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Storia di mio figlio (Nadine Gordimer)

Sudafrica negli anni Ottanta.

Sonny è un insegnante di colore; è sposato con Aila. Hanno due figli: Baby, la più grande, che sembra sempre in cerca di divertimento, e Will, taciturno e studioso.

Quando Sonny accompagna gli alunni durante una protesta, passa quasi senza accorgersene dalla parte della resistenza contro il governo dell’Apartheid, anche perché, grazie ai suoi studi letterari, è un buon oratore. Viene licenziato e finisce in carcere. Là conosce Hannah, un’attivista bianca, e ne diventa l’amante.

Un giorno Will bigia la scuola e va al cinema, e proprio là trova il padre con l’amante.

La storia è narrata da due punti di vista: uno onnisciente e l’altro che parla attraverso le parole del figlio Will, arrabbiato e deluso dal comportamento del padre che prima vedeva come una figura degna di rispetto.

Ma Will non dice cosa ha visto alla madre, e Aila continua la sua vita quotidiana dedicandosi alla famiglia e al lavoro senza mai lamentarsi.

E’ interessante leggere le pagine dedicate a Sonny dalla voce onnisciente: si cerca di capire le ragioni del tradimento senza giudicare. Una ragione importante che tiene in piedi questa storia è il fatto che Sonny e Hannah abbiano una causa in comune che li tiene uniti non solo nel letto.

Sonny non ha mai coinvolto la moglie Aila nei suoi discorsi o nei suoi viaggi politici e lei non ha mai mostrato di voler partecipare.

Finché un giorno Baby scappa all’estero e…

Attraverso la storia di questa famiglia, vediamo la storia più grande di tutto il Sudafrica, dei suoi attivisti, delle crepe che indebolivano il movimento, e dei suoi punti forti.

Ma si scende anche su un livello più intimo, del figlio nei confronti del padre e del padre nei confronti dell’amante. Quella che rimane sempre un po’ più misteriosa è Aila, che parla solo alla fine del libro.

Non vi rovino la storia, ma il libro è bello soprattutto perché è ben scritto. Nadine Gordimer se lo è meritato il Nobel.

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Gli avvocati in Cina

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Nel 2007 in Cina, il parlamento ha emendato una vecchia legge sul sistema giudiziario, garantendo agli avvocati diritti che in altri paesi erano dati per scontati già da tempo.

Secondo questo emendamento, gli avvocati della difesa ora possono incontrare i loro clienti dopo l’interrogatorio della polizia senza chiedere permesso e le conversazioni con i clienti non devono più essere sorvegliate.

Fino a giugno del 2008, infatti, prima che l’emendamento entrasse in vigore, gli avvocati dovevano richiedere il permesso alla polizia per incontrare i clienti: permesso che non sempre veniva concesso.

Tenete conto che in Cina non esiste la presunzione di innocenza, dunque un avvocato ha le sue difficoltà, per usare un eufemismo…

Senza contare, poi, l’ostacolo del SEGRETO DI STATO.

La definizione cinese di Segreto di Stato è così elastica che può comprendere qualsiasi argomento: il numero dei drogati, dei malati di Aids, i dati sulla pena di morte, sulla disoccupazione, la frequenza delle manifestazioni, l’intenzione di un politico di dimettersi…

Spesso, poi, il segreto di stato è sfruttato da funzionari di ogni ordine e grado per nascondere le proprie mancanze o i propri errori.

Sebbene oggi gli avvocati cinesi godano dell’immunità per le affermazioni esternate davanti a una corte, è ancora vietato, per loro, esprimere opinioni che “minaccino la sicurezza statale, diffamino qualcuno o disturbino in aula” (trad. mia).

Considerate che nel 2006, due anni prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, l’Associazione Cinese dell’avvocatura aveva emesso una linea guida, secondo la quale gli avvocati dovevano fornire informazioni confidenziali alle autorità se ne erano venuti a conoscenza durante i colloqui coi loro clienti.

Cosa quanto mai… “disturbante”, considerando che spesso le cause erano intraprese proprio contro le stesse autorità…

Non solo: per le class actions (cause in cui erano coinvolti più querelanti) l’Associazione invitava gli avvocati a richiedere “supervisione e guida” presso gli uffici amministrativi giudiziali.

Gli uffici giudiziali sono parte dei governi locali perciò consultarli significava in effetti consultare gli stessi governi locali che i contadini accusavano di confisca delle terre con compensazioni basse o inesistenti (trad. mia).

Il libro “Cina – la verità sui suoi record sui diritti umani” di Frank Ching non l’ho trovato in italiano. E’ uscito in inglese nel 2008, dodici anni fa.

E’ possibile che in questo periodo sia cambiato ancora qualcosa, ma di sicuro rende l’idea del clima.

Non ci meravigliamo dunque dell’ostruzionismo a cui è stato sottoposto il medico cinese che aveva scoperto il Corona virus.

Prima però di giudicare il governo cinese e di fare di tutta l’erba un fascio, pensiamo a cosa sarebbe successo se la stessa cosa fosse successa in Italia: saremmo stati capaci di intraprendere le misure drastiche che ha intrapreso il governo cinese? Gli italiani si sarebbero adattati così ubbidientemente alle direttive sanitarie? O più semplicemente: avremmo anche solo preso in considerazione l’idea di far chiudere le aziende per qualche giorno?

Io ne dubito.

Se dunque la Cina si rende ancora colpevole di certe pratiche poco umanitarie, smettiamola di sentirci tanto superiori, che anche noi abbiamo i nostri problemini.

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