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Tutto il pane del mondo (Fabiola De Clercq)

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Cronaca di una vita tra anoressia e bulimia

Sono in imbarazzo nello scrivere commenti negativi su questa breve autobiografia (appena 127 pagine), perché la De Clercq merita rispetto per la sofferenza che ha vissuto; tuttavia devo avanzare alcune critiche sul libro.

Non c’è trama: tutto il libro è una lunga riflessione sui propri stati d’animo. Lei che cerca la ragione che l’ha portata a diventare anoressica-bulimica, lei che cerca l’analista giusto, lei che soffre nei suoi vari tentativi di vomitare…

Pochi gli eventi, e tutti descritti a pennellate sfumate: la morte del padre, il disinteresse della madre, gli amanti della madre che le fanno delle avances, la nascita del figlio, il divorzio…

Mancano i dettagli. Potrebbe essere una mancanza voluta, perché, tutta presa dalla sua malattia, l’autrice non li ha notati, ma sono i dettagli che rendono “visibile” una storia.

In merito ai contenuti, vorrei metterne in luce solo alcuni: il suo spasmodico desiderio di arrangiarsi senza chiedere mai aiuto (fino al punto di togliersi un calcolo sublinguale), e la tendenza a radicare tutti i suoi problemi nel suo passato, come se il passato fosse l’unica causa della malattia.

Non vengono neanche descritti gli… altri. Padre, madre, zio, figlio, amiche: ci sono, ma restano vaghi, senza contorni né visi. Non ci sono dialoghi né gesti. E’ tutto un lunghissimo monologo, una riflessione sulle proprie sensazioni.

Non si sa neanche che lavoro faccia per vivere, la De Clercq: nel libro parla di un atelier, ma di cosa?

E’ un libro da leggere per il suo valore biografico, ma a livello stilistico non è il massimo, è tutto scritto al presente, si serve solo della struttura paratattica e le poche similitudini suonano sforzate.

E’ un libro che vuol far passare un messaggio e sensibilizzare sul problema, non sedurci con la scrittura.

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Donne che mangiano troppo, Renate Gockel @FeltrinelliEd

Parliamo di bulimia. L’autrice è una psicologa e affronta l’argomento tramite la storia di una sua paziente, Anna, che è significativa perché presenta quasi tutti i sintomi di questa malattia.

Intanto, Anna non è visibilmente grassa: questo perché, dopo essersi lasciata andare e aver mangiato dolci e dolcetti, di solito va a vomitare. Anna ricorre al cibo ogni volta che si sente tesa, attaccata, in ansia.

A far scattare l’attacco di fame può essere semplicemente un invito, un commento apparentemente banale di un collega, o un eccesso di lavoro a cui non riesce a dire di no.

Anna ci tiene tantissimo a dare un’immagine perfetta di sé: brava moglie, brava insegnante, brava figlia… cerca continuamente di corrispondere alle aspettative altrui (o a quelle che lei crede siano le aspettative altrui).

Anna ha sempre obiettivi da raggiungere, e il suo motto è “prima il dovere e poi il piacere”. Per lei è inconcepibile venir amata senza dare qualcosa in cambio, solo per quello che è.

Anna ragiona in termini di aut-aut: o tutto o niente, non c’è mai una terza via, ci sono solo due estremi che si escludono a vicenda.

La psicologa affronta la sua malattia attraverso il training autogeno e gli esercizi di visualizzazione.

Alla fine del libro, Anna guarisce?

No.

Da malattie del genere non si guarisce mai del tutto: quello che è importante è prendere coscienza delle ragioni che stanno sotto agli attacchi di fame (di solito legate a un rapporto sbilanciato con la propria madre).

La cosa interessante è che quando Anna incomincia ad accorgersi di come è remissiva e sottomessa, incomincia a cambiare atteggiamento, e le persone che la circondano, che fino a quel momento non si sono lamentate, all’improvviso iniziano a storcere il naso.

E’ bello leggere un libro su una disfunzione psicologica e accorgersi di non rientrare nello schema… 🙂

L’approccio del saggio, però, è un po’ psicanalitico: è il passato a determinare il presente. Leggere un’opera del genere ti fa pensare che sotto a qualunque gesto o sentimento ci sia sempre una ragione recondita nel nostro inconscio. Nessuna vera spontaneità.

E’ davvero così?

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