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1918 L’influenza Spagnola (Laura Spinney)

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Dal 1918 al 2020, l’atteggiamento umano davanti a una pandemia è cambiato poco sotto diversi punti di vista.

Oggi come allora diamo la colpa dello scoppio dell’influenza ai paesi stranieri (sembra che la Spagnola sia nata in Kansas, ma che tutti dessero la colpa alla spagna o alla Cina).

Oggi come allora diamo la colpa agli immigrati: oggi sono quelli che vengono dal bacino del mediterraneo, allora negli Stati Uniti se la prendevano con gli italiani, che sembravano più sporchi e dissoluti degli altri.

Oggi come allora una larga percentuale di popolazione, davanti al brancolare della scienza, si rivolgeva alle cure cosiddette “alternative“, anche se nel 1918 la distinzione non era così chiara.

Oggi come allora, si dà la colpa agli spiriti e agli dei, e molti si affidano alle preghiere e ai riti per guarire.

Le differenze, ovviamente, ci sono, Oggi l’OMS è funzionante ed attiva: nel 1918 ancora non c’era, anzi, la Spagnola è stata un elemento che ne ha favorito la costituzione, in qualche modo, visto che eventi del genere non si possono controllare a livello nazionale.

Nel 1918 eravamo in piena guerra mondiale, il che ha favorito certamente la diffusione dell’epidemia (oggi la diffusione è favorita dai viaggi e dal commercio).

Nel 1918 molti paesi non avevano un sistema sanitario, oggi ce l’hanno quasi tutti.

E’ un libro certamente interessante, con un taglio storico, e meno attento agli aspetti scientifici rispetto ad altri testi sull’argomento.

Vengono citati molti personaggi: Freud, Klimt, Egon Schiele, il nonno di Trump (sì, proprio lui), Amelia Earhart (l’aviatrice), il compositore ungherese Béla Bartok… più tutta una serie di personaggi semi-sconosciuti che hanno combattuto contro il corona virus dell’inizio del Novecento (interessante come, in tempi più recenti, i medici sono andati a cercarsi il DNA della Spagnola).

Forse (opinione mia) l’autrice attribuisce alla Spagnola più conseguenze di quelle che ha avuto: epidemie di depressione, o addirittura di encefalite letargica (Vi ricordate il film “Risvegli”?), fino ad arrivare a ipotizzare scenari politici alternativi.

Se guardate le recensioni su Amazon, ce ne sono diverse che lamentano l’abbondanza di descrizioni macabre: morti abbandonati in strada, cadaveri in putrefazione, fosse comuni… M a me non sembra che l’autrice si sia soffermata molto su questi aspetti.

Dobbiamo considerare che il libro esamina l’epidemia a livello globale: ci sono stati anche casi macabri. Sorvolarli non sarebbe stato un atteggiamento obiettivo.

Consiglio finale: leggetelo.

Leggetelo soprattutto per capire come l’animo umano resta sempre lo stesso, non importa quanto evoluti e “scientifici” ci consideriamo.

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Covid19 e scuole

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E’ passato un secolo, ma, davanti a un Corona Virus con caratteristiche molto simili a quelle dell’epidemia di Spagnola, siamo ancora a discutere se le scuole devono stare aperte oppure no.

Allora vi racconto cosa ha fatto Royal S. Copeland, il commissario alla sanità di New York nel 1919, centouno anni fa.

Oltre le litigate con i sostenitori del presidente Woodrow Wilson, che ignorò i consigli dei medici militari e lasciò continuare i trasferimenti dell’esercito (eh, sapete, siamo in guerra!)…

… oltre alla continuazione di campagne a favore dell’igiene pubblica (ad esempio, vietando di sputare in pubblico… (e faccio notare che qui in Italia nel 2020 ancora non riusciamo a estirpare questa abitudine)…

… oltre il divieto di funerali pubblici…

… oltre la campagna a favore dell’igiene pubblica degli immigrati (soprattutto italiani, considerati particolarmente sporchi e promiscui; New York era la seconda città al mondo per numero di italiani, dopo Napoli)…

… oltre a tutto questo e ad altre iniziative volte a combattere la pandemia, Copeland, in accordo con Josephine Baker, a capo della divisione di Igiene infantile del dipartimento di Salute pubblica, decide di tenere aperte le scuole.

Uh, anatema!

In realtà, i bambini a scuola erano meglio controllati e curati se mostravano segni di malattia. Inoltre erano meglio nutriti, cosa che a casa non sempre era garantita.

Copeland e Baker attirarono

su di sé molte critiche, comprese quelle della Croce Rossa e di ex commissari alla sanità. Ma Copeland e Baker avrebbero avuto la loro rivincita: quell’autunno quasi nessun bambino in età scolare si ammalò di influenza.

E noi, nel 2020, dall’alto della nostra tecnologia e scienza, con tutti gli strumenti di cui disponiamo, stiamo ancora qui a discutere.

 

 

 

 

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Wuhan – diari da una città chiusa (Fang Fang)

La scrittrice cinese Fang Fang, nata a Wuhan nel 1952, ci racconta il suo lockdown.
I temi principali sono la paura, la morte, gli haters, la difficoltà di approvvigionarsi di cibo. Ma anche i suoi rapporti con gli amici e i parenti.

E’ infatti questo uno dei punti chiave del libro: le sue relazioni sociali.
Sono rimasta sorpresa di quanto sia rimasta in contatto con i suoi ex compagni di classe, dalle elementari all’università. Certo, lei vive sola, ha bisogno di parlare con qualcuno, ma ho l’impressione che questa sia ancora una caratteristica che i cinesi riescono a mantenere viva.

Non come noi, che non conosciamo neanche i nomi del vicino di pianerottolo.

Altro elemento che mi ha sorpreso: il suo rapporto col governo.

Fang Fang è spesso bersaglio di censura, sia coi suoi libri che coi suoi post online. Lei lo sa, se ne lamenta ma non si indigna come ci indigneremmo noi. Alla fine riconosce che ciò che vale davvero, è il bene comune. Se dunque critica l’operato del governo (e lo fa!!), al di sotto delle sue parole si può trovare una fiducia di fondo.

Quanto è lontano questo atteggiamento dalle invettive dell’italiano medio!

E’ un libro che, nonostante la tristezza dell’argomento, inspira serenità.

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Altri virus…

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Abbiamo la memoria corta, forse perché la nostra memoria è sempre più governata dai giornali e dalla TV, che cambiano notizie troppo in fretta. Ecco perché riporto un brano di Francesco Piccolo, tratto da “Il desiderio di essere come tutti”; siamo nel 1973:

Vibrione. Questa era la parola. Finora non esisteva, avrei potuto attraversare tutta la vita senza sentirla pronunciare. Il vibrione del colera. Un germe patogeno. Violentissimo. Si impianta nell’intestino tenue e distrugge tutto l’epitelio.

(…) a un certo punto ti veniva un dolore lancinante alla pancia, proprio fortissimo, e poi andavi in bagno e veniva fuori della roba bianca. Proprio così: bianca. E questa diarrea bianca cominciavi ad espellerla e non smettevi più (…). E poi, alla fine, morivi perché non avevi più acqua dentro il corpo. Disidratato, dicevano.

Alla televisione ne parlavano di continuo, i casi sospetti aumentavano, lo spavento dentro e fuori casa era sempre più incontrollato. Non ci occupavamo d’altro; tutto il resto dell’esistenza era sospesa, non contava più nulla, lavorare o non lavorare, comprare il late, uscire a fare una passeggiata. (…)

Certo, il colera in quegli anni non si è certo diffuso come il Covid19 oggi, ma sentite cosa dice dell’ospedale Cotugno, dove erano ricoverati i malati in quelle settimane:

Si vedeva qualche medico in camice bianco che usciva e parlava al megafono, per calmare i parenti dei ricoverati. Nessuno poteva entrare, e i medici erano consegnati: non potevano uscire. Il Cotugno era un luogo inaccessibile, misterioso. Restavamo tutti fuori, dai parenti a noi che guardavamo la TV. E quindi l’immaginazione su cosa ci fosse lì dentro cresceva, e diventava ogni giorno più mostruosa.

Notate le somiglianze?

Solo che allora non c’erano i social, e i complotti circolavano solo via voce, non via web.

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