Francesco Tessari, il protagonista che racconta in prima persona, è un avvocato del foro di Venezia. Segue le cause dei più deboli: debitori, extracomunitari, poveracci.

Il libro è un grido di aiuto e di rabbia: rabbia contro il Veneto-Sistema, i politici, gli avvocati, la cementificazione, la commercializzazione, la deumanizzazione, il pensiero unico, il consumismo, i cattolici di facciata, la perdita dell’identità contadina…
E’ un libro che si legge a mezza bocca, digrignando, bestemmiando, col colesterolo a mille, i cotechini e la polenta sotto i denti.
Michele Tessari è stanco di fare l’avvocato ma non sa come uscirne.
E’ stanco di essere un’appendice di sua madre, ma non sa come diventare adulto.
E’ stanco di lottare contro un sistema corrotto e inutile, ma non sa cosa fare.
Questa massa di lavoratori ha accumulato parecchio e nel frattempo, dopo elementari e medie, dopo liceo e laurea non ha più letto nulla se non la guida della tele (…).
E’ un libro pieno di citazioni da altri libri o film.
I butti delle patate che hanno fatto i fiori del male.
E’ un libro scritto in uno stile personalissimo e coraggioso.
I muri sono fatti collo sterco di piccione come nei villaggi dei pigmei, la pittura esterna è fatta col rimmel delle puttane.
E’ un libro amarissimo.
Abbiamo iniziato a soccombere al compimento del diciottesimo anno, ai diciannove era già metastasi, a vent’anni: sotterrati vivi.
Non è un libro per tutti.
Non è per me.
Questa non è una valutazione sulla qualità della scrittura (che ho trovato molto simile a “Viaggio al termine della notte” di Céline), ma la devastazione di cui parla è troppo visibile, e ci vivo dentro, nel Veneto.
E’ come leggere un romanzo su una malattia quando ce l’hai anche tu o qualcuno vicino a te.