Ho iniziato a leggere questo libro nel giorno dell’anniversario in cui, tre anni fa, ho preso il covid, ma non l’ho fatto apposta, è stato per pura coincidenza, giuro.😓
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Si imparano sempre cosette interessanti dai libri di storia ben scritti – anche se John Kelly aveva inizialmente intenzione di scrivere un saggio sull’AIDS, e poi la peste della metà del milletrecento lo ha assorbito totalmente.
Ad esempio, ho scoperto che i🐭 topi domestici… ridono.
E che uno dei peggiori flagelli per l’umanità è dovuto al rigurgito 🤮di una pulce: il bacillo della peste infatti si installa all’inizio dell’apparato digerente di questi insetti, provocando una specie di blocco. Ne consegue che la pulce non riesce a inghiottire il sangue.
Non riuscendo a sfamarsi, continua a pungere come una pazza, e siccome il sangue inghiottito si ferma nella parte anteriore dell’apparato digerente, ogni volta che punge, 🐛 per non restare soffocata dal sangue, lo vomita nel nuovo morso.
Interessante, no?
Ma sono interessanti anche gli aspetti sociali ed economici di questo periodo.
In seguito ai numerosissimi decessi, i padroni feudali, che potevano essere nobili o enti ecclesiastici, si sono trovati a disporre di un’enormità di ricchezze grazie alle tasse di successione. La tassa veniva pagata spesso in animali – arrivava il balivo e si sceglieva la mucca migliore. Ma a forza di accumulare mucche, 🐮🐄 che non potevano essere accudite perché mancava personale, i padroni hanno dato l’ordine di vendere gli animali.
Un’immissione massiccia di animali nel mercato ha causato un crollo del loro prezzo💰🤑. Elementare Watson.
Il saggio affronta l’epidemia di peste🤒 dalla sua nascita al suo fulgore, seguendola per le vie che ha presumibilmente seguito a partire dalle steppe euroasiatiche. Veniamo così a scoprire come i vari paesi hanno reagito all’epidemia. A Ragusa, per esempio, l’attuale Dubrovnik, è stata introdotta la quarantena, cioè la chiusura delle città per quaranta giorni, un periodo che richiamava la Quaresima cattolica.
A Londra, una trentina d’anni fa hanno aperto le tombe ⚰️sotterranee di questi periodi e hanno scoperti che gli inglesi, con la loro solita flemma, sono spesso riusciti a mantenere la calma e a non farsi rovinare dal panico: i corpi erano ricoperti di cenere. Siccome la cenere ritarda la decomposizione, si deduce che i becchini ne ricoprissero i morti per ritornare in un secondo momento a completare la sepoltura. In certi periodi infatti, la mortalità era così alta che non c’era tempo di scavare tombe e ricoprirle subito.
Su tutto, la Chiesa🕍⛪, che ha continuato a dichiarare che la peste era una punizione divina per i peccati degli uomini, un atteggiamento, come al solito, ha ritardato la ricerca e le cure (ricordo che a quel tempo era ancora vietata la dissezione dei cadaveri per motivi di studio).
Molti episodi narrati in questo libro li ho ritrovati in “Mondo senza fine” che ho appena finito di leggere, di cui potete leggere la recensione nel post precedente.
Tranquilli, non sono regredita alle mie giovanili credenze cattoliche, ma dovevo leggere un libro in tedesco, mi serviva una extensive reading (Stephen Krashen docet) e non ho sempre testi di mio gusto in libreria. Dunque, come faccio spesso (forse troppo spesso) nella vita, mi sono accontentata.
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E poi inutile negarlo: fino ai vent’anni sono stata una cattolica immersa in un ambiente cattolico, ero convinta che i cattolici fossero almeno un poco migliori dei non cattolici, e più messe mi sorbivo (pur pensando ai cavolacci miei) più a posto con la coscienze mi sentivo. Dunque, Giovanni Paolo II è stato il mio papa, e leggere di lui mi ha riportato indietro nel tempo.
Ma questa non è una biografia classica.
Andreas Englisch è un giornalista che ha fatto parte per molti anni del pool che accompagnavano il papa nei suoi viaggi: saliva sugli aerei con i colleghi, fumava, litigava per afferrare una frase papale in più degli altri, correva a telefonare alla propria redazione per informarla se il pontefice aveva fatto una battuta o se era inciampato nella tonaca.
E a differenza delle biografie che piacciono a me, quelle con dettagli intimi trasmessi di prima mano, l’autore non è mai riuscito a fare una vera intervista a quattr’occhi col papa. Englisch scrive di quello che vede, di quello che legge, e di quello che pensa. E anche di com’è difficile la vita del giornalista al seguito del pontefice, che forse è la parte più interessante, per i non credenti, come quando sono venuta a sapere che è usanza, tra quei professionisti così compiti, portarsi a casa più souvenirs possibili, che siano portatovaglioli in argento con lo stemma papale o fogli di carta scritti a mano dal pontefice e recuperati dal cestino; molti di questi souvenirs si trovano anche oggi nei mercatini dell’usato in giro per l’Italia e sono venduti a prezzi folli.
Andreas Anglisch non è cattolico. Quando ha iniziato a seguire il pontefice nei suoi viaggi, non nascondeva a nessuno i suoi dubbi nei confronti della chiesa cattolica: dalle enormi ricchezze, agli scandali finanziari, alla pedofilia, al mancato aiuto agli ebrei durante la seconda guerra mondiale, al divieto di utilizzare protezioni durante i rapporti sessuali anche in periodo di AIDS ecc…
Ma questa esperienza doveva metterla per iscritto se non altro per farci sapere com’è la vita dietro le quinte di un giornalista (e comunque, i libri sul papa vendono sempre piuttosto bene).
Andreas Englisch, durante gli anni, ha visto il papa come un soldato che si poneva dei compiti da assolvere. Ogni volta che ne aveva compiuto uno, Englisch pensava che il papa avesse perso il suo obiettivo, e invece Woytila lo sorprendeva sempre con una nuova battaglia.
All’inizio si trattava di combattere il blocco sovietico, poi di unire i cristiani (evangelici, ortodossi…), poi di unire tutte le religioni monoteiste, poi di riappacificarsi con ebrei, poi di riappacificarsi con i musulmani, poi ammettere le colpe della chiesta nel caso Galilei, poi di chiedere scusa per l’inquisizione…
Insomma, un lavoro non indifferente per un uomo che aveva i suoi acciacchi di salute.
L’autore non cambia idea su certi argomenti: il rifiuto degli anticoncezionali in India e in altri paesi ad alti tassi di AIDS è un punto su cui la chiesa non ammette deroghe, così come sul ruolo delle donne, sul celibato, sull’aborto. Ma negli anni ha imparato ad apprezzare la resilienza del papa, la sua capacità di andare avanti anche se chi gli stava attorno non approvava (vedi Ratzinger in merito ai miracoli di padre Pio).
Mi ha colpito un episodio che non ricordavo.
Il Papa non ha mai accettato l’affermazione statunitense secondo cui Dio è dalla parte degli USA anche (e soprattutto) se attaccano militarmente altri paesi. Quando Woytila è andato in visita in America, Clinton, per affermare la supremazia dell’idea americana su quella del pontefice, ha fatto qualcosa che nessun altro capo di stato aveva mai osato.
Con il peggioramento della salute di Woytila, i presidenti, all’arrivo dell’aereo papale, si presentavano subito davanti alla scaletta, per evitare al papa di camminare troppo, visto che era molto affaticato e dolorante. Clinton no. Ha fatto preparare un lungo tappeto rosso che univa la scaletta alla tenda sotto cui lui è rimasto ad aspettare, costringendo il vecchio a trascinarsi fino a lì.
Perché non mi ricordavo questo episodio?
Non mi pare di aver trovato traduzioni in italiano di questo libro e credo che non farebbe comunque successo. Non svela nulla di nuovo, non si lascia andare a teorie complottiste né a improperi verso i grandi peccati vecchi e attuali della chiesa cattolica. Non sappiamo davvero cosa pensasse Woytila in certi frangenti, sappiamo solo cosa ne pensa Andreas Englisch (che, per la cronaca, continua a pubblicare in Germania libri sulla chiesa romana).
Manca insomma quell’elemento piccante che attira le grandi folle di lettori in Italia.
Ma qualche punto interessante ce l’ha, per lo meno per me che fino a una certa età nella vita ho sempre accettato pedissequamente come vero e giusto quello che mi dicevano i miei genitori.
Nella vita, non si dovrebbe mai rinnegare niente ma sfruttare tutto, almeno come lezione.
Richard Dawkins è un biologo evolutivo. L’evoluzione della specie per lui, dunque, è pane quotidiano, ma la sua scelta di campo (ateismo contro religione) non è solo una questione accademica.
Come ci fa notare in una serie di interessanti esempi, alla religione vengono riconosciuti diritti che ad altri settori della comunità non vengono riconosciuti. L’obiezione di coscienza, ad esempio: in alcuni paesi si può evitare il servizio militare per motivi religiosi, ma non esiste l’obiezione di coscienza se si è semplicemente contrari alla guerra, non importa quanto logico sia il nostro motivo.
Un altro esempio, molto più vicino al caso italiano, sono le varie cause di esenzione fiscale di cui godono le Chiese, nonché il flusso di denaro che, dalle nostre tasse, tramite meccanismi volontari, giungono a enti religiosi (che non sono di solito tenuti a render conto a nessuno, cosa che se succedesse in una società per azioni privata porterebbe a diversi arresti).
Un esempio che mi riguarda: quando ho iscritto il bambino alla mensa scolastica, potevo richiedere l’alimentazione vegetariana per motivi religiosi, ma non per motivi salutistici (nonostante sia ampiamente dimostrato che meno carne si mangia e meglio è).
Gli esempi di Dawkins sono tratti principalmente dal contesto statunitense e anglosassone. Certe mostruosità, dunque, ancora non ci riguardano (per il momento).
Dawkins ci racconta ad esempio il caso dei genitori mormoni che hanno ritirato il figlio dalle scuole dell’obbligo per motivi religiosi e il sistema legale ha riconosciuto il loro diritto di farlo (cosa che non sarebbe successa se avessero opposto altre ragioni).
Sempre negli Stati Uniti: è possibile ricorrere ad allucinogeni per “incontrare” dio e per avere esperienze “mistiche”, ma in certi paesi non ammettono neanche l’uso della marjuana per motivi sanitari. In alcuni stati americani non è ammesso l’aborto, neanche se la ragazza è stata messa incinta in seguito ad uno stupro.
Secondo Dawkins, Dio è una vera e propria illusione.
I creazionisti affermano che il mondo così com’è può essere stato creato solo per intervento divino o per caso. Il caso viene escluso perché gli esseri viventi sono così complessi che le probabilità che si arrivasse, ad esempio, a un corpo umano o a una foglia di platano erano davvero infinitesimali.
In realtà, saltano a piè pari il complicato processo dell’evoluzione: non si tratta, per il caso, di creare un corpo umano dal nulla. Se fosse così, allora l’evento corpo-umano sarebbe praticamente impossibile. Ma l’evoluzione è un insieme di eventi poco probabili che si sono verificati in serie, nell’arco di migliaia di anni. Ognuno di questi step era poco probabile, ma non impossibile.
L’accumulo di questi eventi poco probabili ha portato al risultato che è davanti ai nostri occhi oggi.
E’ molto interessante anche la parte in cui Dawkins spiega perché la religione è nata e perché il cervello umano propende per credere in un qualche creatore.
Uno dei motivi, ma non il solo, è che un cervello che ragiona in senso teleologico ha un vantaggio biologico.
Mi spiego: se vediamo una tigre, non è biologicamente conveniente analizzarla in termini chimici o storici; è molto più conveniente considerarla dal punto di vista teleologico, e presumere che la tigre abbia un fine, che è quello di mangiarci. Da qui a pensare che tutto l’esistente abbia un fine, il passo è non breve ma abbastanza consequenziale.
Un’altra parte interessante del libro è quella in cui l’autore spiega che il senso morale può sussistere benissimo senza le religioni (anzi, il senso del bene spesso persiste nonostante le religioni). Sono state fatte molte ricerche scientifiche in questo senso, e tutte concordano che, più o meno, il 97% dei soggetti, indipendentemente dal credo religioso, danno le stesse risposte moralmente connotate.
La morale e lo Zeitgeist nel tempo evolvono nonostante la religione, e non grazie ad essa.
Non solo: un’altra ricerca del 2005 “mette a confronto 17 nazioni sviluppate e giunge alla devastante conclusione che ai più alti livelli di religiosità corrispondono i più alti livelli di omicidi, mortalità infantile e giovanile, malattie veneree, gravidanze e aborti di adolescenti”.
Quindi non solo la religione è superflua: è dannosa.
Senza contare la sfilza di assurdità che sono scritte in alcuni dei testi delle religioni principali. Pensiamoci…
Prendiamo il Dio degli ebrei: è un dio genocida. Ammazza tutti, inclusi donne e bambini e pure gli animali, se il suo popolo decide di “adorare” un altro dio. E i casi in cui le donne sono considerate meno delle bestie non si contano.
Oppure, in campo cristiano: perché un Dio deve far ammazzare il proprio figlio per salvare il mondo? Che legame c’è tra sacrificio e salvazione? Io questo non l’ho mai capito.
Così come non ho mai capito il discorso della trinità: uno e trino. Nessun sacerdote è mai stato in grado di spiegarmelo in modo da rendermelo accettabile.
Ogni mia domanda veniva tacitata con la frase finale: è una questione di fede (= credi ad occhi chiusi perché te lo diciamo noi o te lo dice il Libro). E non c’è niente di peggio che insegnare ai bambini che la Fede è una virtù: gli si insegna ad accettare quello che gli viene detto solo perché lo dicono certe figure designate.
Mi si dice: devi leggere la Bibbia (o il corano o il vangelo ecc…) considerando il contesto storico in cui è stata scritta. Ma questo discorso va bene solo per alcuni passaggi, e non per altri. Dov’è il criterio oggettivo per capire quali passaggi sono da intendere in senso letterale e quali no? Non c’è.
Questo saggio è molto godibile. Meriterebbe di essere letto solo per ridere (amaramente) dei casi di estremismo religioso che si verificano negli Stati Uniti al giorno d’oggi.
In realtà, se avevo qualche dubbio sull’esistenza di un’intelligenza superiore, ora se ne è andato. E non sono triste o depressa. Non medito il suicidio e non ucciderò la mia vicina di casa per impossessarmi dei suoi pansé.
Ho frequentato la parrocchia fino ai 18-20 anni, ho fatto parte di tutti i consigli ed organi cattolici che c’erano al mio paese. Ero fuori casa tre o quattro sere alla settimana per partecipare a qualche iniziativa organizzata dal sacerdote. La comunità si reggeva attorno alla chiesa parrocchiale. Era un ambiente tranquillo, attivo, con persone piene di buone intenzioni, ma – me ne rendo conto adesso – era sempre latente la convinzione che chi non frequentava la chiesa e la parrocchia non fosse, in fondo, una brava persona.
E, soprattutto, certe idee assurde non si potevano mettere in discussione (peccato originale, verginità della Madonna, vita eterna, eutanasia, coppia eterosessuale, cellule staminali!!!).
“Non possiamo spiegarti perché è così, ma devi crederci”.
Romanzo sulla vita di Teodorico Pedrini, musicista (e pure prete, ma… a fasi alterne!).
Vissuto a cavallo tra il 1600 e il 1700, il Papa lo mandò in Cina per controllare i gesuiti (che stavano “cedendo” troppo su certe questioni ritualistiche) e con la speranza di convertire al cattolicesimo niente popò di meno che… l’imperatore Kanxi!
Bisogna dire che Pedrini era diventato prete in modo particolare: la sua più grande passione era la musica, ma senza appoggi nobiliari o ecclesiastici aveva poche possibilità di sfondare. Cedette alla tonaca solo dopo la morte della ragazza di cui si era innamorato (schiacciata dai cavalli durante il carnevale, per la cronaca).
Ovviamente, come in ogni avventura che si rispetti, per andare da Roma a Pechino, il Papa non gli ha fatto fare la strada più breve, via terra: lo ha mandato prima nel nord della Francia, a S. Malo; poi con la nave gli ha fatto attraversare lo stretto di Magellano, passare per il Cile, andare in Messico (dove stava per restare a causa di una meticcia) e poi ripartire per la Cina.
Il viaggio per arrivare in Cina è durato solo (!!) sette anni, anni molto difficili, considerando i pericoli dei viaggi a quei tempi.
A Pechino viene ricevuto dall’imperatore Kanxi soprattutto grazie alle sue capacità musicali, ed assurge fino alla carica di mandarino: onore tra gli onori!
Peccato che l’imperatore sia sotto l’influenza dei gesuiti…
I gesuiti nel 1600-1700 sono molto potenti perché dispongono di conoscenze matematiche ed astronomiche che sono utili all’imperatore.
Le fortune di Pedrini, così come sono salite alle stelle in maniera repentina, in maniera altrettanto repentina cadono nelle fogne.
Viene arrestato, picchiato e incarcerato con una scusa qualsiasi.
Durante la prigionia, pensa di continuo alla concubina e al figlio (ve l’avevo detto che era prete a fasi alterne), ma riflette anche sull’opportunità di costringere i cinesi ad adottare i riti romani: è davvero così necessario che rinuncino a prostrarsi davanti alle tavolette dei loro antenati?
Quando muore Kanxi e sale al trono il figlio, le fortune di Pedrini si risollevano.
Per poco: perché arriva il terremoto e lui resta vedovo.
Sono 317 pagine, dunque potete capire che il mio riassunto qui sopra è stato davvero succinto. Ho sorvolato su tutti gli intrighi di corte (sia occidentali che orientali) che hanno determinato il destino di Pedrini, e sull’inutilità dei suoi sforzi per convertire chicchessia in Cina.
Certo, l’autore non ha uno stile da eccelso scrittore, ma il libro si fa leggere grazie all’andamento episodico, che tralascia i tempi morti di una vita e allontana la noia.
E’ inoltre istruttivo vedere come l’atteggiamento e il pensiero di Pedrini cambino negli anni: all’inizio è convinto della sua missione e i suoi stessi discorsi sono pieni di ragionamenti sulla necessità di convertire i cinesi anche dal punto di vista ritualistico.
Alla fine, Pedrini quasi abbraccia le modalità con cui hanno agito i gesuiti e cerca (tramite interposta persona) di convincere il Papa che se la Chiesa non adotta le tesi gesuitiche, rischia di perdere la Cina per sempre.
Questo non si chiama essere voltagabbana.
La realtà cambia di continuo. Non cambiare idea (quando necessario), non è mancanza di coerenza, ma è sintomo di rigidità mentale.
Durante la lettura di questo libro sono passata da stati di esaltazione ad altri di pura delusione (e anche alcuni di frustrazione, visto che Quark e teoremi vari per me erano piuttosto incomprensibili).
L’esaltazione era massima quando leggevo frasi del genere:
La scelta tra utensili di pace e ordigni di guerra non è di natura scientifica ma culturale.
La cultura dominante ha confuso la Scienza e le sue applicazioni, come se si trattasse della stessa cosa.
Nel mondo è il potere politico che decide come usare i risultati delle scoperte scientifiche. L’uso della Scienza non è più Scienza. L’uso della Scienza si chiama Tecnologia. La scelta tra tecnologia buona e tecnologia selvaggia è nelle mani del potere politico.
L’arroganza nasce dall’ignoranza.
Logica e scienza dovrebbero far parte del patrimonio culturale di tutti.
Queste sono affermazioni che non possono non suscitare consenso.
Le braccia mi sono cadute quando Zichichi ha iniziato a parlare della teoria dell’evoluzione.
Dunque: il suo libro aveva lo scopo di dimostrare che Scienza e religione non sono contrapposte, e che la Scienza non nega l’esistenza di Dio (e dei miracoli!).
Quando ha affrontato il tema della nascita dell’uomo, è partito a dire che la Teoria dell’evoluzione è piena di lacune, che mancano molti anelli e che la Teoria non è scientificamente dimostrabile perché è avvenuta una sola volta, non è riproducibile né matematicamente dimostrabile.
Il che, in sé, è vero.
Quale il problema?
Il problema è che Zichichi non mi fornisce un’alternativa.
O meglio: tacendo, ammette implicitamente che l’altra alternativa conosciuta, la teoria creazionista, potrebbe avere qualche fondamento.
La teoria creazionista ritiene che l’uomo è stato creato da Dio così come è oggi. Non si è evoluto da un antenato comune ai primati. E Zichichi afferma:
Se l’uomo dei nostri tempi avesse una cultura veramente moderna, dovrebbe sapere che la teoria evoluzionistica non fa parte della Scienza galileiana. A essa mancano i due pilastri che hanno permesso la grande svolta del milleseicento: la riproducibilità e il rigore. Insomma, mettere in discussione l’esistenza di Dio, sulla base di quanto gli evoluzionisti hanno fino a oggi scoperto, non ha nulla a che fare con la Scienza. Con l’oscurantismo moderno, sì.
Ora, ci meravigliamo che negli Stati Uniti, il 40% della popolazione non crede nella teoria evoluzionistica?
Sono milioni e milioni di persone che credono che l’uomo è stato creato così com’è da un Dio (personale).
Ma non è finita qui. Sentite questa:
Nel corso del Secondo Millennio, le grandi conquiste dell’Arte (Rinascimento) e della Scienza (Galilei) sono dovute alla Fede Cattolica e ai valori della sua cultura. Nel Terzo Millennio sarà la Chiesa l’unica forza in grado di denunciare e affrontare il pericolo di olocausto ambientale.
In conclusione, il saggio di Zichichi ha mancato lo scopo: nel tentativo di conciliare religione e scienza è molto più efficace un Mancuso, che è un teologo, di un Zichichi, che è uno scienziato.
Alla fine, tutto si riconduce a una questione di fede:
La Fede è un dono di Dio: chi ce l’ha è credente. Chi non ce l’ha è ateo. (p. 153)
Dopo la vera storia di Malala, una ragazza a cui si voleva impedire di studiare, passiamo a Giovanna, vissuta (forse) nel IX secolo, perché neanche lei avrebbe potuto studiare.
Il libro mi è piaciuto tantissimo: su una scala da 1 a 5, gli ho dato 5-, ed è il voto più alto di quest’anno.
Siamo nel Nord del Sacro Romano Impero ma Carlo Magno è morto e regna la decadenza: ignoranza, fame, malattie, scorrerie dei vichinghi, superstizioni.
Le donne non hanno alcun diritto: non possono possedere nulla, il marito è autorizzato a picchiarle, e se vengono violentate il colpevole viene punito in maniera più lieve che per un caso di furto.
Quando il curato, padre di Giovanna, si accorge che la bambina vuole studiare, va fuori di testa: una donna non deve studiare, è contro natura, e… tutti sanno che le dimensioni del cervello di una donna sono inversamente proporzionali alla capacità del suo utero. Insomma, se una donna studia, non fa figli.
Ma, in un modo o nell’altro, Giovanna riesce comunque a imparare a leggere e scrivere, anche in greco.
Il romanzo è molto avventuroso: lei si ritrova, dopo una serie di vicissitudini, camuffata da uomo nel monastero di Fulda. Diventa prete ma si inimica le alte gerarchie a causa delle sue capacità logiche e della sua apertura al nuovo.
Finisce a Roma, dove, dopo che gliene successe di tutti i colori, diventa Papa, anche se per poco tempo.
I testi che testimoniano l’effettiva esistenza di Giovanna Papessa sono pochissimi, frammentari e molto contestati. Può non essere esistita. Però, se non lei, ci sono stati altri casi di donne che si sono travestite da uomo per permettersi una vita più libera: in tutti i tempi (e alla fine del libro l’autrice ne cita alcuni).
Bello, bello, bello. Perché, se anche la storia individuale di Giovanna è stata inventata, il romanzo incarna una delle paure più ataviche dell’uomo: la donna che studia, che può fargli concorrenza.
Mi direte: altri tempi.
Lo credevo anch’io, finché qualche anno fa, un mio amico, professore di filosofia, non mi ha detto: “Le donne non possono fare davvero filosofia. Gli uomini sì”. Gli ho chiesto perché: è un tipo che legge tre o quattro libri alla settimana, poteva darmi delle ragioni da valutare. E invece la sua risposta è stata: “Perché… no. E’ così. Non so perché”.
Altro lato piacevolissimo del romanzo: ti mette davanti alla realtà quotidiana di quei tempi. Preti sposati, malattie e procedure mediche, amanuensi, i nomi locali dei mesi dell’anno…
Il “meno” della votazione non ho potuto evitarlo perché:
la trama è un po’ troppo infarcita di coincidenze, che rendono la storia più veloce ma che, dal punto di vista della verosimiglianza, abbassano la qualità finale del romanzo;
Richilde, la moglie dell’uomo di cui Giovanna si innamora, è troppo “macchietta”: l’autrice non mette in evidenza nessun suo lato positivo, e questo è poco verosimile.
Giovanna continua a difendere Matteo, suo fratello, nonostante lui dimostri più volte di invidiarla fino alle estreme conseguenze, e anche questo è poco verosimile.
Non mi aspettavo di trovare un Saramago così ironico, dopo la lettura di Cecità, ma, si sa, i grandi sanno giocare con lo stile; e ho l’impressione che qui il premio Nobel si sia divertito un sacco.
TRAMA
La morte decide di non lavorare per un po’, solo per far capire agli uomini di un certo paese (che non viene mai nominato) quanto lei, in realtà, sia necessaria. Infatti quando nessuno muore più cominciano i problemi. Nella prima parte Saramago passa in rassegna una serie di istituzioni che vanno letteralmente nel pallone: la Chiesa, le case di riposo, le assicurazioni, le pompe funebri…
Ma il problema tocca subito il privato, le famiglie in cui ci sono dei malati che non muoiono, indipendentemente dalle condizioni in cui si trovano. Perché nel paese si continua a invecchiare, con tutti gli svantaggi del caso. Per “aiutare” un po’, ci si mette anche la mafia (“maphia”, col ph), che si incarica, dietro compenso, di trasferire i malati terminali al di là dei confini per rendere possibile il trapasso, con conseguenze internazionali che mettono in pericolo anche i rapporti coi paesi confinanti.
Ad un certo punto, dopo aver dato questa dimostrazione, la morte ricomincia a operare, ma decide di farlo mandando delle lettere di avviso, in modo da dare una settimana ai predestinati per sistemare le proprie cose.
Sembra che tutto sia ristabilito, con le dovute modifiche della procedura, quando la morte si accorge che un tipo, un violoncellista, non muore.
Un romanzo dissacratore, che si prende gioco della Chiesa, del re, della filosofia, del lettore e di tutte le velleità umane; ma che si prende il gioco anche delle morte: insomma, non si salva nessuno, tranne il violoncellista (o quello che lui rappresenta).
Prendete fiato (perché di punti e di paragrafi ce ne sono pochi), dateci una letta e ditemi cosa ne pensate. A causa della mia idiosincrasia verso l’ironia, ho preferito Cecità, però devo ammettere che Saramago è stato bravissimo a rendere la tragicità delle conseguenze di un evento assurdo: e il rovesciamento della prospettiva è sempre un indice di genialità.
Banalità su banalità. Una copia di copie. L’omicidio già nel primo capitolo, le organizzazioni segrete, la Chiesa segreta, la storia alternativa di Gesù…
La cosa più irreale è il prete: Padre Yves è sotto i trent’anni, bello, intelligente, colto e parla un numero imprecisato di lingue. Ma soprattutto, pratica le arti marziali. Cioè: non si sa di quanti Dan sia in Karate (ma si lascia intendere che sono tanti), e in più pratica aikido e un’altra arte marziale, mi pare, taekwondo. Ora: spiegatemi come fa uno, che deve anche dedicarsi a bisogni fisiologici come mangiare, bere, dormire, fare tutte queste cose insieme e contemporaneamente far carriera nella gerarchia ecclesiastica, con tutti gli impegni che comporta. Non ci siamo.
Inutile dire che qui di Torino neanche l’ombra. Leggendo si ha l’impressione che l’autrice non sia neanche mai entrata nel Duomo dove la Sindone è conservata.
Neanche parlare delle scene ambientate in Medioriente ai tempi di Gesù: non esiste il minimo accenno all’architettura, al caldo di quelle zone, all’abbigliamento… Ma dico io: mi vuoi almeno citare un dannatissimo cammello???
L’autrice vive sulla nostra memoria collettiva: siamo così ubriachi di scene e film storici, che ci basta capire dove e quando è ambientato un libro per figurarci i personaggi vestiti con le tuniche e le città circondate da mura. Ma questo, cara la mia Navarro, non giustifica la pigrizia letteraria.
Tra donne sole – Cesare Pavese
Torino non c’è neanche qui, nonostante il nome della città compaia nella prima riga dell’incipit.
Ovviamente non si può confrontare il nostro Pavese con una Julia Navarro, la capacità letteraria è tutta un’altra cosa, ma neanche in questo romanzo mi sono sentita a Torino. Sì, si citano delle vie e delle piazze, si parla di portici, ma niente che caratterizzi Torino in quanto Torino.
Quello che premeva allo scrittore era rendere la vacuità dell’ambiente frequentato dalla protagonista. Ci è riuscito, ma non era quello che cercavo in questo momento.
Mi ero riproposta di arrivare almeno a metà libro prima di scriverne, ma non ce la faccio.
L’autore, Robertson, è un giurista, dunque analizza l’atteggiamento del Vaticano nei confronti delle molestie ai minori da parte dei preti dal punto di vista del diritto (canonico, internazionale e dei vari stati nei quali i crimini sono stati commessi). Non sono ancora arrivata al punto in cui scende nei particolari delle leggi, perché fino ad ora, e sono a pag. 59, non ha fatto altro che riportare casi di crimini ripetuti e insabbiati dalla Chiesa.
Quello che ne esce è un sistema organizzato al fine di mettere a tacere gli scandali. Il silenzio delle vittime è obbligatorio, secondo il diritto canonico, e spesso, davanti a casi conclamati di abuso su minori, le vittime sono state “indennizzate” (con tetti di spesa ben identificati dalle alte sfere) a patto che mantenessero il silenzio. Addirittura in Irlanda sono state stipulate in segreto delle polizze assicurative per risarcire i danni nel caso in cui le vittime si facessero sentire.
La procedura è sempre la stessa: appena qualcuno “parla”, si cerca di farlo tacere. Sfruttando l’influenza morale o ricorrendo alle minacce (della serie: se parli sei in peccato!). Tutte le energie della Chiesa erano rivolte alla copertura dello scandalo, non alla tutela delle vittime, e i colpevoli venivano ogni volta trasferiti in altre parrocchie, lontane e all’oscuro dei fatti, dove di solito i crimini si ripetevano. Il problema è ancora più grande quando i trasferimenti sono stati fatti dai paesi del primo mondo a quelli del terzo mondo (sud America e Africa, principalmente) dove i controlli sono molto minori).
Tutti i casi dovevano essere sottoposti alla Congregazione per la Dottrina della Fede (stiamo parlando del periodo in cui a capo di questo organo c’era Ratzinger, prima che diventasse Papa).
Dunque, le alte sfere sapevano.
Ma sentite questa:
Nel 2001 il Vaticano si è congratulato con il vescovo Pierre Pican di Bayeux per non aver consegnato alla polizia un prete pedofilo e per avergli affidato un altro incarico nella parrocchia nonostante la sua ammissione di colpa. “Mi congratulo con lei per non aver denunciato il sacerdote all’autorità civile” ha scritto il cardinale Castrillon Hojo, con l’approvazione personale di Giovanni Paolo II e di altri prelati, tra cui il capo della CDF, il cardinale Ratzinger. L’episodio è stato reso noto dopo che il prete era stato condannato a diciotto anni di carcere per ripetuti stupri e violenze ai danni di dieci ragazzi; (…) Una copia dell’encomio espresso dal papa è stata inviata a tutti gli altri vescovi per incoraggiarli a risolvere casi di pedofilia all’interno della Chiesa in modo riservato e indipendente rispetto alle leggi dello Stato di appartenenza; dunque la Santa Sede ha stabilito la prevalenza del codice canonico su qualsiasi altro diritto penale (…)
Cioè: questo nasconde un criminale, e il Papa di allora (stiamo parlando di Giovanni Paolo II) e il futuro Papa (Ratzinger) non solo lo elogiano, ma mostrano a tutti gli altri vescovi come lo hanno elogiato perché è stato bravo.
Quella volta che è successo nella mia ex parrocchia, alla domenica andiamo a messa e non troviamo più il solito sacerdote, don S., ma addirittura il vicario del vescovo, che ci ha fatto tutto un discorso sul silenzio e sulla pericolosità delle chiacchiere… io e i miei non capivamo di cosa stava parlando, ci chiedevamo solo come mai c’era lui e non il solito sacerdote. “Ma che sta dicendo?” ci chiedevamo di fronte ai giri di parole che scendevano dal pulpito.
Don S. era stato trasferito in fretta e in sordina in un’altra parrocchia. Non ho ancora capito chi è stata la vittima, in quel caso, ma per quanto ne so non ci sono state denunce all’autorità. Magari è stato trasferito per altri motivi?
Siamo tutti bravi a indignarci quando gli scandali scoppiano in TV, ma se ci scoppiano in casa, ci sono mille e una ragione per tenerli nascosti.