Tratto da “Perseverare e’ umano” di Pietro Trabucchi.
Consiglio banale ma troppe volte disatteso…
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Come no, certo che voglio correre. Vorrei. Ma sono ferma da due settimane, dopo che la seduta di corsa più lunga della mia vita (35 minuti di orologio alla velocità di una vecchietta con passeggino) mi ha provocato un risveglio delle ernie al disco lombari.
Sì, lo so che la corsa non va bene a chi ha l’ernia al disco. Ma insomma: molla l’aikido perché le cadute non fanno bene, molla il tai-chi perché la posizione in piedi fa non fa bene, adesso devo mollare pure la corsa? Dopo la soddisfazione di essere arrivata a 35 minuti filati?
Il nuoto mi annoia, anche se sarebbe la morte sua… uffa. Vedremo.
Tornando al libro di Arcelli: un classico per gli amanti della corsa, neofiti e non. Ben dettagliato a livello alimentare (sebbene non mi trovi d’accordo con l’insistenza sulle proteine, sulla frutta a fine pasto, i blocchi della dieta a zona e altre “cosette” del genere) e tabellare.
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Qualcuno prega in chiesa davanti all’altare. Qualcun altro prega davanti al comò riempito di santini e foto. In Giappone si prega davanti al tokonoma.
Io, oggi, prego davanti alla finestra. Che smetta di piovere. Perché non sono ancora una di quelle appassionate che esce a correre anche sotto la pioggia: no, decisamente no. Se piove devo togliermi gli occhiali e rischio di inciampare su un tutolo caduto dall’ultimo trattore della stagione della raccolta del mais.
Il terrore è che sia vero quello che scrivono sui libri: e cioè, che se stai troppi giorni senza correre, poi devi tornare al tuo livello precedente. Quale è il mio livello precedente: otto minuti.
Mi spiego meglio.
Ho iniziato a correre il 15 agosto di quest’anno, dopo una vita che non lo facevo (l’ultima volta deve essere stato ad educazione fisica alle superiori); e lo scatto principale me lo ha dato un libro in cui si spiegava che il corpo umano è fatto per correre, lo si capisce dalla conformazione dei glutei, dei muscoli nucali, dal sistema termoregolatorio ecc… Bisogna fare quello per cui si è nati, no? Bisogna rispettare i bisogni ancestrali del corpo! E poi, mi era già capitato di fare sogni in cui correvo e in cui ero… felice di correre! Sogni ricorrenti. Evabbè, proviamo, mi son detta.
Ovviamente, la regola numero uno è: gradualità.
Così, tenendo come base un’ora di cammino, ci ho inserito dentro il primo minuto di corsa. L’intento era di fare un minuto di corsa e uno di cammino fino alla fine dell’ora.
E’ stato il minuto più lungo della mia vita, più lungo del travaglio del parto. Se sono partita come essere bipede, sono arrivata allo scadere del sessantesimo secondo come essere quadrupede. Non ricordo se ho corso un altro minuto in quell’ora, so solo che mi sono aggrappata alla parola “gradualità” come un pipistrello al ramo, che non lo stacchi neanche se gli tagli le zampe.
Bè, di settimana in settimana ho aggiunto un minuto, sempre su base oraria. All’inizio non è stato un incremento regolare, mi ci è voluto un po’ a fare tutta l’ora alternando un minuto di corsa e uno di cammino, ma ad un certo punto ho cominciato a incrementare di un minuto a settimana.
Ora, dunque, faccio nove minuti di corsa e uno di cammino alternati.
E adesso piove.
E se piove tutto l’inverno e io perdo l’allenamento acquisito fino a dover tornare a quel primo, intollerabile, semi-mortale minuto?
Non posso pensarci.
Perché ho fatto fatica ad arrivare fino a questo punto; sebbene la fatica che provo ora sta scemando rispetto a quella iniziale, quando tiravo giù tutti i santi del primo novembre se una formica mi attraversava la strada e io dovevo scavalcarla (il cambio di ritmo è tremendo!).
Ehi, ma… è una mia impressione, o ha smesso di piovere?
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Ma dai, Giovanni (quello di Aldo, Giovanni e Giacomo, sì) anche quando corre non ce la fa a star serio… e io ho avuto delle difficoltà a capire se le avventure che raccontava, riferite alle sue corse in giro per il mondo, erano vere o “abbellite”. Difficoltà poi aumentata dal fatto che il libro è scritto in collaborazione con Franz Rossi, altro corridore suo amico, ma non è specificato se il paragrafo lo ha scritto l’uno o l’altro.
Bè, dai, no, devo dire la verità: tra i due lo stile di scrittura è diversissimo.
E’ un libro per gli appassionati della corsa, perché secondo me se non ti immedesimi negli episodi che raccontano (della serie: corro, dunque potrebbe succedere anche a me) la lettura procede a rilento.
I consigli da runner sono sempre i soliti (scarpe, abbigliamento, infortuni, alimentazione): quello che qualifica il libro sono proprio le esperienze concrete, spesso vissute dall’altra parte del mondo.
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Tanto per non smentirmi, li ho detti nel modo sbagliato: prima “Maratona per tutti” e poi “Quelli che corrono”, mentre avrei dovuto leggere prima quello dedicato alla corsa amatoriale e poi quello dedicato alla maratona. Pazienza.
Comunque le differenze non sono rilevanti, anzi: la Mondadori non si è smentita e ha voluto sfruttare al massimo il tam tam olimpico facendo scrivere a Baldini ben tre libri sulla corsa, quando in realtà si potevano condensare in uno (almeno i due che ho letto io).
Quello sulla maratona, in più ha solo le un elenco delle principali maratone al mondo e qualche dritta sui parametri di calcolo delle capacità aerobiche (Conconi, Lydiard…).
Certo, per chi è un amatore agli inizi come me, sono tutte informazioni utili, ma per il momento non riesco ancora a correre un’ora di seguito, dunque… pazienza!
E’ importante provare ad allungare il periodo di percorrenza piuttosto che la distanza percorsa. Meglio correre un minuto in più piuttosto che un metro in più. Ovviamente parlo di un runner amatore, alle prime armi.
Durante la lettura dei due libri, però, mi è suonato un campanello storto. In più di un punto, lo sportivo scivola sull’autocompiacimento.
Ad esempio: Sta parlando delle sue scarpe per le gare, che gli vengono preparate appositamente da alcuni ingegneri giapponesi, e dice “Tutta questa attenzione è dovuta al fatto che io sono Stefano Baldini (…)”.
Poi ho trovato almeno un’altra frase del genere. Non mi è piaciuto.
Mi è piaciuto invece il fatto che fino al 2001 abbia lavorato part-time come impiegato nell’azienda che lo ha sponsorizzato (o che lo sponsorizza ancora? Boh…) e che mantenga ancora il ruolo all’interno dell’organico aziendale. Mi sa tanto di americano, di apertura mentale (ok vada anche per il ritorno di immagine…); non sa di Italietta, di fabbrichetta, di industrietta.
Dal mio punto di vista, mi son messa le mani nei capelli quando ho letto i suoi consigli alimentari. Dice che madre natura ci ha fatti onnivori (che siamo, maiali? Orsi?). E che servono tante proteine quando ci si allena con intensità, dunque, secondo lui è “corretto assumerne adeguate quantità attraverso carne, pesce e formaggi” (verdure a foglia verde e legumi no, eh?). E poi: “E’ il pesce ad avere un alto contenuto proteico con scarso contenuto di grassi” (scarso? Non credo sia l’aggettivo giusto). Comunque è il primo ad ammettere di non essere un nutrizionista né un dietologo, dunque prendiamo atto delle sue abitudini e consideriamole tali: Sue.
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Ho come l’impressione che questo sia un libro indirizzato a chi… non è abituato a leggere.
Paragrafi cortissimi, schede di “approfondimento” (quasi epidermico), uso del grassetto, foto sparse dall’inizio alla fine… tutti elementi che possono attirare chi non è abituato a leggere testi a “pagina piena”, insomma. Forse è per questo che non mi è piaciuto al 100%?
O forse perché, rispetto ai libri che ho letto negli ultimi mesi sul tema della corsa (Baldini, Duranti, Daniel Fontana) è meno… intimistico? Cioè; Baldini e Fontana portavano la propria esperienza sofferta, ti facevano capire che per ottenere dei risultati bisognava, letteralmente, sudare, ti ricordavano che anche loro sono degli esseri umani con alti e bassi, con vittorie e sconfitte…
Qui è tutto un po’ all’acqua di rose. Sì, ci sono certamente consigli utili (scarpe, vesciche, movimento del bacino, tempo atmosferico, respirazione, ecc…) ma è tutto indirizzato a una corsa che sembra una favoletta, perché deve essere, appunto, dolce.
Bè, signori, per me la corsa non è per niente dolce, non ancora almeno!!
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Cosa potevamo aspettarci dalla Mondadori se non un titolo ad effetto (anche se poi il dimagrimento non è il nucleo centrale del libro) e la foto del figo di turno reduce da un reality sulla “rimessa” in forma?
Il libro si salva solo perché questo figo di turno è uno che si è fatto il culo quadro a forza di correre, uno che è partito da un angolo sperduto dell’Argentina e che è diventato un triatleta, un ironman.
Daniel Fontana ha fatto della corsa una professione e infatti il suo approccio è professionale e metodico: illustra tecniche e fornisce delle dritte sull’alimentazione (che non condivido, ma passiamo oltre…), mostra esercizi di riscaldamento e allungamento (con tanto di inserto foto a colori) e propone tabelle di marcia (che per me sono pesantine, ma… io sono pesantissima!).
Come dicevo, non è un libro specifico per chi vuole dimagrire (per fortuna). Affronta tutti gli aspetti della corsa, a volte introducendo il lettore a termini specifici o facendogli balenare davanti agli occhi problemi che un corridore amatoriale magari non si è ancora prefigurato. Nel complesso, un testo abbastanza buono a livello motivazionale (nonostante la casa editrice).
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Shapiro è un corridore e un insegnante di filosofia americano. In questo saggio parla, più che delle difficoltà fisiche nella corsa, delle difficoltà mentali: dei freni che ci impediscono di iniziare, delle immagini mentali che ci rallentano o ci fanno fermare mentre corriamo, della dukkha (=sofferenza) che ci travolge prima della gara e quando siamo bloccati sul divano per un infortunio…
Il suo approccio è solo apparentemente facile: se può sembrare easy la corsa contando i passi del solo piede sinistro, in realtà il raggiungimento della completa consapevolezza nell’atto di appoggiare il tallone a terra è – almeno per me – molto difficile.
Una cosa è mettersi davanti a una candela e concentrarsi sul respiro; tutt’altra cosa è concentrarsi sul respiro quando… il respiro lo hai perso per strada!
Il libro è comunque piacevole, per chi inizia a correre, anche perché Shapiro non tace sulle sue difficoltà, sui suoi infortuni e sulle rognette che la corsa gli ha causato in famiglia.
Per di più, lungo tutto il saggio ci sono le massime del Buddha; alcune mi erano del tutto nuove.
Non credo in un destino che colpisce le persone comunque agiscano. Ma credo in un destino che li colpisca a meno che non agiscano.
Ci sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso la verità: non andare fino in fondo e non iniziare.
Non sarai punito per la tua rabbia. Sarai punito dalla tua rabbia.
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