Se la gente si dimentica di chi arriva secondo al premio Strega, allora… rinfreschiamo la memoria all’Italia.
Certo, non è facile spiegare questo libro, forse non bisogna neanche provarci. Ma – dopo aver incontrato l’autore a Pordenonelegge – mi è venuta voglia di sfidare il destino.
Trevi ci racconta la sua esperienza al Fondo Pasolini. Non è importante se la narrazione sia vera o meno, se ciò che racconta gli è successo davvero così e cosà.
Il fondo Pasolini era stato messo in piedi e fortissimamente voluto da Laura Betti, una delle attrice del regista (ma anche cantante e, per i fans del genere, doppiatrice del diavolo in “L’esorcista). Forse è riduttivo definirla così: Laura Betti idolatrava PPP. Ma sul serio!
Quando Trevi, giovane autore esordiente, la incontra al Fondo, lei è già un’anziana signora intrattabile. Lo prende di mira (ma capitava a tutti) con epiteti fantasiosi e arrabbiati. Lo chiamava zoccoletta, lo disprezzava apertamente, lo insultava, lo umiliava. E lui sopportava. Perché al Fondo, e dalla Pazza, come la chiamava, si poteva imparare molto.
Il libro parla dunque dell’esperienza di Trevi al Fondo, ma anche di “Petrolio”, l’opera incompiuta e pubblicata postuma, di PPP.
Lo ammetto: mi sono innamorata della scrittura di Trevi, ma “Petrolio”, ora che ne ho letto attraverso Trevi, non lo leggerò.
Petrolio non sono alla sua portata. Non è stato scritto per me.
Ecco: è stato scritto per pochissimi… iniziati. Pier Paolo Pasolini non cercava riconoscimento, guai! E non mirava neanche a svelare arcani misteri politici italiani: PPP non era un bravo investigatore (e mi ha sorpreso leggere che non era neanche molto preciso nel riportare la parlata romana nei suoi romanzi).
Gli scopi di PPP vanno oltre. Trevi cita allusioni ai misteri eleusini, miti, iniziazioni, metamorfosi, doppi, archeologia. Ci racconta anche un po’ la trama di Petrolio (spezzettata, difettosa, lacunosa), e da quel poco che ne deduco, ho deciso che è una lettura che non fa per me. Non capirei il senso che sta dietro alle pratiche sadomaso, alle “parolacce”, all’esibizione di organi genitali…
Insomma, so che alla fine mi chiederei: ma perché tutto questo parlare di Petrolio? Siamo sicuri che Trevi abbia visto giusto? O che, piuttosto, Petrolio non sia altro che una fantasia sadomaso/porno?
Non importa.
“Qualcosa di scritto” mi è piaciuto comunque.
Le descrizioni di Laura Betti sono ustorie, come doveva essere ustoria lei, ma sono contenta di averle avute davanti agli occhi.
Come si può perdersi il racconto di una donna, col suo peso e i suoi anni, che sviene davanti all’elezione di Berlusconi?
Come si può perdersi il racconto di una donna che fa pipì sulla moquette di un albergo di Atene perché, secondo la sua opinione, l’hanno offesa?
L’autofiction di Trevi ha sempre (sono parole sue, da Pordenonelegge) un taglio di critica letteraria. Tuttavia, sottolineiamolo, questo è un romanzo, non un saggio di critica (come sembra l’abbia fatto passare Fabio Fazio a “Che tempo che fa”).
A me è piaciuto, perché dietro a ogni frase (scritta con prosa controllatissima) c’è un mondo di rimandi, sia letterari che personali. E se non ci si incontra sui rimandi letterari, perché magari i miti greci ce li siamo dimenticati, allora ci si incontra sui rimandi personali, si crea una comunione di sentimenti, di visioni, di modi pensare.
Approvato.
PS: mi resta sempre il rimpianto di aver incontrato l’autore di persona, di avergli chiesto una foto e di essermi dimenticata di chiedergli l’autografo…