per sedurre: anche chi “parla bene” può usare le parole a scopi egoistici (anche se non sempre ne è consapevole).

Sotto questo punto di vista, Lorenzo de “La zona cieca” e Nicola de “Il grembo paterno” si assomigliano molto (prima di scoprire le differenze tra i due, devo leggere il secondo romanzo).

Chiara Gamberale è tornata a scrivere dopo quattro anni di pausa.

Quattro anni fa, infatti, è nata sua figlia Vita e questo le ha causato una specie di lockdown creativo, un vero e proprio evento, per lei che è sempre stata inseguita da così tante storie da aver difficoltà a scegliere quale mettere su carta. Due anni fa, poi, quando il primo marzo ha iniziato a portare Vita all’asilo e sperava di poter mettersi a scrivere di nuovo, è arrivato il Covid19, il lockdown per “eccellenza”, e quindi la piccola è rimasta quasi sempre a casa.

Questa era la seconda volta che le veniva il c.d. blocco dello scrittore. La prima volta è stato quando si è innamorata sul serio: era rimasta altri due anni senza scrivere (e poi ha scritto undici romanzi uno dietro l’altro).

Sembra dunque che quando le succedono questi eventi così importanti, la sua creatività vada in cantina: ma anche da là, continua ad ascoltare e immagazzinare quello che sente, come una brava massaia che mette via i vasetti di conserva per l’inverno.

Il messaggio di “La zona cieca” è ottimista e intimista: abbiamo tutti un passato, degli amori che ci sono stati donati, magari male, magari storti, ma che ci hanno plasmato in qualche modo; e questo è il materiale da cui dobbiamo partire per creare nuovo amore. E’ un messaggio molto diverso rispetto ad altri libri di altri autori (lei citava “La solitudine dei numeri primi”), ma mi è piaciuto, dà una scrollata ai rinunciatari e a chi si adagia su affermazioni coniugate al passato, come “questo mi è successo!”.

Adoro andare alle presentazioni dei libri. Si impara sempre qualcosa.

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