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Alonso e i visionari (Anna Maria Ortese)

Rispetto a “Poveri e semplici”, la lettura è più piacevole. Intanto non è inficiata da tutti i vezzeggiativi del libro che ha vinto lo Strega; e poi, la storia è più avvincente.

Si inizia con un omicidio, che però forse è un suicidio: siamo alla fine degli anni Cinquanta e la vittima è Julio Decimo, un giovane scapestrato a capo di una banda di malviventi. Julio è il figlio del professor Decimo, che ha passato la vita a dimostrare la necessità di un approccio razionale alla vita.

La vicenda è narrata trent’anni dopo dal professor Op, l’amico americano di Decimo, mentre si trova in vacanza in Italia dalla compatriota Stella Winter.

Oltre ai personaggi umani, la vicenda ruota attorno al puma Alonso. L’animale è stato portato in Italia dal professor Decimo per accontentare il figlio più piccolo, e subito si rivela un essere fuori dall’ordinario per dolcezza e attaccamento al bambino.

Ma la storia si ingarbuglia quando la figura del puma si sovrappone a quella di alcuni esseri umani, in primis, il custode del professor Decimo, che viene descritto a volte un sempliciotto e a volte un criminale; e poi si sovrappone ad altri animali che saltano fuori nel corso della storia e scombussolano molte menti.

Perché ad un certo punto, il puma muore. O forse muore due volte. O forse non è mai esistito, o forse è immortale… la vicenda si mescola con il vaneggiamento e il puma diventa il simbolo del mondo degli umili, o forse Dio stesso.

E’ un libro immaginifico con una prosa esigente, che solo nelle ultime pagine cede all’abitudine dell’autrice di eccedere con i vezzeggiativi (ne ho trovati solo tre: capino, gambina, grembiuletto, che per me sono comunque tanti).

L’invito è di lasciare sempre una ciotola piena d’acqua a disposizione del puma o di quello che esso rappresenta.

L’interpretazione è personale.

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Verderame, Michele Mari @EinaudiEditore

Molto più leggibile (e piacevole) di “Di bestia in bestia”, qui Mari crea un’atmosfera di mistero e nostalgia.

Michele è un bambino di tredici anni. Trascorre l’estate del 1969 dai nonni, in una gigantesca casa di campagna del Varesotto. Fa amicizia con Felice, il fattore, un uomo bruttissimo di circa sessant’anni, di cui non si conosce il passato e che parla solo in dialetto.

Felice inizia a perdere la memoria. E’ disperato perché non si ricorda più il viso del padre. Michelino lo aiuta facendogli applicare delle mnemotecniche (ad esempio, con dei cartelli che mostrano da che parte sta il bagno), ma i discorsi confusi di Felice lasciano intravedere un passato misterioso in cui si mischiano francesi, zaristi, fascisti, partigiani.

Il mistero si infittisce quando nella cantina di casa Michelino trova delle bottiglie vecchissime piene a metà di sangue rappreso… ma anche le lumache, enormi, sono strane: Felice le chiama “lumache francesi” e conduce contro di loro una vera e propria campagna.

E poi, ci sono i cadaveri: tre scheletri vestiti da SS in un antro segreto e quindici (o quaranta) scheletri francesi sepolti nel prato.

E’ un romanzo allucinato ma appassionante: Michelino ragiona in termini avventurosi, alla Melville o alla Poe, e applica le sue conoscenze alla vita di Felice. E alla sua, naturalmente.

Alla fine ti chiedi: ma Felice esiste? E’ mai esistito? E Michelino chi è?

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