Questo volume del diario è un estratto degli innumerevoli quaderni che la Nin scriveva (e che poi conservava in una cassetta di sicurezza in banca). Sono stati “censurati” dalla famiglia in varie parti, ma anche così sono un documento ben nutrito.

In questi anni, Anais Nin, che è sempre stata succube dei suoi amici, comincia a diventare insofferente. I suoi amici sono scrittori, scultori e artisti in generale, più una serie di persone dal ruolo sociale non meglio definito ma che non possiamo che definire… interessanti.
All’inizio di questo diario, Anais Nin fa la psicoterapeuta a New York, da brava allieva di Otto Rank. E resto interdetta dalla facilità con cui si poteva iniziare una professione del genere all’epoca (lei non aveva titoli ufficiali), in confronto ad oggi.
Questo lavoro tuttavia la sfianca: è troppo sensibile e si fa carico emotivamente di tutti i suoi pazienti. Così torna in Francia a fare la scrittrice.
Continua la sua amicizia con Henry Miller, l’autore de “Il tropico del cancro”, ma Nin lo vede in modo meno favoleggiante. Pur riconoscendone il valore artistico, ne descrive spesso le piccolezze e le meschinerie.
Spesso la Nin è sul lastrico: deve impegnare vestiti e gioielli pur di aiutare i suoi amici e la causa spagnola (siamo negli anni della guerra).
Io non avrei avuto la sua pazienza. Ci sono personaggi che la sfruttano, che danno di matto, che non sono affidabili… lei se ne accorge ma non se la sente di lasciarli soli.
La scrittura del diario è una scrittura senza punti esclamativi, molto riflessiva, piena di descrizioni degli amici e dei conoscenti, pronta a cogliere le minime sfumature dei caratteri.
Dimostra un vero interesse personale nell’essere umano: credo che se non avesse investito le sue energie nella scrittura, avrebbe potuto fare la missionaria.
Più che un documento storico, il diario è il documento personale di una donna sensibilissima.
