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Errore nel film dell’orrore?

Haunting è un film del 1999. Gli attori principali sono Liam Neeson, Cathrine Zeta Jones, Lili Taylor e Owen Wilson.

Liam Neeson è uno psicologo che invita tre persone in una vecchia ed enorme casa, quasi un castello, per effettuare dei test sulla paura e sull’autosuggestione. Solo che non sa che in quella magione c’è davvero un fantasma, anzi, non solo trovano lo spirito cattivo del precedente proprietario, ma anche una schiera di spiriti di bambini morti in circostanze non meglio definite.

La protagonista, Eleanor, non ha paura dei fantasmi dei bambini, anzi, si sente in dovere di aiutarli perché continuano a chiederle di trovarli.

Eleanor però è speciale: a differenza degli altri soggetti del test, lei non aveva visto l’annuncio dell’esperimento sul giornale: se ne era accorta perché aveva ricevuto una telefonata che lei credeva fosse stata fatta da Liam Neeson.

Solo alla fine si scopre perché lei è così speciale. Ce lo dice lei: una delle mogli dell’ex proprietario, che si è impiccata nella serra, era la sua bis-bisnonna.

E qui, secondo me c’è l’errore: all’inizio del film dicono che la coppia non aveva mai avuto figli. Era proprio questo il motivo per cui il proprietario aveva fatto decorare tutta la casa con teste di putti in legno, ed è questa la ragione per cui si faceva arrivare i bambini dalla sua fabbrica di tessuti.

Se la coppia non ha mai avuto figli, come può Eleanor essere la bis-bisnipote?

Addirittura, porta al collo un medaglione che le ha lasciato sua madre, morta da poco, ed è lo stesso medaglione che compare su uno dei ritratti della moglie del fantasma.

Possibile che abbiano fatto un errore così grossolano?

Qualcuno lo ha visto e può spiegarmi l’arcano?

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Black Easter @Netflixit

Ora che sono in ferie posso permettermi di guardare tutti i film che voglio, ma se volete un consiglio, NON guardate Black Easter…

Le premesse erano carine e mi ero lasciata fuorviare dall’elenco dei premi vinti da questo film indipendente. Ma probabilmente i giudici erano tutti fatti di droghe pesanti.

Un gruppo di giovani geni sta studiando le possibilità di trasferire la materia da un luogo all’altro. Sono pagati da un ricco mediorientale (di paese non meglio identificato) il cui scopo è trasferire armi dagli Stati Uniti al paese di origine per combattere gli infedeli (ma questo i genietti non lo sanno).

Durante gli esperimenti si accorgono che invece del trasferimento di materia hanno inventato il viaggio nel tempo, e il loro capo vuole impossessarsene per tornare ai tempi di Gesù e ucciderlo o farlo sparire in modo che il cristianesimo non si diffonda.

Buoni e cattivi si ritrovano a viaggiare in diversi continuum temporali e a parlare con Gesù in inglese, lingua che non era ancora stata inventata e il cui utilizzo sarebbe un indizio dell’origine divina di Cristo.

C’è il lieto fine, ma…

E’ un film recitato malissimo, coi tempi sono calcolati in modo elementare, ed è punteggiato da effetti speciali anni Ottanta: il suoi unico scopo è trasmettere il messaggio che col perdono si ottiene tutto. Un tipico film confessionale dello stesso livello qualitativo dei film russi dei peggiori anni comunisti, dove si può vedere un tizio che si mette a pensare ad alta voce per far capire cosa ha intenzione di fare.

Il tempo della vita è prezioso: non perdetelo con roba del genere.

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Due film: “Distruggete Los Angeles” e “The Village”

Partiamo dalla ciofeca: “Distruggete Los Angeles”. Non basta la bella faccina di Mark Dacascos a risollevare le sorti di un film scarsissimo.

A causa di alcuni esperimenti nucleari (danno la colpa alla Cina, ovvio), la terra sta per soffrire un incredibile aumento termico che ucciderà ogni essere umano. L’unico modo per fermare la catastrofe è far brillare una bomba nucleare sotto Los Angeles, in modo che la faglia oceanica smetta di allargarsi.

Già gli effetti speciali della prima scena del fuoco nell’Antartico fanno pietà.

Nella seconda scena, il colonnello belloccio deve salvare la studiosa da una casa in fiamme minacciata dalla lava, e si ferma a far battute allusive e a guardarle il sedere.

Personaggi buoni e cattivi: scontati come un paio di scarpe nel periodo dei saldi.

Un esempio? La figlia del colonnello-eroe non riesce ad allontanarsi da Los Angeles (perché l’America è grande, ma mai abbastanza, e i protagonisti finiscono sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato). Viene fatta prigioniera da un pazzo estremista religioso dalla faccia sfigurata che vuole darle fuoco, come ha già fatto con altre vittime; ma non lo fa subito: prepara tutto, butta la benzina, mostra la fiamma dell’accendino e poi va a guardare la TV… Due volte!

E quando uno cade in un pozzo di 400 metri, credetemi, muore: non alza la testa a guardare il timer della bomba nucleare.

Mamma mia, che disastro. Cosa è passato per la testa a Rutger Hauer di recitare in un film così scadente??

“The Village” è tutta un’altra storia (il regista Shyamalan è un genio, anche se questo film non è all’altezza di “Il Sesto Senso”, “Glass” e “Split”).

Comunità isolata tra le colline, fine Ottocento. La gente trascorre le giornate tra lavoro e preghiera, ma il villaggio è circondato da torrette di avvistamento che confinano con il bosco, dove vivono le… creature innominabili!

Il film inizia con il funerale di un bambino, morto perché nel villaggio mancavano le medicine. Il giovane Lucius (Joaquin Phoenix) chiede il permesso al consiglio degli anziani di poter andare nella città vicina a comprare medicinali per evitare ulteriori morti di innocenti. Permesso negato.

Ad un certo punto, incominciano a trovare animali morti e spellati in giro. Gli anziani pensano che le creature innominabili siano entrate in azione perché qualcuno le ha provocate. Però non sono così convinti…

Non vado oltre, sennò vi tolgo il piacere di guardarlo.

Ma il messaggio di fondo è questo: la paura è pericolosa, anche quando non ci sono motivi per avere paura.

E’ un messaggio potente, che ci riguarda sia a livello personale che sociale.

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Noah, ovvero: il Noè dei giorni nostri…

Non mi ha entusiasmato. Forse è colpa della pubblicità martellante, che ha creato troppe aspettative. Di sicuro sono perplessa per colpa delle numerose variazioni sul tema introdotte rispetto al racconto della Bibbia.
Per mia personale curiosità sono andata a riesumare la Bibbia: ho scoperto di averne tre versioni, ma tutte si discostano dal racconto del film in alcuni punti.
Intanto, il Noè della Bibbia aveva una cosa come seicento anni: e se Russell Crowe nel film aveva seicento anni, io sono gerontofila.
Poi: Matusalemme (era suo nonno? Non lo sapevo) è morto prima del diluvio, un bel pezzo prima, mi pare, non travolto dall’ondata.
E i custodi? Nella Bibbia si parla solo di Giganti, anzi, se ne accenna di striscio e poi basta: non si dice che erano fatti di fango, che odiavano gli uomini perché per colpa loro erano stati maledetti da Dio, che aiutano Noè a costruire l’arca, che vengono uccisi ritrasformandosi in esseri alati…

L’altro aspetto fastidioso: la questione delle mogli dei figli di Noè. Nella Bibbia, Dio dice a Noè di caricare sull’arca moglie, figli e mogli dei suoi figli. Nel film invece Noè non vuole portare mogli per i figli perché dice che Dio gli ha dato il compito di salvare gli animali, non si far riprodurre la specie umana una volta che le acque si saranno ritirate. Nel film Noè arriva addirittura a voler uccidere due nipotine appena nate perché sono femmine (se erano maschi, potevano vivere). Poi non lo fa, ma perché? Perché è Russell Crowe, dai!

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Hannah Arendt, film di Margarethe von Trotta

Film in cui non sentirete neanche una parola in italiano, solo inglese, tedesco e qualche frase in ebraico (non me l’aspettavo, ma è tutto sottotitolato).
La Arendt è stata incaricata dal New Yorker di scrivere degli articoli sul processo ad Eichmann tenutosi a Gerusalemme dopo che il criminale nazista è stato catturato dai servizi segreti israeliani. Il processo presenta già delle illegalità: Israele non esisteva al momento della perpetuazione dei crimini nazisti, e se processo ci deve essere, allora deve essere portato avanti da un tribunale internazionale, non da Israele… La Arendt si rende conto che questo processo non è in realtà incentrato attorno all’uomo Eichmann, ma è una strategia adottata da Ben Gurion per “lavorare” attorno al senso di colpa di tutti i paesi che hanno “lasciato” che la catastrofe avvenisse. E’ un processo politico, per legittimare il nuovo stato di Israele. E’ un processo che vuol sfruttare l’antisemitismo strisciante per giustificare la necessità di un paese in cui chi ha sofferto possa rifugiarsi.

La Arendt si accorge di tutto ciò, ma al processo ci va lo stesso. Certo è, però, che il giornale si aspettava una cronaca, non un’analisi filosofica sul Male. Tanto più che gli articoli della Arendt creano un vespaio perché accusano i vertici ebraici di aver collaborato coi nazisti. Si afferma, in essi, che la strage non avrebbe raggiunto il numero di sei milioni di persone, se i vertici ebraici avessero intrapreso una strada a metà tra la resistenza, che era impossibile, e la cooperazione. Molti ebrei accusarono la Arendt di difendere Eichmann e il nazismo, cosa che in realtà lei non voleva fare.
Ma nessuno ha colto il nucleo centrale del suo pensiero: Eichmann è un uomo banale, che ha colto l’occasione nazista per farsi la sua strada. Un burocrate. Un uomo che non sa pensare.

Ecco quello che è attuale: non sappiamo più pensare. La nostra abitudine al rispetto della legge (quale che essa sia) è così radicata che non siamo più capaci di distinguerne i contenuti. Pigrizia, se si vuole. Pigrizia mentale.
E, dice la Arendt, il male non è radicale. E’ estremo, ma non radicale. Per essere radicali bisogna andare in profondità, e ciò lo si può fare solo col pensiero.
Il bene è radicale, non il male.

Non siamo più capaci di pensare. A tutti i livelli.
Dalla bugia che si dice alla collega per difendersi in via preventiva da possibili fughe di notizie, ai ragazzini che iniziano a fumare e drogarsi per adeguarsi al gruppo, dal giovane che finge di divertirsi allo spritz hour perché tutti fanno così, all’uomo che firma una scartoffia per la deportazione di esseri umani perché sta eseguendo gli ordini.

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This revolution: un film da vedere

Jake è un giovane cameramen: è stato in Iraq dove ha filmato le violenze sulla popolazione civile, ma una volta tornato negli States, l’emittente televisiva per cui lavora non ha mandato in onda le immagini.
Ora siamo nel 2004, alla vigilia della convention repubblicana, in mezzo alle proteste anti-Bush.
Jake viene incaricato di infiltrarsi tra i Black Block o altri estremisti alla ricerca di materiale che… metta paura. Cioè, anche se a lui non lo fanno capire: materiale che giustifichi il livello di allarme generale, la restrizione di alcune libertà fondamentali e, alla fine, la guerra in Medioriente e contro il c.d. terrorismo.
Tutto salta quando Jake viene a sapere che i suoi filmati, girati tra i giovani “rivoluzionari”, prima ancora di finire all’addetto che sceglie cosa mandare in onda, vanno alla Homeland Security: in definitiva, la CIA. Cercano persone da schedare come possibili terroristi.

Questo film l’avete visto? No? Non mi meraviglio: è stato pubblicizzato pochissimo. Perché va contro le versioni ufficiali.

Parla di legami strettissimi tra mass media e servizi governativi. Fa capire come la paura che suscitano i Black Blocks e gli altri estremisti sia (in parte) costruita e costituisca uno dei pilastri su cui si appoggia la politica estera americana.

Chi l’ha visto “Star Wars I – La minaccia fantasma”? Quando Yoda dice che il piccolo Anakin può essere pericoloso perché ha paura di perdere la madre? La paura!

Tornando a This Revolution…
Anch’io ho visto per TV i filmati che riprendevano i Black Block all’opera. E ho pensato (penso in parte tutt’ora) che siano degli esaltati, dei vigliacchi che si nascondono dietro una benda, degli ignoranti che parlano tanto di sistema di controllo mondiale ma che poi mangiano da McDonald’s e spaccano vetrine e bruciano le utilitarie di persone che lavorano per far mangiare la propria famiglia.

Però…
Però non credo più nell’informazione obiettiva. Non credo più che ci siano giornalisti con le palle e idealisti, e se esistono le loro voci non arriveranno mai a me. Voglio dire: i telegiornali c hanno passato la notizia che i Black Block & C. sono il Male Assoluto. Che dobbiamo proteggere i nostri figli da loro.

Ebbene, ricordiamoci sempre che il Male Assoluto non esiste.

La divisione tra buoni e cattivi si propina ai bambini con le favole. “Il signore degli anelli” (ma anche “Star Wars”) e altri film del genere dovrebbero esser vietati ai maggiori di sei anni, perché è facile tornare al manicheismo infantile, non ci vuol niente a regredire, a scivolare nella pigrizia mentale che ti fa restar con la bocca aperta, là a inghiottire i pensieri elaborati da altri.

Insomma: se qualcuno vuol farti credere che certi gruppi siano il Male Assoluto, allora, questo qualcuno ha qualcosa da nascondere.

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Mongol – La vera storia di Genghis Khan

imageLa storia la scrivono i vincitori. Ma chi erano i vincitori che hanno tramandato l’immagine di Genghis Khan come mostro sanguinario? Alle elementari me lo hanno presentato così. E oggi, a trent’anni di distanza, mi ritrovo davanti al libro “I personaggi più malvagi della storia”, di Shelley Klein e Miranda Twiss (FocusStoria… davvero affidabile, come edizione), che mi ripropone questa immagine: Temugin, il futuro Genghis Khan, che uccide il fratello perchè aveva cercato di derubare la famiglia; Temugin che massacra, coi suoi eserciti, 700.000 uomini, donne e bambini.
E poi, il libro mi riporta un passo di una lettera scritta all’arcivescovo di Bordeaux:

“I loro capi si nutrono di cadaveri come se fossero pane, e lasciano agli avvoltoi soltanto le ossa… A questi cannibali vengono offerte donne vecchie e brutte perché se ne cibino durante il giorno. Quanto alle donne giovani e graziose, essi non le mangiano ma ignorando grida e pianti ne fanno scempio, costringendole a subire innumerevoli sevizie; violentano le vergini fino a far loro esalare l’anima, poi tagliano i seni, che riservano ai capi come prelibatezza, e divorano ingordamente il resto”.

Infine, mi trovo a guardare il film MONGOL, del regista russo Sergei Bodrov: e mi trovo davanti a un Tegugin piccolo che ne ha subite di cotte e di crude, che è stato malmenato, ridotto in fin di vita, gli hanno rubato la moglie, lo hanno imprigionato… e lui reagisce: girando mezza Mongolia per ritrovare la sposa che gli era stata promessa quando aveva nove anni; perdonando quello che ha cercato di ucciderlo; accettando come suoi due figli che la moglie è stata costretta a concepire con altri uomini; inserendo, come prime leggi del suo regno, il divieto di uccidere donne e bambini.

Probabilmente la verità sta nel mezzo.
Quello che mi lascia perplessa è che l’immagine che mi hanno inculcato da piccola, contrapponendo il khan mongolo ai “benefattori” europei, colti, benvestiti e, Dio liberi, religiosissimi, è una radice difficile da sradicare.
Chissà se dovrò aspettare altri quarant’anni prima di scoprire nuove facce di personaggi storici più vicini a noi. Va a vedere, che pure Hitler era un filosofo…

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Le colline hanno gli occhi 2

A me piacciono i film dell’orrore, ma un minimo di verosimiglianza ci vuole! Il mostro di turno si ritrova con una pallottola in testa, la tipa gli infila due dita nella materia grigia, gli bloccano un braccio al suolo con una coltellata e… è ancora vivo… è davvero troppo. Anche per me.

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Mamma Roma

Dopo “Accattone” a Pasolini era stata mossa una critica: il film mostrava il mondo degli emarginati, delle persone fuori della storia, ma non mostrava il mondo della gente normale. Con Mamma Roma Pasolini ha voluto rimediare a questa mancanza, e infatti la Magnani è una prostituta che, per amore del figlio, cerca di entrare nella buona società. Non ci riesce, ovviamente.

Ettore morto viene ripreso in un modo da ricordare il Cristo morto del Mantegna, quasi a dire: guardate che questa è una morte sacra, questo è un sacrificio, questo qui è una vittima. Vittima di chi o di cosa?

“Di chi è la colpa” se le cose vanno male, se qualcosa non va? E’ una domanda che è stata fatta nel corso del film. Mi richiama alla mente l’intento de “La rabbia”, il documentario scritto con Guareschi.

Pasolini era un uomo che sentiva tremendamente la nostalgia del passato (“io sono una forza del passato” dirà in una delle poesie composte durante le riprese del film), avvertiva la perdita del sacro e l’avvento della modernità e del consumismo come una profanazione. Se a ciò si aggiunge l’amore per il mondo contadino, davvero ci si chiede come mai si sono beccati lui e Guareschi. Partivano da un comune sentire, ma si sono scontrati sulle modalità per raggiungere l’obiettivo comune, l’essere umano. Paolo ha rimproverato a Guareschi di essere, come ogni umorista, un reazionario, e Giovannino ha rimproverato a Pasolini di essere un comunista, e pertanto di non pensare con la sua testa. Se ritornassero a vivere ai giorni nostri penso che si darebbero la mano e si metterebbero a piangere.

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