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L’ipocrita (Vincenzo Cerami)

“Un borghese piccolo piccolo” mi era piaciuto tantissimo, un piccolo gioiello.

Questa raccolta di racconti invece mi è piaciuta a intermittenza.

Niente da dire ovviamente sullo stile, che ti fa subito entrare nei personaggi e nei luoghi con pochi tratti.

Ma sono rimasta perplessa sul significato da attribuire ad alcuni racconti.

Quello che mi è piaciuto di meno è stato “La storia a strisce”, dove un fumettista, non conoscendo molto del passato della propria donna, se ne inventa uno pieno di sesso e comportamenti assurdi. Forse il senso è: ecco a che livelli si arriva quando non si parla direttamente con il proprio partner.

Sì, ripensandoci, può essere una buona interpretazione: avete presente tutti quelli che scrivono frasi sibilline nei social? Beh, sono tutte dirette a delle persone ben specifiche in seguito a degli eventi altrettanto specifici. Invece di chiarire con la persona in causa, si mettono frasi in post che – puntualmente – si riempiono di like e cuoricini, anche se nessuno capisce di cosa si sta parlando.

Altri racconti sono più puntuali: “Lo zio” ad esempio, dove il nipote, che si è trasferito dal vecchio parente, aspetta che questi muoia per impossessarsi di tutto quanto.

Nel racconto “Gli elefanti”, una famigliola fa una gita in montagna: il bambino è stato adottato (forse in modo non del tutto legale) dal ricco uomo d’affari, non è mai stato in montagna, ma quando stanno per arrivare in cima, il bambino parte per conto suo e semina i genitori. L’uomo, mentre lo segue senza fiato, incomincia a maledire il piccolo ingrato.

Il racconto che mi è piaciuto di più è stato “Il sapone”.

Il protagonista è l’autista di un uomo ricchissimo. Vive con lui da anni, è la sua ombra, conosce tutti i suoi altarini. Una sera che il magnate si sente male in seguito a un’intossicazione alimentare e il fido autista lo porta a casa.

Uno si aspetta che il tizio chiami un’ambulanza o un medico, e invece questo chiama il dottore del suo stabile, perché, dandogli la possibilità di curare una persona così importante, si meriterà la sua riconoscenza, che non fa mai male.

Mentre il miliardario è incosciente, la moglie dell’autista si appropria della casa con la scusa di aiutare la cameriera: organizza addirittura una festa per il compleanno del figlio, con la speranza che il bambino veda come vivono i ricchi e sia ispirato a darsi da fare per raggiungere obiettivi più elevati.

Insomma, attorno a questo malato succede un po’ di tutto, ma nessun parente né amico viene a trovarlo.

Tutti ammirano la casa e i soldi del moribondo e nessuno si accorge che in realtà questo disgraziato sta morendo da solo.

Attualissimo.

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Voglia di scappare? (“Scomparso a Venezia”, di Mario Bonfantini)

Sebbene il libro sia stato pubblicato nel 1972, l’ho trovato di un’attualità eccezionale.

La storia è ambientata nel 1938.

Il ragionier Liguori si trova a Venezia per una conferenza generale nel campo assicurativo, dato che lavora per una grossa compagnia del settore.

Il suo intervento attira l’attenzione e il plauso del “direttore supermega capo” che lo elogia e, quasi di striscio, gli suggerisce, prima di tornare a Milano, di andare a bere un bicchiere in una osteria tipica di Venezia.

Liguori ci va e… ci resta due mesi. Non solo all’osteria: conosce una donna, e si trasferisce a casa sua, pur non capendo bene come abbia fatto lei, vivendo sola, a tirare avanti senza entrate fisse. Il ragioniere, distinto signore, entra a far parte del mondo di Venezia: passeggia, fa l’amore con la Lina, passa pomeriggi e serate a parlare con i perdigiorno della città.

E gli piace.

Gli piace tanto. Non pensa più al lavoro che gli ha garantito prestigio e un non indifferente stile di vita, né alla moglie e alle figlie, a cui non si era mai davvero affezionato.

Lui, che era sempre stato uno studente e un impiegato modello e che aveva sempre soffocato ogni passione che non fosse in linea con le aspettative del suo ambiente, si affeziona agli amici di Venezia, poveri e ignoranti, ma sinceri e passionali.

Ma la pacchia non può durare in eterno, e per una pura coincidenza, viene scoperto e riportato a Milano, e qui c’è la delusione: non si ritrova più. Non percepisce più il senso del suo lavoro o della sua famiglia. Si accorge di essere la rotellina di un ingranaggio di cui non capisce l’utilità e ciononostante continua a svolgere il suo dovere, perché è quello che tutti si aspettano da lui.

Finché non scoppia la guerra, e con la trama mi fermo qui perché non voglio rovinarvi il finale.

Non mi aspettavo un romanzo così contemporaneo, che mi facesse percepire così bene il senso di inutilità che ti prende quando ti metti addosso un ruolo che è stato disegnato per te da altri.

La SNAG, le alte mansioni che egli era stato chiamato a ricoprirvi, quella sua attività di Ispettore Generale così universalmente apprezzata e lodata, citata abitualmente a modello, tutte cose che gli avevano offerto più d’una soddisfazione – se ne ricordava benissimo; ma meritavano veramente di assorbire del tutto la mente di un uomo e il suo animo, di figurare lo scopo d’una vita?

E’ un libro sul conformismo e sulla presa di coscienza di ciò che davvero ha valore nella vita.

Attualissimo.

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Nel tempo di mezzo (Marcello Fois)

Finalista al premio Strega 2012 e vincitore del 50° premio Campiello (Giuria dei letterati)

Dirò la verità: le prime venti pagine sono un test. Se passi quelle, poi ti immergi nella storia. Ma prima devi abituarti al ritmo lento, lo stesso ritmo a cui deve abituarsi il venticinquenne Vincenzo Chironi quando arriva in Sardegna dal Friuli, nel 1946, in cerca della famiglia del padre che non ha mai conosciuto.

A Nuoro ci sono il nonno e la zia vedova, che non sanno dell’esistenza del nipote e che si struggono perché la famiglia, dopo una serie di disgrazie (malattie, incidenti, omicidi…) non ha più eredi. Quando se lo vedono arrivare, tale e quale al padre, non riescono a credere alla loro fortuna.

Il ragazzo trova lavoro come disinfestatore di cavallette e di zanzare (in quelle zone imperversavano le malattie).

Il nonno vorrebbe che Vincenzo si dedicasse all’officina di famiglia, ma ha paura di chiederglielo, come se quel nipote fosse una cosa troppo bella e fragile per metterla alle strette, e sia lui che la figlia hanno sempre timore che Vincenzo se ne vada.

Ma non se ne va, perché si innamora di una ragazza che abita là, anche se viene da Cagliari ed è un po’… chiacchierata, come d’altronde, erano “chiacchierati” tutti quelli che venivano da fuori, soprattutto se donne.

Le pagine più belle, a mio avviso, sono quelle iniziali in cui si descrive la solitudine del nonno e la sua mancanza di speranza per l’officina che va in malora: riescono davvero a farti entrare nel suo stato d’animo.

La grande storia entra nelle vite dei Chironi solo con pochi paragrafi quando si parla di incursioni aeree, di fascistoni, di referendum, di comunisti, ma si ha sempre l’impressione che la Sardegna resti un po’ per conto suo, sono altre le cose che contano da quelle parti: la famiglia, i figli.

E i figli sono proprio quello che manca a Vincenzo e a sua moglie, perché quest’ultima subisce due aborti prima di dire al marito che non può più toccarla.

Non racconto oltre. Vi dico solo che la vicenda dei Chironi è parte di una trilogia che l’autore avrebbe voluto pubblicare in un unico volume, ma che ha dovuto dividere in tre per esigenze editoriali.

Per leggere questo libro, bisogna essere concentrati. Sotto l’ombrellone, col sudore che ti scende sugli occhi, non ce lo vedo.

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Chesil Beach – Ian McEwan

Ottimo romanzo psicologico.

La prima scena si apre nel 1962 in una suite nuziale, in un albergo sulla spiaggia inglese di Chesil Beach.

Florence ed Edward, ventiduenni, entrambi vergini, si sono sposati poche ore prima e ora stanno timidamente mangiando un pasto di cui non interessa nulla a nessuno dei due.

Con sapienti cambi del punto di vista, McEwan ci mostra le paure dell’uno e dell’altra di fronte all’evento che li aspetta nella camera accanto, dove il letto matrimoniale incombe con il suo baldacchino.

Edward ha atteso questo momento con trepidazione (è stato addirittura capace di astenersi dal “piacere solitario” per una settimana!), ma ora la sua paura principale è quella di “concludere troppo in fretta”. Florence, invece, è terrorizzata: il contatto fisico non le è mai interessato, non le piace il bacio alla francese e l’atto sessuale in sé, di cui ha letto in un libro considerato, ai tempi, moderno, la ripugna.

Eppure si amano. Si amano a dispetto delle loro personalità così diverse, che impariamo a conoscere nei lunghi flash-back: Florence, di famiglia ricca, vive per il violino e la musica classica, di cui a Edward, amante del rock, non interessa un fico secco, se non per compiacere la sua compagna. Edward viene da una famiglia modesta e problematica, con una madre che, in seguito a una caduta, ha problemi comportamentali e di memoria.

Le parte del libro in cui McEwan ci mostra le case dei protagonisti è emblematica delle differenze tra i due. Ma la distanza di mentalità ed esperienze è ancora più evidente quando Edward, ospite dei futuri suoceri, deve mangiare cibi che non ha mai assaggiato né visto:

Quell’estate assaggiò per la prima volta l’insalata condita con olio e limone e, una mattina, lo yogurt (alimento fiabesco a lui noto soltanto dalla lettura di un romanzo di James Bond). La modesta cucina del padre e il regime a base di pasticcio di carne e patate dei suoi anni studenteschi non l’avevano di certo preparato per le stravaganti verdure – melanzane, peperoni sia verdi sia rossi, zucchine e taccole – che gli venivano regolarmente proposte.

Insomma, ve lo immaginate lo yogurt… fiabesco? E le melanzane… stravaganti?

Ma la notte di nozze incombe e la cena arriva alla fine. Devono decidersi a compiere… l’atto!

Ovviamente, con due tipi così, le paure di Edward diventano realtà.

E qui scoppia il dramma: entriamo nella testa prima dell’uno e poi dell’altra e vediamo come cambiano le loro emozioni, come la paura lascia il posto alla vergogna e alla rabbia, come l’incapacità di parlarsi li induce a ragionamenti che ingigantiscono e travisano i fatti realmente accaduti.

Però il romanzo è ben costruito: l’epilogo finale non poteva essere diverso.

Il tema chiave della storia è l’incomunicabilità dettata dai tempi, tuttavia, l’elemento psicologico individuale non cessa mai di svolgere il proprio ruolo: in fondo, non tutte le coppie che si sono sposate nel 1962 sono finite come Edward e Florence!

Mi piace molto McEwan: anche questo romanzo, al di là della storia e del tema, ci illumina all’improvviso con frasi quasi… confuciane, nella loro saggezza e brevità:

Ecco come il corso di tutta una vita può dipendere… dal non fare qualcosa.

E poi ci sono quelle frasi in cui, con poche parole, ti condensa tutto il libro:

Si conoscevano pochissimo, e non avrebbero fatto grandi progressi in tal senso data l’imbottitura di premuroso silenzio con cui smussavano le rispettive identità.

Romanzo introspettivo con pochi dialoghi e accadimenti, ma la sua ricchezza va cercata altrove.

Voto: 4/5.

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