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True (Mike Tyson) @EdizPiemme

Ecco un tipo che non potrei mai frequentare. E non perché mi faccia paura: semplicemente perché non è una bella persona (con tutte le giustificazioni che può tirare in ballo per via della sua infanzia da povero).

Il padre è sparito dall’orizzonte familiare fin da subito. La madre è scesa sempre più in basso, finendo con l’abitare in edifici destinate alla demolizione e passando da una relazione disfunzionale all’altra.

Tyson ha iniziato a frequentare brutte compagnie fin da subito e a sette anni già accompagnava gli amici a fare furtarelli per gli appartamenti. A dieci anni il primo arresto. E’ semianalfabeta e non capisce niente a scuola, così iniziano a dargli medicinali per curare presunte disfunzioni mentali/emotive.

La sua vita prende una via diversa quando va a vivere da Cus, un settantenne che si è improvvisato allenatore di box e che lo prende sotto la sua ala protettiva: gli infonde fiducia, gli dà uno scopo. Peccato, però, che, per far questo, nutre talmente tanto il suo Io che aumenta la sua già ben avviata predisposizione alla sbruffonaggine.

Tyson affronta il suo primo match da dilettante a 14 anni e si fa subito notare: da là in poi, è una sfilza di vittorie, fino a diventare il più giovane campione del mondo dei pesi massimi a vent’anni.

Se da un lato è pazzo per la boxe, si allena senza risparmiarsi, legge libri e guarda video di pugili del passato, dall’altro non sa stare al mondo.

Le donne sono un problema: le tratta come strumenti da sesso. Le palpeggia, fa commenti spregevoli, va a letto con tre o quattro donne a notte e poi le manda via a male parole. Questa è la sua modalità di comportamento, non riesce a farne a meno.

Senza parlare della sua ammirazione per uomini che lui considera “forti”, e che invece vivono solo di furti, spaccio, sfruttamento della prostituzione. Vorrebbe avere il loro carattere, cerca di imitarli.

Grazie alla boxe accumula milioni e milioni di dollari, che spende senza alcun controllo: gioielli per sé e per gli amici (a volte anche per i barboni che incontra per strada), ville stratosferiche sparse per tutti gli stati uniti (dove tutto è firmato Versace: ma proprio tutto), cocaina, stranezze varie (tra le quali, non si possono dimenticare i cuccioli di tigri e leoni), auto di lusso.

Finisce in galera per lo stupro di Desiree Washington, anche se si dichiarerà sempre innocente.

Ma sapete una cosa?

Innocente o no, gli sta bene. Prima o poi doveva trovare quella che gliela faceva pagare anche per tutte quelle che sono state maltrattate.

In prigione diventa musulmano, e dopo centinaia di pagine di parolacce e apologia di vari reati, il passaggio a parole tipo “amore universale” e “veganesimo” sa tanto di “ho finito i soldi e devo rendermi interessante per vendere il libro”.

Sì, perché nonostante i milioni guadagnati con la boxe, alla fine lui è diventato “povero”. O almeno così si definisce. Ma non so quanto obiettivo sia uno che dice

“Ero a corto di soldi, quindi vendetti sessantadue macchine”.

Tyson è insomma una persona che nasconde la sua insicurezza dietro un muro di aggressività. E’ uno che è capace di staccare un orecchio a morsi ma che non è capace di controllarsi e dire no a una bottiglia di alcool, a una notte di bagordi con sette donne o a una striscia di coca; e quando ci riesce, le ricadute sono dietro l’angolo.

Ha una sfilza di figli avuti quasi tutte da donne diverse: se non mi son persa passaggi, a volte compare il nome di un figlio e prima non ha neanche mai nominato la madre, come se fosse irrilevante…

Con tutte le giustificazioni del mondo, come faccio a farmi piacere un tipo del genere?

Ho letto la biografia perché, non avendo la TV, l’ho sempre sentito nominare, ma ne sapevo poco. E ora che l’ho letta, mi innervosisco perché…

… Non sono i soldi che mancano nel mondo. Sono solo mal distribuiti. Ma tanto, ma tanto male.

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La notte del santo, Remo Bassini @fanuccieditore

Iniziamo subito con un paio di morti ammazzati, quasi decapitati. E poi ne arrivano altri. Stessa modalità, ma vittime apparentemente slegate tra loro. La prima idea che salta in mente è che dietro agli omicidi, iniziati la notte del Santo patrono di Torino, ci sia una motivazione di natura religiosa, forse una setta. Ma pian piano, i dettagli iniziano a collimare tra loro: alla fine (che non vi svelo) le indagini vengono messe sottosopra e la curiosità ti costringe ad accelerare la lettura (terminata in tre giorni, nonostante un altro libro e l’inizio della scuola).

L’effetto sorpresa, che in un noir ci sta, arriva. Però questo è un noir atipico: il presunto protagonista, il commissario Dallavita, non è quello che risolve il caso. Lui tira le somme: grazie a lui scopriamo gli altarini dei colleghi, della Torino Bene, dei servizi segreti, ma in realtà il caso si era chiuso prima, grazia all’ispettore Tavoletti, o almeno si era chiuso per i giornali e i cittadini di Torino.

Dallavita non segue il caso passo per passo perché è a una svolta decisiva nella sua vita privata: lasciare la moglie Carmen. Ha bisogno di pensare, di star solo, e si prende un mese di ferie. Non è una scelta facile, la sua, ed è resa più difficile anche dall’atteggiamento della moglie, che attraverso telefonate ed SMS lo fa sentire un vero pezzo di cacca.

Quando un libro mi prende, provo nei confronti dei personaggi sentimenti forti, come se fossero persone che ho frequentato per un periodo breve ma intenso; forse anche di più: perché nella vita vera di rado vieni a sapere cosa pensa il tuo vicino o un tuo amico, mentre questo ti succede coi personaggi dei libri.

Nel caso di Dallavita, devo ammettere che non mi sarebbe piaciuto, dal vivo. Troppo altalenante in campo femminile, per i miei gusti talebani; e poi fuma (oh sì, il fumo mi dà tanto fastidio, anche nei libri), e inizia ad eccedere nel bere. Nessun personaggio del libro, però, è piatto: sono tutti multisfaccettati. Anche dal punto di vista della bravura nel lavoro, non sono perfetti: Dallavita per esempio si fa prendere in giro di brutto da un sospettato, mentre Tavoletti ha i suoi lati poco… legali. Questo l’ho trovato coraggioso, da parte di uno scrittore: la gente vera non è come nei telefilm americani, ci piace per certi aspetti, e non ci piace per altri.

Potrei forse avanzare una critica molto soggettiva sulla cupezza dei protagonisti: il noir italiano è abbastanza saturo di poliziotti dannati (anche se devo ammettere che, a difesa di Bassini, il suo Dallavita è dannato sì, ma non è bello né giovane, e qui esprimo la mia gratitudine per la rottura degli schemi).

Riassumendo: un romanzo con molti fili, che però si chiudono tutti alla fine; con personaggi pieni di fantasmi, che però si mettono in chiaro nelle ultime pagine; e con almeno tre conclusioni da dedurre tra le righe:

  1. trova il movente e troverai l’assassino;
  2. guardati dalle belle donne;
  3. anche i ricchi piangono.

 

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