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Come parlare con chiunque, in qualunque momento, ovunque (Larry King)

Ecco uno di quei libri che non metto mai in pratica ma che sono così piacevoli da leggere…

Larry King, uno dei più famosi showmen statunitensi, è sempre stato un chiacchierone fin da piccolo: ma tra avere la lingua lunga e farne un mestiere, ce ne passa!

Alcuni dei suggerimenti di questo libro sono già conosciuti a chi legge saggistica di auto-aiuto:

  • Ascolta con attenzione l’interlocutore, da quello che dice si può sempre tirar fuori nuovi argomenti di conversazione o approfondire quello in corso;
  • Se non sai con che argomento iniziare, prova col tempo: banale, ma è pur sempre un inizio. Dopotutto, il tempo ci condiziona in molti modi diversi: raccontali.
  • Evita le domande che possono aver per risposta solo un sì o un no: riformulale.
  • Non preoccuparti del tuo linguaggio corporeo: non cercare di controllarlo, o risulterai artefatto e l’interlocutore comincerà a mettere in dubbio quello che dici.
  • Sii informato! Leggi, parla con la gente degli argomenti in voga, fatti una tua opinione personale: raccogli informazioni e rielaborale secondo il tuo punto di vista.
  • Sfrutta le tue passioni e i tuoi entusiasmi: se non li nomini neanche, rischi di farti sfuggire di mano le persone che, a tua insaputa, hanno i tuoi stessi hobby.
  • Chiedi spesso le ragioni dei punti di vista del tuo interlocutore.
  • Se proprio non sai di cosa parlare, prova con la tecnica del “what if?”: e se fossi l’uomo più ricco del mondo? E se fossi una donna? E se avessi un appartamento al mare? E se fossi immortale? Ecc… le opportunità hanno per limite solo la fantasia.
  • Allenati parlando da solo.

Il consiglio migliore, secondo me è questo:

Per essere interessante, sii interessato.

Interessato alla controparte ma anche a tutto quello che ti succede attorno.

E poi, ricordiamoci una cosa:

“Le aziende di successo, così come le persone di successo, di solito non annoverano la modestia tra le loro più grandi virtù”.

Questo è difficile. Almeno per me. Mi è sempre stato detto di non parlare troppo di me, di non vantarmi, di non dire nulla su quello che so fare, a meno che non mi venga espressamente chiesto.

Tutti gli autori di libri simili a questo ti suggeriscono di buttarti perché anche la chiacchiera è come un muscolo: aumenta con l’uso. Ma in un mondo come il nostro, vedo sempre meno voglia di ascoltare: perché dovrei rubare il tempo degli altri parlando di quello che interessa a me?

Il mio più grande interesse sono i libri, ma ne parlo pochissimo, perché mi accorgo che poi passo per l’intellettuale del gruppo (qualunque cosa significhi). Bisogna stare attenti agli interlocutori che ti trovi davanti: se non amano i libri, quello che dici, per loro, è noioso, è un dato di fatto.

Per Larry King le cose stanno leggermente meglio: lui frequenta gente di tutti i tipi e ha modo di approfondire un po’ di tutto, dalla politica allo sport ai libri alla musica alla situazione delle famiglie nullatenenti nei sobborghi di New York… Io frequento i colleghi di lavoro (coi quali non si approfondisce niente sul serio perché i discorsi più lunghi riguardano sempre il lavoro), parenti e amici fidati (che comunque provengono da un ambiente simile al mio e che dunque non hanno esperienze di vita diverse dalla mia) e… la vicina di casa, che ogni volta (ma proprio ogni volta, non sto esagerando) mi fa la lista di quello che ha pulito, con quali prodotti ha pulito, cosa ha cucinato, come ha lavato gli ingredienti, come li ha mescolati, a che temperatura era il fuoco… ecc…

Non si può iniziare un discorso con chiunque dicendo: sai, nell’ultimo libro che ho letto si parlava di…

Pudore?

No, legittima difesa.

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Leadership e gruppo (aziendale, sportivo, studentesco…)

imageUn leader deve essere dotato, più che di autorità, di autorevolezza. Mi spiego: l’autorità scende dall’alto, è quella che deriva dal ruolo ricoperto (un magistrato, un insegnante, un dirigente…). L’autorevolezza invece viene concessa dal basso, direttamente dal team che si deve dirigere. Se vogliamo chiamare in causa il vecchio Weber, anche se lui si riferiva prettamente all’ambito politico, il potere del leader non deve essere legale o tradizionale: può essere anche così, ma non può fare a meno dell’aspetto carismatico.

Non si nasce leader, ma lo si può diventare, lavorando su se stessi e sul gruppo. E’ importante che il leader sia:

  • ispirato: lui per primo deve credere in ciò che fa
  • aggiornato sulle novità (es. nuovi sistemi di allenamento per una squadra sportiva)
  • sincero: la comunicazione con i membri del gruppo non deve mai mancare né essere lacunosa o deviata
  • interessato (davvero) al benessere dei sottoposti
  • un esempio. Il vero leader non deve mai chiedere ai membri del team di fare qualcosa che lui non farebbe o non ha già fatto. Da questo punto di vista, sono rari i politici che sono investiti di autorevolezza:-(

E quali sono i compiti principali del leader?

Innanzitutto, mantenere un clima emozionale positivo. Se un membro del gruppo si sente escluso o deriso dagli altri, tutto il team ne risentirà. Secondo alcuni studi, il clima emozionale incide circa il 20-30% sui risultati della prestazione totale, senza contare tutti i malumori che saltano fuori e che, se non gestiti, rischiano di degenerare. Una delle modalità migliori per creare questa positività, è… frequentarsi. Creare delle occasioni di dialogo che siano anche (e, secondo me, meglio) al di fuori del contesto in cui il gruppo normalmente opera: cene per una squadra sportiva, partite di pallavolo per i membri di un ufficio, raduni, passeggiate collettive, visite a mostre o spettacoli… L’idea che mi son fatta è che più questi incontri organizzati sono lontani dal solito ambiente, più aumentano le probabilità di conoscere aspetti delle persone che in ufficio o sul campo di gioco non vengono mai tirati fuori. Tiro fuori Pirandello e le maschere? Ognuno usa una maschera diversa in base al contesto in cui si trova in quel momento.

La frequentazione frequente rende difficile la nascita dei fantasmi, ovverosia quelle percezioni errate delle intenzioni e delle personalità degli altri componenti del gruppo. Se non ci si parla, è facile arrivare alla conclusione che il giocatore X pensi che il giocatore Y sia una palla al piede: più la comunicazione è rarefatta e più aumentano le probabilità di paranoie all’interno del gruppo.

Ma cosa bisogna fare per aumentare la motivazione dei singoli membri del team? Beh, la motivazione è strettamente individuale, nasce da dentro. Non si può indirizzarla con uno stipendio a quattro zeri o con la promessa di una coppa. Però il leader può far leva sulle emozioni. Gli esseri umani sono disposti ai sacrifici per le emozioni. Non per un trofeo, non per 10.000 euro in banca, ma per le emozioni che sono legate a quel trofeo e a quei soldi in banca. Se è facile scaricare la motivazione di un membro del gruppo con un’occhiata storta o con una chiacchiera alle spalle, si può sempre cercare di risollevarla facendolo sentire capace, apprezzato, indispensabile, autonomo.

Un aumento di stipendio al giorno d’oggi è la maggior ambizione di chi ha un lavoro: ma non è per i soldi in sé, è perché questi soldi in più rappresentano l’apprezzamento del titolare/dirigente che non riesce/vuole dire: grazie, bravo, come sai fare le cose tu, non le sa fare nessuno.

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