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Il linguaggio delle cose, Deyan Sudjic

Design come messaggio sociale alla William Morris, come servizio pubblico alla Design Research Unit, o come strumento per vendere di più, alla Raymond Loewry e alla Philippe Starck?
Intanto, design come Linguaggio, ci dice Sudjic, direttore del Design Museum di Londra.
Con una anglosassone chiarezza (ma anche con pungente ironia) Sudjic ci parla del design e dei designers. Ha uno stile molto friendly, ma certi aggettivi non perdonano. Sentite cosa dice di Philippe Starck:

“Lavora ancora con la stessa formula, basata su una tavolozza decorativa ben elaborata, salti di scala surrealisti, leziose stilizzazioni antropomorfiche e la stucchevole abitudine di assegnare nomi assurdi e impronunciabili a oggetti d’uso quotidiano. Farci entrare da Dixons per chiedere una radio chiamata Moa Moa, come Starck ha fatto, è di una crudeltà paragonabile a quella dimostrata da Frank Zappa quando chiamò sua figlia Moon Unit. Ma, passati i cinquanta, Starck ha ancora la personalità del ragazzino che cerca continuamente di divertire gli adulti con i suoi perfidi giochetti provocatori, senza però mai smettere di cercare furtivamente nei loro sguardi un segno di approvazione. E lo trova.”

Ma soprattutto:

“Gli si potrebbe anche perdonare il suo egocentrismo sconfinato se non fosse che ha aperto le porte a una generazione convinta che tutto quel che è necessario per essere un designer di genio sia un grande ego e l’incapacità di smettere di parlare. Gli si potrebbe perfino perdonare il suo filosofeggiare da bar se non si presentasse come un intrepido iconoclasta che, ovunque vada, abbatte i cancelli delle convenzioni per liberarci tutti. (…) Alla fine Starck conosce un unico trucco. Ed è un buon trucco: la sua visione infantile del mondo.”

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