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Fuoriclasse – storia naturale del successo (Malcom Gladwell)

E’ interessante vedere come vengono tradotti i titoli nelle varie lingue. In tedesco, il titolo è Ueberflieger, che vuol dire sì fuoriclasse, ma indica più precisamente qualcuno che vola più in alto. E in tedesco è più significativo anche il sottotitolo: Perché alcune persone hanno successo e altre no (mentre in italiano leggiamo “Storia naturale del successo”: dove quel “naturale” è un’aggiunta arbitraria rispetto alla versione originale in inglese).

Ad ogni modo, questo libro non è un saggio di self-help. Anzi, ammetto che ti smonta un po’. Siamo lontani dalle visioni di Tony Robbins, che ti dice che puoi fare tutto ciò che vuoi se ti applichi.

No, Gladwell è molto più realistico: i fuoriclasse sono arrivati dove sono non solo grazie al loro talento e alla loro determinazione (leggi: capacità innate e buona volontà), ma anche, se non soprattutto, grazie a una concomitanza di… possibilità e vantaggi.

Non usa la parola “fortuna“, né tantomeno “culo“, ma il concetto è questo…

Facciamo un confronto con il tormentone dei manuali di autoaiuto che si leggono in giro, e prendiamo l’esempio delle 10.000 ore: ti dicono che puoi diventare un virtuoso di violino, un eccelso giocatore di pallacanestro, un famosissimo scrittore se ti applichi con costanza all’attività che hai scelto. Diecimila ore è la quantità di tempo indicativo che ti serve per arrivare ovunque nella vita.

Dicono.

Ma Gladwell ci fa notare: ok 10.000 ore. Ma per avercele, queste 10.000 ore, devi trovarti nella situazione adatta. Come ci arrivi ad avere tutto questo tempo a disposizione se non sei di buona famiglia, se non hai chi ti aiuta, se devi lavorare dodici ore al giorno per guadagnarti la pagnotta?

Oppure, prendiamo l’esempio dei geni matematici. Gladwell ci fa fare conoscenza con un ragazzo americano, Langan, le cui competenze di calcolo sono eccezionali: un quoziente intellettivo che fa vergognare Einstein, superiore anche a quello di Oppenheimer; Langan si è fatto conoscere al pubblico americano grazie a un quiz televisivo. Eppure questo ragazzo svolge un lavoro umile, uno di quelli con cui hai difficoltà a pagarti il dottore quando serve. Non ha saputo mettere a frutto le sue abilità.

Perché? Perché venendo da un ambiente svantaggiato, non possedeva le competenze sociali necessarie per farsi strada nel mondo universitario. E non è colpa sua se è nato in una certa famiglia e in un certo ceto.

Altri esempio di “condizioni favorevoli” sono l’anno di nascita (a volte anche il mese, per la scelta dei ragazzi nelle squadre di hockey), il ceto di appartenenza, il periodo in cui si frequenta l’università o si apre una certa attività, ecc…

Gladwell porta esempi molto dettagliati, mini-biografie, alla maniera americana.

Non so però se è un libro che può aver… successo. Credo di no, perché questo saggio è uscito in un momento in cui vanno alla grande i libri di self-help che ti dicono che puoi fare tutto quello che vuoi se lo vuoi (addirittura alcuni ti dicono che puoi fare quello che vuoi solo pensandoci), libri scritti da guru che danno speranza, che ti galvanizzano, che ti fanno uscire di casa per andare a correre e perdere quei trenta chili di sovrappeso che ti hanno chiuso le possibilità di trovare la bonazza di turno.

Gladwell è più equilibrato. Più realista.

La massa non vuole realismo, vuole reazioni di pancia, estremismo.

Ecco, in questo io facevo parte della massa.

A me piace la speranza.

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My Life And Work – Henry Ford

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The title is the first lie: it doesn’t tell anything about his private life; he hardly mentions his wife and son. And why “My”? This book is written not by Ford, but Samuel Crowther, a journalist, while Ford was at the highest point of his career as businessman and engineer.

This book is not written with the purpose of selling more cars: Ford hates advertising, he thinks that a product should be sold because of its quality and that advertising conceals the seller’s or manufacturer’s insecurity.

This book doesn’t mention Ford’s failures, neither the business nor the political ones. It doesn’t mention his war against trade-unionist movement and doesn’t tell that he recruited professional fighters to face the… “disturbing” workers.

It doesn’t talk about a lot of things, because the purpose of this book is to justify the massproduction, not to tell a private life; to specify wich position workers should hold, not to inspire a worker to become a company owner.

On the other hand, I took this book because I hoped to find something inspiring, something enlighting about success after failure, or about fear fighting.

Nothing of this.

I think, that if I would meet Henry Ford now, I would not like him.

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Leader: how to feel

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You cannot find motivation around you; you cannot buy it on a supermarket nor in internet nor at the fair.

A leader, even a good one, cannot motivate you, if you aren’t interested in your job, if you are not fallen in love with your tasks. But for sure, a bad leader can destroy the emotional climate inside a team and jeopardize the goals.

Pietro Trabucchi (Persistency Is Human) is a psychologist who has worked with olimpic teams in 2006 and with the national Thriathlon teams. He is an expert on sport rsistance, a runner and an ultra athlet himself. Motivation (in sport, business or family) is one of the topics he has studied and experienced.

In his opinion, the team leader has 4 basic points to work on:

  • relationships among the team people
  • let people feel competent
  • give autonomy
  • pay attention to communication

First task: work on emotional climate! If just one person doesen’t integrate well or experiences bad feelings, the self-motivation of the other members can collapse. This can be rather riskful if the team is trying to get the Everest top while the snow storm is raging and you ran out of food and water, you know?! But this can also be the reason why some groups do not go high.

Daniel Goleman, in this short collection of articles (What Makes a Leader: Why Emotional Intelligente Matters) has something more to add about leadership. He focuses on leaders’ emotions and attitude.

A cruel or irritating leader builds an ill organisation. The aim of his subordinates to avoid the leader’s screams and all their efforts go wasted into emotional self-defense. Leader’s mood is contagious! Dont’ forget this. Fearful subordinates can get results in the short tems, but this usually doesn’t happen in the long run.

So far,  Goleman; but I really wonder if he ever visited an italian company.

More than ten years ago I worked for a other company. Each time that I walked around the boss’ office, I prayed that he was not in. And if I knew that he was in, I prayed that his door was closed. And if door was not closed, I prayed that he was looking elsewhere (well, I prayed alot in that period…). If I was not so lucky, if he was in the office, if the door was open and if he was looking in my direction, I just had to walk near his office to get a vigorous curse.

Why? Bad mood. He did the same with all his staff, with very few exceptions (mainly his family members). But the worst thing is that all the hierarchy had the same mood. And I was one of the last chain rings, you can imagine:-(

Well, Mr. Goleman, I am not sure what you mean when you say that such organizations have no success on the long run. My former employer is on the market since the Sixties. Yes, I admit: with up and downs; yes, with an high turnover, of course. But this is normal, in Italy, above all in the North East of Italy. Maybe such companies are not 100% efficient, because subordinates hide instead of being rich of new ideas and enthusiasm. But believe me, this doesn’t notch the boss’ richness. The goal is got.

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Buttati – Trasforma la tua passione in soldi (Gary Vay Ner Chuk)

imageQuesto libretto è taaaanto americano! A leggerlo, sebbene più volte ripeta che bisogna dedicarci una montagna di ore, sembra che chiunque possa vivere della propria passione/hobby, che dipende tutto da te, non da quanti soldi o quali parenti hai. Dice che coi social media, oggi, se davvero sei appassionato di un argomento, puoi trovarti la tua nicchia e fare business; magari non sempre diventerai miliardario, ma potrai guadagnare altrettanto di quello che prendi col tuo attuale lavoro.

E ti fa davvero venir voglia di mollare tutto per dedicarti a quello che ti piace sopra ogni cosa:

Che cosa vuol dire vivere una passione? Vuol dire che quando ti alzi la mattina, ogni mattina, per andare a lavorare, ti alzi con entusiasmo perché sai che vai a fare la cosa che ti piace di  più al mondo. Vuol dire che non vivi in perenne attesa delle vacanze per prenderti una pausa; per te lavoro, divertimento e relax sono un tutt’uno. Non fai nemmeno caso a quante ore stai lavorando perché per te non si tratta di vero lavoro (…). Spero che tu ti sia ritrovato in quanto ho appena detto e che non stia lavorando per arrivare a fine mese, perché staresti sprecando la tua vita… e la vita è troppo breve per essere sprecato. Fallo per te stesso: devi cambiare radicalmente vita per ottenere il meglio; tutto quello che devi fare è buttarti su Internet e sfruttarne gli strumenti.

Ma diciamocelo. abbiamo tutti il DNA da imprenditore?? E anche se fosse, ricordiamoci che Gay Vay Ner Chuk, anche se di origini europeo/ebree, vive negli Stati Uniti, mercato enorme, e con una mentalità molta più aperta dell’italiana, senza parlare delle lungaggini burocratiche.

Io non credo che tutti possano farcela col personal branding. Anche perché sempre meno gente è disposta a nutrire davero una passione, indipendentemente da eventuali monetarizzazioni. vedo sempre più uomini e donne che lavorano dal mattino alla sera e poi passano il resto del tempo in famiglia davanti alla TV (ma se glielo chiedi, tutti dicono di guardarla pochissimo). Hobby? Magari un mese di pesca, un altro di acquabike, un altro di pittura sui sassi. Ma con pochissima, pochissima passione. E quella che c’è, è di breve durata. Niente che tenga svegli la notte per approfondire l’argomento e che riempia le serate in modo monotematico per di sviscerare ogni sfumatura dell’argomento.

Ciononostante, l’autore dà molti suggerimenti su come gestire la propria presenza online (e questa alla fine può aiutare a incontrare la gente giusta).

Le aziende sono terrorizzate dai contenuti non filtrati ma ciò che dovrebbero fare è incoraggiare ogni dipendente ad avere un account Facebook in cui parlare del lavoro e dell’azienda (e di tutto quello che vuole, naturalmente). (…) Non aspettare i colloqui postdimissioni per scoprire che cosa pensano davvero i tuoi dipendenti, tasta il polso della società e inizia a cambiare da subito. (…) Un tempo eri alla mercé dei media e non potevi dire una parola sul modo in cui raccontavano la tua storia a meno che non dovessero citare la tua versione. Se il ritratto che ti facevano non ti piaceva, eri incastrato. Adesso puoi combattere i media con questi strumenti: il tuo blog, Facebook e Twitter.

Non basta offrire il prodotto buono! Bisogna farne parlare.

E poi, consiglio valido per tutti: i contenuti vanno curati. Non si può aprire un blog di design per promuovere la propria inventiva, scrivere di aria fritta per giustificare ciò che basterebbe una foto a lanciare, e aspettarsi migliaia di followers.

Detto questo, leggete questo libro per le dritte sul personal branding, qualcosa si impara sempre, ma non crediate di comprarvi tutti una squadra di calcio coi soldi che guadagnerete dalla vostra passione per le creme depilatorie fatte in casa o per l’autoproduzione di utensili fai-da-te.

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