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Chiara Gamberale a S. Donà di Piave (VE)

Ieri sera sono stata alla presentazione de “Il grembo paterno” alla Libreria Moderna.

Chiara Gamberale è una donna spigliata e sorridente, una che ti immagini sempre circondata da tante amiche.

Per prepararmi alla presentazione, visto che non avevo ancora acquistato l’ultimo libro, mi son letta “La zona cieca” (Premio Campiello selezione Giuria dei Letterati 2008). E devo ammettere che Lorenzo, il protagonista maschile, l’ho trovato insopportabile.

Lidia però ne è innamorata e sopporta i suoi sbalzi di umore, i tradimenti, le frasi sprezzanti, la dipendenza dalle droghe, le bugie, le depressioni, le assenze fisiche e mentali. Ho fatto fatica ad arrivare alla fine, perché mi chiedevo: ma come si può abbassarsi a questi livelli? E parlo di Lidia, non di Lorenzo…

Come si può rinunciare ad avere una vita decente per colpa di un tipo così?

Poi però alla presentazione di ieri sera ho capito che cosa ha portato Chiara Gamberale a dedicare tempo a mettere su carta due personaggi così, che sembrano legati da una maledizione più che dall’amore.

Chiara Gamberale è sempre stata affascinata dalle parole e dalle persone che sanno usarle bene. Fin da piccola (ha scritto il suo primo romanzo a sette anni e mezzo) diceva che sarebbe andata a vivere nel paese degli scrittori, proprio perché ai suoi occhi gli scrittori erano persone belle, che sapevano “parlare bene”.

Con gli anni, però, si è accorta che le parole si possono usare in modi diversi, anche per fare del male, anche per sedurre: anche chi “parla bene” può usare le parole a scopi egoistici (anche se non sempre ne è consapevole).

Sotto questo punto di vista, Lorenzo de “La zona cieca” e Nicola de “Il grembo paterno” si assomigliano molto (prima di scoprire le differenze tra i due, devo leggere il secondo romanzo).

Chiara Gamberale è tornata a scrivere dopo quattro anni di pausa.

Quattro anni fa, infatti, è nata sua figlia Vita e questo le ha causato una specie di lockdown creativo, un vero e proprio evento, per lei che è sempre stata inseguita da così tante storie da aver difficoltà a scegliere quale mettere su carta. Due anni fa, poi, quando il primo marzo ha iniziato a portare Vita all’asilo e sperava di poter mettersi a scrivere di nuovo, è arrivato il Covid19, il lockdown per “eccellenza”, e quindi la piccola è rimasta quasi sempre a casa.

Questa era la seconda volta che le veniva il c.d. blocco dello scrittore. La prima volta è stato quando si è innamorata sul serio: era rimasta altri due anni senza scrivere (e poi ha scritto undici romanzi uno dietro l’altro).

Sembra dunque che quando le succedono questi eventi così importanti, la sua creatività vada in cantina: ma anche da là, continua ad ascoltare e immagazzinare quello che sente, come una brava massaia che mette via i vasetti di conserva per l’inverno.

Il messaggio di “La zona cieca” è ottimista e intimista: abbiamo tutti un passato, degli amori che ci sono stati donati, magari male, magari storti, ma che ci hanno plasmato in qualche modo; e questo è il materiale da cui dobbiamo partire per creare nuovo amore. E’ un messaggio molto diverso rispetto ad altri libri di altri autori (lei citava “La solitudine dei numeri primi”), ma mi è piaciuto, dà una scrollata ai rinunciatari e a chi si adagia su affermazioni coniugate al passato, come “questo mi è successo!”.

Adoro andare alle presentazioni dei libri. Si impara sempre qualcosa.

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Due libri di scrittrici italiane… Gamberale e Parrella

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Scrivo dei due libri insieme perché il livello di gradimento è molto simile: diciamo che se fra un paio di anni li trovo sulla bancarella di un mercatino dell’usato, mi chiederò “ma questi li ho letti?”

Tra i due, la Gamberale è quella più leggibile ed ironica: la solita trentenne in crisi perché perde ragazzo e lavoro e che va in terapia. Come cura, la psicanalista la invita a fare dieci minuti di una cosa nuova al giorno. Scordatevi grandi cose: si rimane nell’ambito del verosimile, dunque si va dal rubare una cavolata al supermercato, al camminare all’indietro in città, al cucinare un pancake. Quello che trovo meno verosimile è l’ammasso di personaggi: sembra che la protagonista li conosca tutti lei i tipi strambi. Oppure sono persone come quelle che conosciamo tutti, ma descritti in maniera esagerata, come per colpire il lettore.

Ah, dimenticavo: quando la tipa guarisce, si accorge che riesce a scrivere un romanzo e che non è più artisticamente bloccata. Anche qui, mi pare un dejà vu di molti altre storie.

Con la Parrella, l’argomento è molto meno ironico: Maria, un’insegnante di Napoli che insegna agli adulti di un corso serale, ha partorito una bambina che però resta in incubatrice perché non si sa se ce la farà. Non c’è né marito né compagno, superfluo e fatto fuori. Ma di cosa parla? Dello spazio bianco. Del periodo di vuoto che Maria vive nell’attesa. Certo, non è facile parlare dell’attesa, della mancanza di qualcosa che non si sa ancora se manca perché in realtà non ce l’abbiamo mai avuta. E certo l’autrice scrive bene. Ma non chiedetemi cosa ha scritto, perché non è riassumibile. In realtà non succede niente…

Ma sapete che c’è sempre qualcosa che vale sempre la pena leggere nei libri, anche in quelli che un giorno dimenticherò. Nel caso della Parrella, vi lascio questo stralcio:

Durante la settimana il solo aprire il giornale, riuscire a connettere un titolo con qualcosa di reale, che pure stava accadendo, trovare in cartellone il nome di un film francese: solo questo mi accendeva una bolla di tranquillità, per un attimo, nel petto.

Non so voi, ma a me a volte capita di attraversare momenti di scazzamento da cui non so uscire: di solito si tratta di rogne sul lavoro che mi seguono a casa come l’ombra. Soluzioni non ne vedo, inutile stressare parenti e amici raccontando i dettagli dei problemi, perché tanto finchè non li vivono non li capiscono, nervoso che si autoalimenta perché non riesco a pensare ad altro e poi… leggo una frase o vedo una finestra aperta nella casa di sconosciuti, e mi ricordo che i momenti di scazzamento sono solo questo: momenti. Ben identificabili nel tempo e nello spazio. E non sono così per tutti. E non saranno così per sempre.

Fantastico.

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Per dieci minuti, Chiara Gamberale

Una storia semplice, scritta in modo semplice, ma di grande profondità.

La protagonista della storia è Chiara, una scrittrice appena lasciata dal marito.

Chiara conosce suo marito da quando era ragazza e si rivolge ad una dottoressa per superare la frustrazione e riappropriarsi della sua vita.

Ogni giorno, per un intero mese, Chiara deve scegliere di dedicare 10 minuti ad un’attività che non ha mai fatto in vita sua. Nei suoi racconti giornalieri la protagonista si evolve e scopre di cosa ha vissuto finora e cosa ha ignorato, fino alla decisione finale, che non diventa però la cosa più importante.

Credevo fosse un libro di una giovane scrittrice agli esordi, che ha avuto fortuna con i soliti scritti, ,a invece Chiara Gamberale, è una di quelle che ti fanno pensare al libro anche quando l’hai chiuso, una di quelle scrittrici che ti fanno fare le orecchie ai suoi libri perché c’è una frase che ti ha colpito.

Non sarà certamente il suo ultimo libro da recensire.

“Da quando la mia vita è vuota, non mi ero accorta che fosse così piena”

“Le ossessioni non si offendono se le trascuriamo, anzi, trascurarle è l’unico modo per mandarle via”

Ilaria Tami

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