
C’era una volta, tanti, tanti anni fa, Repubblica Romana: quando i consoli non erano in grado di gestire una situazione di crisi, nominavano un dittatore che aveva poteri assoluti e restava in carica sei mesi. Solo sei mesi. Poi basta.
La dittatura non possedeva quell’alone negativo che possiede oggi.
Oggi, il problema italiano sono i politici “democraticamente” eletti. Non se ne vanno più. E se ne arrivano di nuovi (vedi Movimento 5 Stelle e Lega ora al governo), dopo poco, diventano come i politici che hanno sostituito: dimenticano le promesse elettorali, mettono radici, e tutto ciò che fanno lo fanno solo per mantenere la sedia.
In una situazione del genere, ti viene il pensiero che sia meglio una rivoluzione di qualche tipo, e che l’unica soluzione sia uno tsunami politico che spazzi via parlamento e le tenie che ci sono dentro… anche se sei pacifista, questo pensiero si insinua nel cervello. Perché qui, in Italia, non si salva nessuno, dei politici (e quindi, neanche noi).
Poi prendi in mano un libro di Orwell e leggi
Non è solo il fatto che “il potere corrompe”, ma sono anche i modi stessi di conseguirlo.
E allora neanche l’idea della rivoluzione funziona più.
Resta l’emigrazione…?
Ma torniamo a Orwell.
I saggi di questo libro sono vari: si passa dalla lettura, alla politica, ai ricordi di scuola e di guerra.
Dico subito che alcune sue affermazioni, alla luce del tempo, si sono rivelate errate. Ad esempio, quando dice:
I libri americani interessano sempre meno.
(…) Neppure i supermarket riescono a soffocare il piccolo librario indipendente come hanno soffocato il droghiere e il lattivendolo.
Ma mi fa anche riflettere sulla mia voglia di lavorare tra i libri quando dice
(…) il vero motivo per cui non mi piacerebbe fare il libraio di mestiere è che, mentre lavoravo in una libreria, persi il mio amore per i libri. Un libraio deve mentire sui libri, e questo glieli rende antipatici. Anche peggiore è il fatto che passa il suo tempo a spolverarli e a spostarli di qua e di là.
E io che pensavo che il libraio fosse il mio lavoro ideale!
Orwell combatte contro tutti i totalitarismi, sia di destra che di sinistra, ma è sospettoso anche nei confronti della democrazia quando l’opinione pubblica prende il sopravvento:
(…) l’opinione pubblica, a causa della fortissima tendenza al conformismo degli animali gregari, è meno tollerante di ogni altro sistema di legge.
E che dire della chiesa romana?
(…) Durante un periodo di 300 anni, quante persone sono state contemporaneamente buoni cattolici e buoni romanzieri?
(…) le chiese cristiane forse non sopravvivrebbero solo sui loro meriti se le loro basi economiche fossero distrutte.
Più in generale, sulla libertà di pensiero ed espressione, Orwell sottolinea spesso quanto l’intellighenzia (o quella che vorrebbe farsi chiamare “intellighenzia”) ricorre all’autocensura:
L’immaginazione, come alcuni animali selvaggi, diventa sterile sotto cattività.
Il grande nemico di un linguaggio chiaro è l’insincerità. Quando esiste uno scarto tra lo scopo reale e quello dichiarato, ci si rivolge istintivamente ai paroloni e a vecchi luoghi comuni.
I buoni romanzi sono scritti da gente che non ha paura.
Alcune di queste riflessioni si sono rivelate profetiche.
Guardiamoci oggi: teoricamente godiamo dei diritto di libera stampa e riunione ma
Ciò che è realmente in questione è il diritto di riportare gli eventi contemporanei in maniera veridica, o almeno tanto veridicamente quanto lo consenta l’ignoranza, il pregiudizio e le autoconvinzioni di cui ogni osservatore necessariamente soffre.
Quanti giornalisti davvero liberi abbiamo in Italia oggi? E romanzieri? Abbiamo ancora intellettuali impegnati politicamente che non siano accecati da pregiudizi e autoconvinzioni? O, più semplicemente, romanzieri che tocchino, anche di striscio, la situazione politica italiana nelle loro opere?
Ogni scrittore e giornalista che voglia salvaguardare la propria integrità si trova impedito più dall’andamento generale della società che da un’attiva persecuzione.
Quando mi siedo a scrivere un libro, non mi dico: “Adesso farò un capolavoro”. Lo scrivo perché c’è qualche menzogna che voglio denunciare, qualche fatto sul quale voglio attirare l’attenzione (…).
Scrivere un libro è una lotta orribile ed estenuante, come un lungo periodo di dolorosa malattia. Nn bisognerebbe mai intraprendere un’attività del genere a meno di non essere guidato da un qualche demone incomprensibile al quale non si può resistere.
Non c’è altro da aggiungere.