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Le ragazze al terzo piano, Marco Anzovino

In previsione del piccolo festival letterario LeggerMente, che si terrà qui a S. Stino il 30 settembre, eccomi qua con il libro Marco Anzovino, che sarà ospite della manifestazione.

Non ho provato subito simpatia per questo libro, ma ho continuato a leggerlo: ho fatto bene, e vi spiegherò alla fine perché.

Il feeling iniziale credo mi sia mancato a causa:

  1.  della scrittura un po’ “simpaticona”, una quelle scritture che sembrano voler strizzare l’occhio al lettore;
  2. dello stile troppo intimista, come se ogni personaggio si esprimesse o si sfogasse attraverso le righe del proprio diario…  ma senza che ci sia un diario.

C’è poi il vezzo di ripetere il nome dell’interlocutore nei dialoghi, come se l’autore avesse paura che il lettore non capisse chi sta parlando: è un sistema che non riflette i dialoghi quotidiani e che pecca di fiducia nel lettore.

Aggiungo a queste piccole pecche, l’alta improbabilità:

  1. di certi dialoghi, troppo dotti, per il tipo di rapporti che legano i personaggi;
  2.  del legame col vecchio Nicolò, che, instaurandosi in modo troppo rapido, scivola nello stereotipo del rapporto giovane-problematico vs vecchio-saggio-e-buono.

Però alla fine, ed è questa la cosa più importante in un romanzo, è che la storia ti tira dentro.

Le tre ragazze possono davvero essere tre studentesse universitarie costrette a una coabitazione improvvisata: i loro pregi e difetti si equilibrano, e tu vai avanti a leggere per vedere come andrà a finire.

La mia curiosità, però, si è incentrata sul destino di Anna, la studentessa più brillante, maniaca della pulizia e figlia di genitori che si stanno separando. Perché, anche se non lo si dice fin dall’inizio (e questo non dire mi è piaciuto molto), Anna sta cadendo nell’anoressia. Lo fa pian piano, senza accorgersene: si inizia con una generica paura di ingrassare e si arriva al senso di potenza esercitato sul corpo che ti dice “ho fame” e tu gli rispondi “non ti darò da mangiare”, e al segreto soddisfacimento che provi nel guardare gli altri e pensare “vi sto fregando tutti”. La discesa nella malattia è stata resa benissimo.

Verso la fine del romanzo, mi è sembrato per un attimo che gli ultimi tre capitoli fossero superflui: cioè mi è parso, ma solo per un attimo, che la storia potesse finire col ritorno di Anna dal centro dove era stata curata. Poi, però, grazie alla postfazione di Gian Luigi Luxardi, psicologo-psicoterapeuta responsabile del Centro per i disturbi alimentari di San Vito al Tagliamento, ho capito che quei tre capitoli erano importanti, forse la chiave di lettura che ci permette di interpretare tutta la malattia nel suo complesso. Perché, come dici Luxardi,

Una cura che si limiti al solo recupero ponderale, o alla regolarizzazione del comportamento alimentare, senza creare una valida alleanza terapeutica, porta sempre a risultati che si rivelano fatalmente fragili e soggetti a ricadute.

Ecco, in quegli ultimi tre capitoli si mette in luce quanto importante sia la rete di relazioni che avvolge Anna e le permette di trattenersi dal ricadere nell’amica anoressia.

Anzovino ha poi tutta una serie di felici uscite linguistiche: sono, oltre che uno spasso, un chiaro sintomo di musicalità, approfondimento psicologico e fantasia verbale. Solo un paio di esempi:

“(…) un bicchierone di plastica o una birra ghiacciatissima e sgasata che ti si conficcano su una mano come se l’avessi già predisposta a pugno semichiuso tipo Big Jim”

oppure:

(…) essere adulti non significa necessariamente avere tutti gli strumenti per capire le situazioni che possono capitare a loro e agli altri. (…) Non è sufficiente l’età a stabilire l’efficacia di un percorso interiore che ha portato una persona alla consapevolezza e alla maturità.

Insomma, al di là di pregi e difetti stilistici, è un libro che va letto.

Il CD allegato al romanzo (Anzovino è anche un cantautore, musicista e musicoterapeuta) non l’ho ancora ascoltato. Va al di là degli obiettivi del blog, che si occupa solo di libri, tuttavia vi avviso che nel romanzo la musica ha un suo ruolo. Mi sa che non mi sarò goduta del tutto il libro finché non avrò ascoltato anche il CD…

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Dalle calorie alle molecole – Pier Luigi Rossi

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Tanto per non venir accusata di leggere solo libri vegani, eccone uno che vegano non è. Però – mettetevela via – la dose consigliata di alimenti animali non supera il 20% delle calorie giornaliere.

Il saggio inizia con una panoramica generale sul corpo umano (corpi a mela o a pera, pericolosità del grasso addominale, sindrome metabolica, picco glicemico, grasso e infiammazione cronica…). La tesi di base è che dobbiamo mangiare non pensando alle calorie, ma a cosa mangiamo, al tipo di molecole che mettiamo in bocca e che poi andranno a costruire il nostro corpo. Insomma, il cibo nel corpo non funziona come nel calorimetro, lo strumento che, ossidando il cibo, produce calore.

100 calorie di bistecca non sono 100 calorie di insalata.

E attenzione che i carboidrati non devono mai mancare, altrimenti, pur perdendo peso, si perdono muscoli; e questo non è vero dimagrimento: si dimagrisce quando si perde grasso, non muscolo.

Alla fine ci sono gli schemi dei pasti suggeriti. E qua viene un po’ di tristezza a vedere che una donna può permettersi solo 50 gr di riso o pasta. Anche se si parla di legumi, non si può andare oltre i 70 grammi.

Alla fine, la novità del titolo (stop al calcolo delle calorie) non corrisponde alla novità della dieta, perché si tratta sempre di mangiare poco. Alla fine, è sempre una dieta ipocalorica. C’è di buono che lascia porzioni libere alle insalate miste e alle verdure cotte, dunque se avete fame buttatevi su queste due categorie (neanche la frutta è inclusa, secondo lui…).

Che libro triste.

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La forza di volontà – Roy F. Baumeister – John Tierney

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Mettetevela via, ognuno di noi dispone di una dose limitata di forza di volontà, e se tirate troppo, alla fine si esaurisce. Brutta notizia, per quelli che devono sottoporsi a una commissione di esame (o anche a dei giudici in un processo) appena prima dell’ora di pranzo o della pausa: la forza di volontà si nutre di glucosio, l’alimento principe del cervello, e quando il glucosio scarseggia, la forza di volontà scema, tanto che si è meno disposti a correre rischi. Il risultato: voti più bassi e, in casi estremi, rifiuto della libertà provvisoria. Quando siamo a corto di forza di volontà, siamo più inclini all’egoismo e meno sottomessi agli standard sociali (per gli uomini potrebbe essere più difficile trattenersi dal ruttare: un esempio che mi viene in mente perché ieri sera al cinema uno davanti a me ha dato sfogo ai suoi miasmi, e non si trattava di un adolescente, ma di un padre di famiglia che non ha neanche chiesto scusa).

Quando siamo a corto di forza di volontà, è più difficile scegliere, perché scende la nostra capacità di rinunciare alle opzioni (la scelta è sempre una rinuncia parziale), ecco perché ci dicono di non far mai la spesa a stomaco vuoto. E le scelte stesse esauriscono la nostra FDV, ecco perché al supermercato le cacatine ce le mettono davanti alle casse, quando uno è sopravvissuto alla lettura di centinaia di ingredienti e scatolette e prezzi.

C’è di buono che nel lungo periodo la forza di volontà si può allenare. Si parte da piccole cose: innanzitutto l’autosservazione. E poi l’azione conseguente. Ad esempio, se prendiamo l’abitudine di osservarci e ci accorgiamo di star seduti con la schiena piegata, raddrizziamoci. Col tempo, il cervello prende l’abitudine alla consapevolezza e questo influenza molti altri atteggiamenti.

Il segreto è concentrarsi sullo sforzo di modificare una determinata abitudine. Potete cominciare sforzandovi di usare l’altra mano per compiere certi gesti. Molte abitudini sono legate alla mano dominante, che per la maggior parte delle persone è la destra. Obbligarsi a cambiare mano è un esercizio di autocontrollo. (…). Un’altra strategia per allenarsi è sforzarsi di cambiare le proprie abitudini di linguaggio, che sono anch’esse profondamente radicate. Per esempio, potreste impegnarvi a usare i congiuntivi correttamente anche nel parlato, di evitare i “cioè” e i “dunque e, naturalmente, le parolacce.

Nel corso di numerosi esperimenti, è stato notato che i soggetti miglioravano anche in ambiti della propria vita che non avevano niente a che fare con gli esercizi che si erano sforzati di fare. L’autodisciplina, insomma, aumenta in tutti i campi. Ecco perché gli alcolisti anonimi devono rinunciare anche all’alcool.

Molto importante, per garantire la durata della FDV, è prendere impegni vincolanti e, in qualche modo, pubblici: parlare dei propri obiettivi a familiari e amici, oppure nei social network, o scriverli. Anche pensare agli altri può far aumentare la propria autodisciplina, perché è un esercizio costante per tenere sotto controllo l’egoismo innato. Non è una fatica che dura tutta la vita: si tratta di prendere delle buone abitudini, poi, come tutte le abitudini, vanno avanti da sole.

Concentrarsi sul momento presente e su pensieri pratici indebolisce l’autocontrollo, mentre i pensieri complessi, astratti e a lungo termine lo aumentano. Questo è uno dei motivi per cui le persone religiose ottengono ottimi risultati nelle misurazioni dell’autocontrollo e perché quelle non religiose (…) traggono beneficio da altri tipi di pensieri trascendentali e idealistici.

Molto interessante il capitolo sulle diete: è lungo da riportare qui, ma lo riassumo dicendo che non è vero che le persone grasse dispongono di poco autocontrollo, il cibo è un discorso a sé.

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