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Il secolo della chirurgia (Juergen Thorwald)

Il miglior romanzo letto quest’anno.

E’ una edizione Feltrinelli del 1958 ma è scritto in un linguaggio lineare ed accattivante.

Per raccontarci la storia della chirurgia nell’Ottocento, Thordwald usa l’espediente di una prima persona fittizia, il dottor Hartmann, che gira il mondo per saziare la sua curiosità professionale e storica.

Hartman incomincia con un viaggio in India, dove viene a conoscenza della chirurgia “plastica” per la ricostruzione del naso. Vi chiederete: perché andare in India per studiare una tecnica chirurgica, visto che questo non è certo un paese tra i più tecnicamente evoluti?

Ebbene, il motivo è che in India era molto diffusa la pena del taglio del naso. I pazienti dunque non mancavano. Ed è interessantissimo vedere, grazie anche ad alcune tavole dell’epoca, come i “medici” del tempo utilizzassero, per ricostruire il naso, un pezzo di pelle del braccio (stiamo parlando di operazioni che venivano condotte già nel quinto secolo a.C!). Ma, siccome la pelle non poteva essere staccata dal braccio tout court, pena la morte del tessuto, il paziente era costretto a rimanere diversi giorni in una scomodissima posizione col braccio a pochi centimetri dal viso…

Ancora più interessante è la storia della nascita dell’anestesia.

Molti si sono arrogati il primato della sua invenzione. D’altronde, l’utilizzo di gas narcotici era conosciuto da decenni, solo che veniva più usato per scopi ludici (veri e propri spettacoli ambulanti) che medici.

Al di là dei vari nomi dei luminari coinvolti (e dentisti…! Wells, Morton, Simpson…) , mi hanno colpito le relazioni che correvano tra di loro: invidie, gelosie, dispetti, incredulità, disprezzo… l’anestesia sarebbe potuta diventare patrimonio dell’umanità molto prima se i dottori non avessero perso tempo a deridersi tra loro e a considerare il dolore come una parte imprescindibile del processo di guarigione.

Il problema principale è che i medici pensavano che niente potesse essere cambiato e quei pochi che la pensavano in modo diverso e si davano da fare per cambiare le cose, erano ostracizzati, ridicolizzati, disprezzati.

E che dire dell’asepsi? I chirurghi che incitavano i colleghi a lavarsi almeno le mani prima di operare erano oggetto di scherno e, spesso, anche di veri e propri attacchi fisici. Per chi non aveva la mente aperta, era normale operare con la giacca sporca del sangue del paziente precedente, era normale pulirsi gli strumenti sugli abiti, era normale che la gente morisse di parto, o di febbre chirurgia.

Il dottor Hartman assiste a tutti questi lenti progressi e sviluppa una grande fiducia nella chirurgia.

Finché non gli muoiono il figlio di appendicite e la moglie di un tumore allo stomaco. Ma anche queste vicende personali sono l’occasione per indagare su altri aspetti della chirurgia.

A me questo libro è piaciuto tantissimo, non solo per gli aspetti tecnici spiegati in maniera semplicissima, ma anche per come sono descritti i protagonisti, con le loro manie e i loro difetti, dalla timidezza cronica alla boria.

Quello che però ci insegna questo libro è che il progresso ha due enormi ostacoli da superare: l’abitudine e la prosopopea umana. Sono due aspetti ancora più pericolosi dell’ignoranza, perché diffusi proprio tra persone di un certo livello culturale.

Niente da fare: il progresso tecnologico non può prescindere dal progresso umano.

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